di MATTEO CORSINI
Come è noto, Putin ha disposto che le forniture di idrocarburi esportate da imprese russe siano pagate in rubli, anziché in dollari o euro, come previsto dai contratti in essere.
Da settimane si parla di questa faccenda dei pagamenti in rubli. A me pare tutto privo di significato sostanziale, almeno fino a quando Gazprombank continuerà a operare nell’ambito di SWIFT.
Secondo quanto disposto dallo zar, le società estere importatrici di idrocarburi dovrebbero aprire un conto in rubli presso Gazprombank, dove già hanno conti in euro o dollari sui quali inviano le somme in tali divise come pagamento delle forniture.
Per fare un esempio pratico, Gazprom esporterebbe il gas, la società importatrice invierebbe euro o dollari a Gazprombank, la quale convertirebbe la somma in rubli sul nuovo conto, poi accrediterebbe Gazprom.
Checché ne dicano le autorità europee, a cominciare dalla presidente della Commissione Ursula von del Leyen che parla di “alto rischio di violazione delle sanzioni”, non è affatto l’apertura o meno del conto in rubli a fare la differenza.
Putin potrebbe imporre alle società russe di convertire in rubli tutti gli incassi in divisa ricevuti (già ora devono convertire l’80%), e l’effetto sarebbe lo stesso. E fino a quando ci sono banche, come appunto Gazprombank, che sono esenti dall’esclusione da SWIFT, ha davvero poco senso il dibattito attorno ai pagamenti in rubli.