“Riducendo il costo del credito si aumenta il numero di investimenti il cui rendimento supera il costo del finanziamento e così si stimola l’attività economica”. Ho voluto riportare questo passaggio preso da un articolo in cui Carlo Bastasin commenta gli effetti cospicui del quantitative easing (ossia creazione di base monetaria dal nulla da parte della Bce) sulla svalutazione dell’euro e sul forte calo dei rendimenti dei titoli di Stato, soprattutto a lunga scadenza, perché si tratta di un aspetto fondamentale nella teoria del ciclo economico della scuola austriaca.
Effettivamente la riduzione del costo del credito aumenta ex ante il valore attuale netto di un investimento, il che può rendere apparentemente profittevoli progetti che a tassi di interesse superiori (perché non distorti al ribasso da politiche monetarie espansive) non lo sarebbero.
Il problema è che la manipolazione al ribasso dei tassi di interesse genera l’apparenza di un’abbondanza di risparmio disponibile per finanziare investimenti a debito, ma ciò non corrisponde al vero. In sostanza le preferenze temporali dei risparmiatori non sono cambiate, sembra solo che lo siano a causa della politica monetaria espansiva (nel caso in questione, non limitata alla riduzione dei tassi di interesse a breve, bensì a una vera e propria monetizzazione, ancorché indiretta, di debito a lungo termine).
Il boom di tali investimenti, in estrema sintesi, non fa altro che corrispondere a una distorta allocazione di risorse e alla formazione di bolle che, per non sgonfiarsi, necessitano di dosi continue e crescenti di espansione monetaria.
Quando gli effetti della politica monetaria espansiva iniziano a manifestarsi sugli indici dei prezzi al consumo (i soli dei quali si (pre)occupano le banche centrali), diventa inevitabile per le banche centrali ridurre lo stimolo monetario e per le banche commerciali ridurre l’espansione del credito. Questo toglie sostegno a quegli investimenti che apparivano profittevoli in virtù di tassi distorti al ribasso, generando perdite e fallimenti.
Ai quali le banche centrali solitamente rispondono con nuovi provvedimenti espansivi, che non fanno altro che bloccare o contenere gli aggiustamenti necessari. In fin dei conti è dal 2008 che si susseguono espansioni monetarie per porre “rimedio” a una crisi della quale la politica monetaria dei primi anni 2000 è stata una causa fondamentale.
E adesso si torna a parlare di credito a basso costo per far sì che più investimenti abbiano un rendimento superiore al costo del finanziamento. Altro ciclo, altro disastro che prima o poi arriverà.
Non credo che il Q.E. avrà alcun effetto sull’economia e sugli investimenti. Come sappiamo tutti l’Itaglia è fallita nel 2011. Il debito pubblico italiano era detenuto al 50% da banche tedesche e francesi, se l’Italia avesse fatto un default parziale o totale i governi tedeschi e francese sarebbero dovuti intervenire per salvare le loro banche dal fallimento facendo in poche parole pagare ai contribuenti tedeschi e francesi il debito italiano. Ecco che allora hanno imposto governi che al di là degli annunci e del fumo negli occhi non stanno facendo nulla, tanto il fallimento è inevitabile, provvedono a far si che ci siano sempre i soldi per pagare gli interessi, gli stipendi e le pensioni pubbliche, in modo da nascondere il fallimento.
Nel frattempo la quota posseduta dalle banche straniere è scesa al 30%, il resto è stato acquistato dalle banche italiane che a questo hanno destinato sia i soldi dei correntisti (il credito alle imprese e per mutui alle famiglie è crollato) sia quelli del Ltro, il precedente provvedimento della BCE per dare credito alle famiglie.
Nonostante gli annunci e le rassicurazioni anche il Q.E. servirà solo a far comperare titoli di Stato alle banche italiane: a quel punto l’esposizione di quelle estere sarà a zero e l’Italia sarà libera di fallire.
Quindi gli effetti di stimolo alla domanda e agli investimenti del Q.E. in Italia saranno nulli, semmai il problema è di quel che succederà ai nostri soldi depositati, alle pensioni e agli stipendi pubblici (quest’ultimo irrilevante essendo quasi tutti magnagreci i dipendenti pubblici, ma potrebbe interessarci se poi dovremo mantenerli nuovamente noi in altre forme).