di PIETRO AGRIESTI
La discussione pubblica, con un importante ruolo dei media e della stampa, dovrebbe controllare la politica e le sue istituzioni in democrazia. Ma, si dice, la discussione pubblica è piagata dalla disinformazione. Quindi si rende obbligatoria l’adozione di politiche contro la disinformazione, si assegna alle istituzioni politiche il compito di stabilire cosa sia la disinformazione, e si stabilisce una collaborazione coatta tra politica e istituzioni statali, in cui la stampa, i media, i social e una serie di altre aziende sono chiamate a tradurre in pratiche di moderazione, censura, propaganda, etc… le indicazioni della politica e delle istituzioni.
Con questo si ottiene un ribaltamento dei ruoli in cui quelli che dovrebbero essere i controllati controllano i controllori. Si dice che è per difendere la democrazia, ma non può esserlo, perché è un ribaltamento dei più elementari principi democratici.
D’altronde era un esito prevedibile. Se i controllori non hanno strumenti coercitivi per tenere a bada i controllati, e i controllati hanno l’apparato coercitivo statale, e hanno in mano i soldi delle tasse, la scuola, i media statali, il finanziamento pubblico ai media, la regolamentazione del mercato, etc… e danno lavoro o sussidiano direttamente o indirettamente a buona parte dei controllori, i rapporti di forza sono tali per cui non possono che essere loro a controllare il gioco.
Quindi i sistemi democratici si rivelano una gran presa per il culo.