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Il “diritto di voto” e il “diritto al non voto”

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di DOMENICO LETIZIA

Ogni democrazia, di qualsiasi matrice sia, di facciata o meno, a distanza di svariati anni, che possono cambiare, si misura con i cittadini in quello che è divenuto il rituale più seguito dai media: le elezioni. Il voto dalla nascita dello stato moderno e democratico è sempre stato rappresentato come un valore sacro, morale, del popolo intero e tale deve rimanere se di una sana e seria democrazia parliamo. Ma vi è responsabilità nel voto? In Italia spesso si parla di clientelismo e di compravendita durante le elezioni, certamente nessuno può mettere in dubbio che individui che fino al momento elettorale non hanno svolto attività politica e nonostante ciò vengono eletti con migliaia  di voti, nessuno può negare che vi è un effetto di fondo di antidemocrazia in democrazia, quel voto semplicemente possiamo dire è stato comprato.

La Costituzione Italiana ricorda che il voto è un “dovere civico”, dimenticando spesso che tale gesto deve essere accompagnato da un enorme responsabilità, altrimenti secondo semplice logica sarebbe più responsabile, quindi di conseguenza più etico e civico, astenersi da tale rituale elettorale.

Il filosofo politico della Georgetown University, Jason Brennan, sviluppò una tesi talmente originale del “rituale” del voto da risultare democratica e responsabile, potremmo dire, autenticamente liberale e senza cadere in campagne astensioniste per principio, anzi induce ad una profonda riflessione che mette in discussione tutto l’attuale sistema elettorale dei valori politici e di cosa induce poi realmente al voto. Brennan parte da un presupposto, opposto alla comune opinione, il «dovere di non votare», un obbligo morale che coinvolge quelle persone che semplicemente non dedicano alle scelte collettive sufficiente attenzione da indicare un voto “a ragion veduta”. Ricordando che non è vero che una democrazia a elevata partecipazione è necessariamente una democrazia migliore ma che  “i votanti irresponsabili dovrebbero astenersi piuttosto che votare male”.

Brennan difende tale posizione partendo da un assioma di diritto individuale, di responsabilità individuale, il voto non viene analizzato secondo logiche di comunità, secondo logiche di massa, ma per quello rappresenta realmente, un gesto di scelta individuale e teoricamente di responsabilità. Da questi punti bisognerebbe partire per una sana riflessione sul senso civico del recarsi a votare, ricordandosi che individualmente si dovrebbe agire responsabilmente per gli altri. Infatti il paragone di Brennan è forte, ma significativo: “Un elettore è come un chirurgo. Nessuno obbliga nessuno a studiare medicina, nessuno costringe nessuno a esercitare il diritto di voto. Ma, in un caso e nell’altro, le azioni intraprese da un chirurgo piuttosto che l’esito di un’elezione hanno conseguenze sugli altri”. Come non riconoscere veritiere le argomentazioni del giovane filosofo politico, come non condividere l’affermazione “gli elettori non sono costretti a votare, ma se lo fanno, essi debbono a se stessi e agli altri di essere adeguatamente razionali, privi di pregiudizi, retti e informati circa i propri convincimenti politici”.

Tali considerazioni in un paese a democrazia clientelare come l’Italia non potrebbero che indurre ad una seria riflessioni sul concetto di elezione, oltre la vittoria della maggioranza, anche altri dovrebbero essere le ricerche di un’ analista della politica, quelle della responsabilità e della convinzione con cui ci si reca al voto, ricordando che una scelta sbagliata è sostanzialmente nulla per la collettività, tante scelte errate e irresponsabili è il crollo e il dramma per la comunità, anche in ciò la vittoria morale del mercato è visibile e genuina.

In democrazia il voto della maggioranza, soprattutto quando irresponsabile, cade inevitabilmente anche su chi a questo gioco vuole restare fuori o semplicemente si considera minoranza, il “voto del mercato” cade semplicemente su colui che ha esercitato tale gesto senza influire sugli altri. Se in democrazia dobbiamo decidere se gustare caramelle dolci al miele o alla vaniglia e il 51% decide per quelle al miele anche la restante percentuale dovrà coercitivamente “gustare” tali caramelle; nel mercato se il 51% decide per le caramelle al miele, il restante 49% potrà assaporare quelle alla vaniglia o semplicemente scegliere altro, senza il timore di essere minoranza e senza il tremore di giustificare totalitarismi.

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