Pur essendo abituati a produrre supercazzole a raffica in sala stampa (e non solo), al termine del Consiglio dei ministri nel quale è stato dato il via libera al Documento di Economia e Finanza nessun esponente del governo ha voluto incontrare i giornalisti.
Pare di capire, però, che pur a fronte di un andamento del Pil per nulla stellare come si intestardivano a ribadire fino a poche settimane fa i firmatari del “contratto per il governo del cambiamento”, non vi sia l’ombra di misure correttive, mentre si ripete che non ci sarà l’aumento dell’IVA previsto dalle clausole di salvaguardia (oltre 23 miliardi nel solo 2020) e, anzi, si procederà a ridurre le tasse, con una flat tax che flat in ogni caso non sarebbe.
Da dove verrebbero le coperture? Questo si legge, tra le altre cose, nel DEF:
- “Si continuerà l’opera di revisione della spesa pubblica con l’obiettivo di ridurre il rapporto fra spesa corrente e Pil e di aumentare la spesa per investimenti”.
Non si capisce per quale motivo sia stato utilizzato il verbo “continuare”, dato che finora non è stato fatto praticamente niente. Anzi, nella legge di bilancio per il 2019, alla faccia degli investimenti pubblici con moltiplicatori che neanche il più entusiasta dei keynesiani avrebbe la spudoratezza di spacciare, si è proceduto a contrarre ulteriormente gli investimenti a favore di spesa corrente per reddito di cittadinanza e prepensionamenti a quota 100.
Anche questa volta è stato evocato il mitologico team “mani di forbice”, una delle più grandi supercazzole (copyright dello steward e webmaster di Pomigliano) tra le tante che ci sono state somministrate nell’ultimo anno.
Per di più, a fronte di un decreto pomposamente intitolato “crescita”, il governo prevede ora che da un tendenziale di +0.1% il Pil potrebbe crescere dello 0.2%. Non sto a entrare nel merito dei numeri, ma è evidente che se perfino il governo arriva a essere così prudente significa che si tratta di aria fritta. Si ricordi che, fino a poche settimane fa, tanto il presidente del Consiglio quanto i suoi vice continuavano a ritenere possibile una crescita del Pil pari all’1% nel 2019, che, dato l’andamento degli ultimi due trimestri del 2018 e quello prevedibilmente non entusiasmante del primo trimestre del 2019, sarebbe stata realizzabile con tre trimestri a livelli da anni Sessanta del secolo scorso.
Pare poi che continui a essere immutato l’obiettivo di realizzare 18 miliardi di euro di incassi da dismissioni di attività reali o finanziarie. Anche in questo caso, considerando che un trimestre è già passato è non è stato ceduto (né, di conseguenza, incassato) niente, la credibilità dell’obiettivo è semplicemente pari a zero. Purtroppo il momento della resa dei conti con la realtà si avvicina ogni giorno di più, e temo che non ci siano prospettive rosee per i pagatori di tasse.