di MATTEO CORSINI
A costo di ripetermi, sono convinto che a novembre gli elettori americani che decideranno di votare potranno scegliere tra il male e il peggio. Da lettore abituale delle Opinion di Bloomberg, mi imbatto quotidianamente negli articoli a supporto di Kamala Harris, mentre fino al giorno prima della sua “spintanea” ritirata leggevo articoli a favore della rielezione di Joe Biden (lo stesso fondatore Micheal Bloomberg non faceva mistero di esserne un sostenitore). A tale proposito, è interessante notare come la neo candidata sia ora considerata una sorta di bambina prodigio, mentre per anni è rimasta sostanzialmente all’ombra di un ottuagenario che porta decisamente male i suoi anni. Come si fa presto a cambiare (radicalmente) idea…
Quello che trovo grottesco è il tentativo di far passare Biden (e la sua vice) per un fautore di una politica fiscale “responsabile”, mentre con Trump il bilancio federale esploderebbe. Non che sia inverosimile che con Trump i conti andrebbero ancora peggio di oggi, ma è un organo non partigiano come i Congressional Budget Office a proiettare numeri fuori controllo nei prossimi anni, e lo fa sulla base della legislazione vigente.
Trump entrò in carica con un deficit attorno al 3% del Pil e nei primi due anni della sua amministrazione in effetti aumentò al 4.7%. D’altra parte la sua era una politica che ridusse in le tasse (riduzioni che scadrebbero nel 2025) senza ridurre (anzi!) le spesa federale.
Poi ci fu l’esplosione nel biennio del Covid e nel frattempo alla Casa Bianca arrivò Biden. Non c’è da stupirsi se nel 2021 il deficit sia sceso dal 15.2% al 10.5% del Pil, e neppure che la discesa sia proseguita fino al 5.4% del 2022. Ma poi la politica fiscale ancora espansiva, in un contesto che ha attirato le critiche perfino da parte di economisti di orientamento democratico, ha fatto aumentare nuovamente il deficit fino al 6.5% di fine 2023. Quest’anno non dovrebbe essere inferiore al 7% secondo il CBO e neppure il prossimo migliorerebbe in modo tangibile.
Quindi non si direbbe che l’amministrazione Biden abbia solo subito l’eredità dei deficit di Trump, come fa Matthew Yglesias. Il quale poi sostiene che Biden non prorogherebbe i tagli di tasse voluti da Trump, quindi i conti migliorerebbero.
In sostanza, più tasse ai ricchi, nessun taglio di spesa, e le cose andrebbero a posto.
Il che non è verosimile, a prescindere da cosa si pensi degli aumenti di tasse.
Ancora più assurdo è sostenere che la Fed potrebbe poi abbassare i tassi di interesse, perché gli alti tassi “hanno reso molto più duro comprare una casa, ristrutturarla o finanziare una nuova auto.” In sostanza le famiglie avrebbero più difficoltà per “l’alto costo del denaro che per il costo dei beni“. Leggendo affermazioni del genere mi chiedo se chi le scrive sia ignorante o in malafede.
Prendiamo l’esempio dell’auto. Prima della recente ondata inflattiva e anche della spinta all’elettrificazione, si poteva acquistare a 20mila dollari ciò che oggi ne costa circa 25mila. Ipotizzando un finanziamento a 5 anni, prima dei rialzi dei tassi da parte della Fed il tasso si aggirava sul 4.5%. La rata mensile era di circa 373 dollari, quindi nell’arco dei 5 anni si sarebbero pagati 2.372 dollari di interessi, restituendo complessivamente alla società finanziatrice 22.372 dollari. Oggi il finanziamento si otterrebbe a un tasso dell’8.25% (dati medi ufficiali), la rata mensile per un finanziamento di 20mila sarebbe di 408 dollari e in 5 anni si pagherebbero 4.475 dollari di interessi, restituendo complessivamente alla società finanziatrice 24.475 dollari.
Va da sé che se anche il tasso fosse rimasto al 4.5%, dovendo finanziare 25mila dollari la rata sarebbe di 466 dollari e in 5 anni si pagherebbero 2.965 dollari di interessi, restituendo complessivamente alla società finanziatrice 27.965 dollari. Paradossalmente si spenderebbero 25 dollari in più anche senza ricorrere ad alcun finanziamento. Indubbiamente dover poi finanziare 25mila dollari all’8.25% comporta pagare 510 dollari di rata, 5.594 dollari di interessi e, quindi, un montante finale di 30.594 dollari.
Ma i numeri dicono che il problema principale è l’aumento dei prezzi (per il quale la politica monetaria non è mai esente da responsabilità), che poi ha costretto la Fed ad alzare i tassi (peraltro in ritardo). E se poi i prezzi dovessero aumentare in futuro “solo” del 2% annuo come da obiettivo della Fed, questo vorrebbe dire che aumenterebbero meno rapidamente,
ma non che comprare un’auto costerebbe meno di prima, anche se tornasse a essere meno oneroso il tasso di interesse sul finanziamento.
Ognuno è libero di sostenere Harris, così come fino a un mese fa elogiava Biden, e prefigurare scenari da incubo se tornasse Trump alla Casa Bianca (credo che per i pagatori di tasse americani del futuro gli incubi ci saranno a prescindere), ma sarebbe meglio se le affermazioni non fossero in palese contrasto con la realtà dei fatti (e dei numeri).
Shitty Trump sbandiera i suoi quattro spicci di patrimonio (Musk ne ha 80 volte tanto), fatti più dal suo pspi che da lui, come prova che lui è uno in gamba. Maddechè?
E infatti che ci siano gli Appalachians tra i suoi più fedeli estimatori (rivedere “Deliverance” per il discorso sulle tare genetiche), non mi stupisce affatto.
Io con un crony cap da sempre, un incapace finito 6 volte in chapter 11 non voglio avere nulla a che fare.