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Flat tax al 25%, quando i liberali sponsorizzano lo statalismo

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di MATTEO CORSINI

I progetti di riforma fiscale ormai non si contano. Generalmente partono tutti con due obiettivi: semplicità ed efficienza, senza scalfire il dogma costituzionale della progressività. La cosa non mi stupisce, ma devo dire che da un think tank che si autodefinisce liberale e si ispira a Bruno Leoni mi sarei aspettato una proposta meno deludente di quella che ho trovato sinteticamente descritta da Nicola Rossi sul Sole 24Ore del 25 giugno. Il quale, pure, definisce coraggiosa la proposta: “Bisogna trovare il coraggio di cambiare, lasciandosi alle spalle una stagione di politica tributaria la cui cifra è l’assenza di un disegno o, più precisamente, il disinteresse verso un qualsivoglia disegno”-

Ecco allora l’ennesimo progetto per arrivare a una imposizione fiscale ad aliquota unica: All’Istituto Bruno Leoni abbiamo elaborato una proposta di riforma così sintetizzabile:

(1) una sola aliquota – pari al 25% – per tutte le principali imposte del nostro sistema tributario (Irpef, Ires, Iva, sostitutiva sui redditi da attività finanziarie);

(2) abolizione dell’Irap e dell’Imu;

(3) introduzione di un trasferimento monetario – il “minimo vitale” – differenziato geograficamente, indipendente dalla condizione professionale dei singoli ma non incondizionato e contestuale abolizione della vigente congerie di prestazioni assistenziali o prevalentemente assistenziali;

(4) ridefinizione delle modalità di finanziamento di alcuni servizi pubblici (ed in particolare della sanità) mantenendo fermo il principio della gratuità del servizio per la gran parte dei cittadini ma imputandone, ai soli cittadini più abbienti, il costo (in termini assicurativi) e garantendo loro contestualmente il diritto di rivolgersi al mercato (opting out)”.

In sintesi, un tentativo di semplificazione e una spruzzata, al punto 3, di friedmanismo. La progressività non viene messa minimamente in discussione: semplicemente cambiano i meccanismi (tramite deduzioni o integrazioni) per conseguirla.

Secondo i proponenti si otterrebbero contemporaneamente una riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale: “Sotto il profilo delle grandezze macroeconomiche la proposta ridurrebbe significativamente tanto la pressione fiscale quanto il peso della spesa pubblica sul prodotto: riducendo ambedue di circa 4 punti percentuali a regime. Sotto il solo vincolo (imprescindibile) di effetti nulli sul bilancio dello Stato, sarebbe compatibile con interventi puntuali sul fronte della revisione della spesa di dimensioni praticabili e pari a regime all’1,6% del Pil (ridotti allo 0,6% del Pil nella fase iniziale del progetto la cui compiuta realizzazione sarebbe strettamente dipendente dai risultati dell’attività di revisione della spesa).”

Credo meriti attenzione il fatto che la riduzione della spesa opererebbe per lo più tramite la riduzione delle cosiddette tax expenditures, ossia detrazioni e incentivi vari. Questo può ridurre alcuni effetti distorsivi e semplificare il sistema fiscale, ma, di per sé, genera un aumento di tasse a carico di chi beneficia di quelle detrazioni. Credo, quindi, che solo la riduzione di spesa vera e propria possa strutturalmente ridurre il peso dello Stato sull’economia. E se le imposte dirette sarebbero nominalmente in calo, quelle indirette aumenterebbero, e non poco (soprattutto l’IVA).

Rossi assicura che il progetto non “implica un aumento della pressione fiscale oggi (come nel caso di alcune proposte relative al sedicente reddito di cittadinanza) o domani (come nel caso di alcune proposte sulla flat tax che si accompagnerebbero a un aumento dell’indebitamento) ma, al contrario, mira a ridurre significativamente tanto la pressione fiscale quanto il peso della spesa pubblica”.

Ancora: Una ipotesi di lavoro il cui obbiettivo di fondo è quello di un sistema di imposte e benefici equo, trasparente, semplice e che, senza equivoci e diversamente da come si è fatto negli ultimi vent’anni (con risultati a dir poco deludenti), fa una scelta di campo: la vera riforma della pubblica amministrazione si fa solo attraverso il processo di revisione strategica (e non funzionale) della spesa. Domandandosi che cosa lo Stato debba produrre e come, e non limitandosi a chiedere che faccia un po’ meglio quello che già fa”.

Ecco, magari questa domanda ce la si dovrebbe porre all’inizio e, perché no, rispondere che lo Stato meno fa, meglio è. Ma mi rendo conto che questo sarebbe incompatibile con chi si candida a fare proposte generalmente definite “pragmatiche” e “costruttive”. Magari finendo prima o poi a occupare qualche seggiola di consulente nel sottobosco ministeriale.

Per quanto mi riguarda, credo che Murray Rothbard abbia efficacemente demolito tanto il mito dell’imposta neutrale, quanto quello della flat tax (si vedano “The Mith of Neutral Taxation” e “The Case Against the Flat Tax”, entrambi disponibili su mises.org). Ovviamente Rothbard parte dal presupposto secondo cui la tassazione è un furto. Ho l’impressione che questo non sia lo stesso punto di partenza di chi lavora all’Istituto Bruono Leoni, nonostante il fondatore, in gioventù, si dicesse libertario.

Evidentemente si è reso conto che se si intende campare diffondendo idee, il libertarismo non paga. Peccato.

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4 COMMENTS

  1. Sul Sole 24 ore ho trovato questo:

    In tempi non sospetti, con Matteo Salvini, abbiamo lanciato la Flat Tax al 15% con uno studio dettagliato, supportato anche dal più autorevole esperto mondiale sull’argomento, il professor Alvin Rabushka.

    Il tema è stato sdoganato nel dibattito politico e la nostra proposta è stata dapprima ignorata, poi combattuta e infine condivisa da diversi ambienti che, come nel caso di Forza Italia, già in passato avevano provato a imporre l’argomento, ma senza successo.

    Ora stiamo assistendo alla diversificazione dell’offerta fiscale da parte di forze politiche e ambienti accademici a vario livello. I distinguo cominciano a farsi spazio e la percentuale dell’aliquota unica è diventata la terra di conquista che fonda la sua discriminante sulla sostenibilità economica del progetto.

    Così, se Salvini lancia l’aliquota unica famigliare al 15%, è facile dire che non è sostenibile o che è troppo bassa. Bisognerebbe però entrare nel merito, se si fosse davvero in buona fede e non si volesse solo fare marketing di prodotto.

    Se assumiamo come base di riferimento coloro che oggi pagano il 43% d’imposta diretta di sicuro può sembrare uno sconto fin eccessivo. Questa è considerata la platea di contribuenti più “ricca” e stiamo parlando di circa 300 mila italiani su 40 milioni di contribuenti (0,75%). Poi ci sono tutti gli altri.

    L’attuale sistema prevede già un’aliquota minima al 23% e la tassazione effettiva diretta per questa fascia di reddito e quella successiva (27%) si attesta tra il 5,9% e il 15,13% per effetto delle varie detrazioni e deduzioni in vigore. Sostenere un’aliquota unica per tutti al 23%, come propone Forza Italia, o al 25% come sostiene l’Istituto Bruno Leoni, significa escludere dal vantaggio fiscale più di 20 milioni di contribuenti.

    Non basta prevedere una “no tax area”, come propone Forza Italia, a 12mila euro per scongiurare profili di incostituzionalità (l’art. 53 Cost. impone criteri di progressività) o assicurare effettivo ristoro fiscale a tutti i contribuenti. La maggior parte rischierebbe di pagare di più, nonostante una deduzione ampia come prevede la proposta a 7mila euro presentata dal prof. Nicola Rossi dell’Istituto Bruno Leoni.

    Occorre poi ricordare che la Flat Tax non è solo un provvedimento di giustizia fiscale, ma un’iniziativa fondamentale per far ripartire i consumi e uscire dalla stagnazione in cui ci troviamo da quasi 10 anni. L’obiettivo è che milioni di contribuenti – in particolare le fasce medie che riversano in consumi le disponibilità economiche aggiuntive – si trovino più soldi in tasca da spendere per stimolare la produzione e quindi nuova occupazione.

    È vero, come ha affermato Berlusconi, che il lavoro si crea se le imprese possono investire, ma ancora prima lo si crea se riparte la domanda interna, altrimenti si rischia l’effetto Jobs Act.

    Il contributo di coloro che si battono per l’introduzione della Flat Tax in Italia è prezioso e fondamentale. È importante però lavorare sull’obiettivo comune, che preveda al contempo giustizia sociale e l’esigenza di dare un forte impulso ai consumi.

    La nostra proposta di Flat Tax al 15% con deduzioni fisse a 3mila euro sulla base di due scaglioni di reddito famigliare (come già trattata dal sottoscritto sulle pagine di questo giornale lo scorso 15 maggio) è il risultato di uno studio che concilia le esigenze di finanza pubblica con il massimo ristoro possibile per i contribuenti di tutte le fasce di reddito, a partire da quelle più basse.

    Si potrebbe discutere di aumentare l’aliquota, ma si dovrebbero modulare le deduzioni a scapito della semplificazione, che è un caposaldo della nostra riforma assieme all’abolizione dell’onere di inversione della prova e la pacificazione fiscale sul pregresso.

    La disponibilità al confronto è totale, però occorre essere d’accordo sulla finalità: stimolare la risposta immunitaria del sistema economico fino ad oggi tenuto ai minimi vitali da interventi solo sintomatici. I consumi ripartono e con essi la produzione e il lavoro, solo se nelle tasche della maggior parte dei contribuenti ci saranno maggiori risorse che consentano a ciascuno di progettare un futuro di rinnovata prosperità.

    (Armando Siri è consigliere economico di Matteo Salvini)

  2. Due calcoli veloci: l’aliquota Irpef più bassa è del 23% con detrazioni per figli e coniugi a carico più altre detrazioni, passare alla flat tax al 25% equivale ad aumentare le tasse ai più poveri e diminuirle ai più ricchi.
    Aumentare l’aliquota Iva al 25% equivale ad aumentare i prezzi e le tasse ai più poveri, mi rimane il dubbio che si vogliano eliminare le aliquote del 4 e del 10%. Eliminare l’Imu è cosa sacrosanta ma inciderebbe, nuovamente, solo sui ceti più elevati.
    Dire che tagliare la spesa pubblica perché si tagliano le detrazioni invece che tagliare i 20.000 forestali calabresi, i 4 milioni di dipendenti pubblici o i parlamentari più pagati al mondo è un enorme siocchezza, con il taglio delle detrazioni si aumentano le tasse.
    In poche parole una misura che porta solo ad invarianza di gettito (e di spesa pubblica) aumenta la pressione fiscale sui ceti più bassi e la diminuisce su quelli più elevati, probabilmente sperando che così aumentino i consumi e per grazia divina i soldi non prendano le consuete strade elvetiche. L’aumento dell’Iva dovrebbe sempre portare all’aumento dell’inflazione con diminuzione del valore del debito pubblico, invece porterà solo a diminuzione ulteriore dei consumi, ulteriore recessionee diminuzione di gettito erariale.
    Io rimango sempre dell’idea che ci sono solo due soluzioni, copiare senza alcuna variazione il sistema tributario elevetico, con le stesse aliquote, è un sistema esistente, funzionante, collaudato e scritto in italiano, e come seconda soluzione mettere in <costituzione un tetto massimo di prelievo foiscale e contributivo al 33%.
    Credo che con la flat tax al 25% un cittadino con 12000 euro di reddito netto annuo pagherebbe 3000 euro di irpef, 3200 euro di contributi previdenziali ed immaginando che non ci sia nessun risparmio e il reddito rimanente di 5800 euro finisca tutto in consumi (bollette, benzina ecc) altri 1500 euro di Iva, sempre che altri balzelli come la Tari o il canone rai spariscano. Un totale di 7700 euro di tasse e contributi su 12000 euro! Il 64,16% del reddito.

    • Vero, verissimo, la soluzione i libertari la proposero una decina d’anni fa: abolire tutte le tasse meno che una. Ma inutile ripetersi e speriamo che non vadano a recuperarla. Poi tanto il problema non è il bilancio, il debito pubblico, il problema è il debito fiscale. Inutile cercare di fermarli, si fermeranno da soli……

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