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Harris e Trump: come (non) sconfiggere l’inflazione

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di MATTEO CORSINI

Nella scelta tra il male e il peggio che gli elettori statunitensi dovranno fare a inizio novembre, c’è un argomento sul quale entrambi i candidati alla presidenza intendono lavorare: ridurre l’inflazione dei prezzi al consumo. E, a conferma che la scelta è tra il male e il peggio, gli strumenti che intendono utilizzare sono controproducenti. Se Harris, dando seguito alla retorica della “greedflation” usata dall’amministrazione Biden, intende imporre limiti ai prezzi, Trump ha dichiarato:

  • “Il mio primo giorno di ritorno nello Studio Ovale, firmerò un ordine esecutivo che ordina a ogni segretario di gabinetto e a ogni capo di agenzia di usare ogni strumento e autorità a loro disposizione per sconfiggere l’inflazione e abbassare rapidamente i prezzi al consumo”.

Dubito che sarebbe meno controproducente, a maggior ragione in combinazione con altri propositi trumpiani, per esempio in materia di dazi, di politica monetaria e valutaria. Trump promette di aumentare i dazi sui prodotti di importazione, che mal si concilia con il contenimento dei prezzi al consumo. Vorrebbe inoltre condizionare esplicitamente la Fed (perché implicitamente, nonostante la retorica sull’indipendenza della banca centrale, il punto di vista dell’inquilino della Casa Bianca non è come quello di un Mr. Jones qualsiasi), il che significherebbe con ogni probabilità tassi spinti al ribasso. Altra cosa che non agevola la discesa dei prezzi al consumo. Anzi. È poi favorevole a un indebolimento del dollaro (cosa che sarebbe favorita da una politica monetaria espansiva), che renderebbe ulteriormente più costose le importazioni.

Se desse seguito ai propositi espressi, ogni ordine esecutivo finirebbe solo per aumentare l’interferenza governativa nel mercato. Quello dal quale, tanto tempo fa, i Repubblicani dicevano che il governo dovesse tenersi alla larga.

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