Sulla questione abbiamo ricontattato Roberto S. (giornalista veneto che vuole godersi serenamente l’anonimato visto che oggi è in pensione) trasferitosi a Barcellona da oltre 27 anni, che già avevamo consultato in altre occasioni, per chiedere la sua opinione.
ET: Perché ritieni che alle elezioni del 27 settembre 2015, volute da Artur Mas come una sorta di plebiscito per avviare l’autodeterminazione, si rafforzeranno invece gli unitaristi?
Roberto S.: Nel 2012 erano tutti indipendentisti. Adesso si intravvede che andranno al voto estremamente frammentati invece di uniti come voleva A. Mas. Trovo particolarmente scioccante osservare il trend negli ultimi giorni. Tutti sembrano sfuggire le proprie responsabilità: la colpa è sempre addossata a qualcun altro. Oriol Junqueras (10º presidente in carica di Esquerra Republicana de Catalunya: ERC), con la sua strategia di voler raggruppare tutta la sinistra sbaglia. Sembra voglia presentarsi con una lista aperta (CER 27-S) e senza il simbolo di ERC, anche perché tutti gli elettori ne hanno piene le scatole dei partiti politici. La sinistra anticapitalista e indipendentista di Cup (Candidatura d’Unitat Popular) può essere assimilata ai Centri Sociali italiani, sono dei puristi i quali malgrado oggi controllino alcuni Comuni, difficilmente potranno attrarre grandi consensi. Il CiU (Convergència i Unió) è una coalizione di partiti politici attiva nella comunità autonoma Catalana. Il 1980 segna l’inizio dell’egemonia di CiU nella politica catalana. L’alleanza guidata da Jordi Pujol ottiene 43 seggi al parlamento catalano e la guida del governo regionale; ma da allora ad ogni elezione ha perso rappresentanza. A settembre Unione Democratica di Catalogna (UDC), di matrice cristiano-democratica ha già dichiarato che si presenterà da sola. Quindi il CiU non esiste già da adesso. Il partito Ciudadanos di Albert Rivera, invece, è più moderato e liberale, ma è anti-indipendentista. Podemos, l’antipolitica grillina guadagna simpatizzanti in Spagna e sono possibilisti circa l’indipendenza catalana. Un sondaggio di marzo di Metroscopía per il quotidiano «El País», colloca Ciudadanos come quarta forza politica per intenzioni di voto (18,4%) ma a parità tecnica con il partito di Pablo Iglesias: Podemos (22,5%). Il Psoe ottiene un 20,2% e il Partito popolare dell’attuale premier Mariano Rajoy si ferma a un 18,6%. La Generalitat de Catalunya presieduta da Artur Mas non raccoglie molti consensi popolari, perché è manipolata. Alcuni addirittura sono considerati dei venduti. E così via all’infinito.
ET: Ma perché Artur Mas & Co. hanno preso la decisione di indire le elezioni?
Roberto S.: A mio modo di vedere si tratta di un gioco di specchi. Jordi Pujol (il “padre della patria” catalana) l’anno scorso ha confessato d’aver commesso dei reati fiscali, che sono gli stessi che vengono imputati ad Artur Mas. L’intera classe politica spagnola non è molto dissimile da quella italiana. A mio modo di vedere, e l’ho già detto in una precedente nostra conversazione, stanno mettendo “il cappello” sul malcontento popolare per contenerlo, distrarlo, renderlo inoffensivo. Molti di quel 1.800.000 votanti «Sì» il referendum-sondaggio del 9 novembre 2014, hanno cominciato a stancarsi e a non interessarsi più della questione. Quella stessa chiamata alle urne oggi suscita perplessità, perché non si è votato un solo giorno come in origine annunciato, bensì per circa dieci giorni. Facile argomento di dileggio per gli unitaristi spagnoli. Anche i sondaggi sembrano volutamente “abborracciati”. È vero che ogni sondaggio è eterodiretto, tuttavia… mi sono appuntato due cifre di una ricerca fatta pochi mesi fa: il 77% degli intervistati affermava che la classe politica era molto onesta. L’83% che era molto corrotta. C’è da scompisciarsi dalle risa. Fa venire in mente il Veneto della «balena bianca». Nessuno dichiarava d’aver votato per i democristiani, tuttavia questi vincevano le elezioni. Tsz! È mia opinione che ciò sia funzionale a veder prevalere gli unitaristi spagnoli il 27 settembre prossimo. È una precisa strategia tesa a logorare chi è sinceramente indipendentista.
ET: Tuttavia il 13 maggio 2015 [VEDI QUI] la Danimarca chiede una soluzione democratica e pacifica attraverso il dialogo tra la Catalogna e la Spagna. Primo dibattito sul diritto di autodeterminazione della Catalogna in un Parlamento europeo. E nei giorni scorsi il Consiglio d’Europa, che è un’organizzazione internazionale e non un’istituzione dell’Unione europea, ed ha come obiettivo la difesa dei diritti umani, la tutela dell’identità culturale e la risoluzione dei problemi sociali del continente europeo, su proposta del danese Jacob Lund voterà un documento nel quale si afferma il diritto di autodeterminazione della Catalogna e sostiene che il dibattito dovrebbe essere fatto a livello europeo. Il documento indica:
- Il Consiglio d’Europa dovrebbe prendere in considerazione la questione della autodeterminazione della Catalogna, e della maggior parte delle regioni europee, evitando di impedire alle persone di esercitare il loro diritto all’autodeterminazione.
- Inoltre, la discussione sull’indipendenza dovrebbe avvenire in un contesto di dialogo pacifico e democratico tra l’area regionale interessata e il governo del proprio stato.
- Tutti dovrebbero essere incoraggiati a realizzare un dialogo pacifico e democratico con risposte costruttive alla situazione, come hanno fatto alcuni membri del Consiglio d’Europa: Regno Unito, Danimarca, Svezia e Norvegia.
- L’Europa dovrebbe promuovere le migliori pratiche su questioni di autodeterminazione per l’intero continente.
Questo non è positivo?
Roberto S.: Naturalmente sì! Forse è uno dei risultati che nemmeno sospettavano quando hanno creato sedi “diplomatiche” della Catalogna in giro per l’Europa. Una ce n’è – se non vado errato – anche a Roma. Cosa interessi a «Roma ladrona» l’indipendenza della Catalogna a me rimane oscuro. Ciò nonostante i danesi hanno preso sul serio la cosa, e soprattutto stanno operando per l’interesse di tutti gli indipendentisti di questo continente. Semmai, ancora una volta nutro perplessità su chi ha preso l’iniziativa, ovvero il comitato DIPLOCAT
La missione e gli obiettivi di DIPLOCAT sono degni di nota, ma è la solita magniloquenza: si tratta di un partenariato pubblico-privato, per promuovere il dialogo e costruire relazioni tra i cittadini della Catalogna e il resto del mondo. Cercano di contribuire alle discussioni sulle principali sfide globali promuovendo il coinvolgimento attivo della società catalana nel reciproco scambio di idee e buone pratiche in settori chiave come il governo, le imprese, la cultura e l’istruzione, al fine di promuovere una più giusta, più pacifica azione che sia sostenibile nel mondo democratico, e a rafforzamento delle capacità nelle relazioni internazionali. Chi può essere contrario a queste cose?
Ma basta dare uno sguardo ai suoi membri per comprendere che siamo di fronte alla solita «Compagnia di giro» [VEDI QUI]: c’è la Generalitat de Catalunya, alcuni Consigli provinciali e alcuni Comuni oltre all’Associazione catalana di Comuni e Contee, ovverosia i rappresentanti dei partiti politici. Ci sono le banche, le Camere di commercio, le associazioni imprenditoriali, le cooperative, i sindacati, le università, e c’è persino la federazione calcio di Barcellona.
Ora si deve tener presente che da sempre in Catalogna hanno “dominano” circa 400 famiglie di grandi imprenditori. Per intenderci sull’influenza di queste famiglie, consideriamo che furono le protagoniste ed i principali sponsor del modernismo catalano, che fece parte del più vasto fenomeno europeo dell’Art Nouveau, anche se con caratteristiche proprie legate da una parte ad un certo eclettismo storicista e dall’altro al manifestarsi di esuberanti e sperimentali linguaggi personali, come quello di Antoni Gaudí, ritenuti anticipatori delle immagini di alcune delle avanguardie di inizio XX secolo. Secondo il mio punto di vista, costoro (molto presenti nell’elenco sopraccitato) non hanno ancora ben chiari i vantaggi dell’indipendenza. Teniamo presente poi che costoro hanno un prevalente mercato spagnolo per le loro produzioni. L’opposto, per esempio, di quanto avviene per l’imprenditoria in Veneto.
Malgrado tutto ciò, faccio voti affinché il Consiglio d’Europa, che, ripeto, non è un organismo dell’UE, deliberi in senso favorevole alle aspirazioni dei vari popoli di questo continente. Ma questo non deve indurci a credere d’aver trovato il bandolo della matassa, per così dire, perché la Commissione giuridica del Consiglio d’Europa ha espresso “profonda preoccupazione” per l’elevato numero di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che non sono ancora state attuate dagli Stati interessati. Una cifra che è pari a circa 11.000 casi. Nonostante alcuni progressi, «la scala dei problemi in sospeso è allarmante», ha affermato il relatore Klaas de Vries (Olanda) in un rapporto reso pubblico il 25 giugno 2015. Egli ha sottolineato che quasi l’80% delle sentenze riguarda solo nove membri – Italia, Turchia, Russia, Ucraina, Romania, Grecia, Polonia, Ungheria e Bulgaria – dove i problemi strutturali profondamente radicati spesso generano casi di ripetizione. «Ci sono sempre più casi in cui gli Stati membri sembrano restii ad attuare sentenze della Corte», ha detto De Vries, aggiungendo che un numero crescente di sentenze non sono ancora state attuate dopo più di dieci anni.
ET: In conclusione qual’è il tuo punto di vista sugli indipendentisti veneti?
Roberto S.: In primo luogo dovrebbero guardare al di fuori dei propri confini. Non c’è solo la Danimarca che è sensibile a determinati argomenti; anche la Svizzera dovrebbe essere coinvolta. In secondo luogo, e tu lo stai scrivendo da anni, gli indipendentisti debbono elaborare un progetto per il nuovo soggetto istituzionale. Infine debbono smettere di pensare d’entrare nelle istituzioni italiane; non è attraverso quella via che si otterrà l’indipendenza. Vent’anni fa hanno forse ottenuto l’autonomia e il federalismo che chiedevano?
Guardando alle recenti elezioni regionali venete, noto che i vari partiti indipendentisti hanno tutti perso. Anche coloro che hanno eletto un Consigliere. Cosa mai potrà fare questo singolo in un’assemblea di cinquanta consiglieri tutti più o meno orientati al massimo sull’autonomia, non certo all’indipendenza?
Ho notato che l’hai scritto tu, io quindi non posso che associarmi: se gli pseudo leader di questi partiti avessero fatta propria l’etica politica anglo-sassone, essi avrebbero già dato le dismissioni, sgombrando il campo ad altri soggetti altrettanto o più indipendentisti di loro. Si può sperare nel loro senso di responsabilità; ma io ne dubito. Quanto alla frammentazione dei veneti che si riconoscono nell’indipendentismo, credo che farebbero bene ad osservare la frammentazione catalana e domandarsi: Cui prodest? (“a chi giova?”). All’indipendenza NO!