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Il gran rifiuto di San Martín e il sogno della presidenza di Milei

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di ALESSANDRO FUSILLO

La scelta di Javier Milei di scendere in politica, come si dice molto efficacemente, va compresa alla luce della storia argentina. Il concetto di discesa, spesso utilizzato da Berlusconi, è molto efficace perché è emblematico della degradazione morale che è sempre insita nell’attività politica che è per definizione un’attività di natura criminale poiché vive di denaro estorto forzosamente ai cittadini mediante le imposte. Ragione per cui il mondo libertario ha sempre aborrito la politica, è sempre stato contrario al voto alle elezioni ed ha opposto un rifiuto netto e senza compromessi a tutto ciò che è legato all’ambito della res publica.

Come è noto, Javier Milei, l’unico politico libertario nella storia dell’umanità che sia riuscito a costruire un movimento di massa dichiaratamente liberale e libertario – miniarchico nel breve periodo e anarchico nel lungo – ritiene, invece, che “sporcarsi le mani” sia necessario, che la discesa in politica sia il passaggio obbligato per evitare che i criminali veri, come i peronisti argentini, continuino ad occupare le leve del potere derubando e frodando sistematicamente una cittadinanza troppo ipnotizzata per comprendere i reali meccanismi che costituiscono la natura dei grandi latrocini in cui consistono gli stati, per dirla con Sant’Agostino. Dopo Ron Paul il tentativo di Milei è il più convincente e il più degno che sia mai stato tentato. Basti ricordare che Milei non incassa il suo stipendio da parlamentare che viene regolarmente sorteggiato tra i cittadini che si iscrivono ad una riffa più unica che rara. L’idea che i denari delle imposte siano il frutto di una rapina è per Milei una realtà concreta e non uno slogan da tradire al momento opportuno.

Perché, dunque, Milei può dire con buone ragioni che il suo tentativo è l’unica strada possibile, anche a costo della contraddizione inevitabile di un libertario che si candida come presidente di uno stato, oltretutto tra i più disastrati del mondo? Come possiamo noi libertari, che pure abbiamo predicato l’astensione alle ultime elezioni italiane, stare dalla parte di Milei e augurargli di cuore di vincere la competizione elettorale argentina?

Le ragioni vanno ricercate nella storia sudamericana e, in particolare, nell’altro personaggio argentino che per molti versi è il grande precedente dell’azione di Javier Milei. Parliamo del Generale José de San Martin, liberatore – libertador – delle province del Rio de la Plata e di tutto il continente sudamericano alla guida delle invincibili armate che realizzarono una delle operazioni più incredibili della storia militare di tutti i tempi, la traversata delle Ande – el Cruce del los Andes – per andare a sconfiggere in Cile l’esercito spagnolo.

Sorprendentemente San Martín, la cui aspirazione era quella di essere il George Washington sudamericano, lasciò il potere e il comando militare cedendolo ad un personaggio crudele e vanesio, oltre che molto inferiore a San Martín dal punto di vista tattico e strategico, come Simón Bolívar all’esito del ben noto incontro di Guayaquil (Entrevista de Guayaquil).

Poco dopo San Martín rinunciò a tutti gli incarichi pubblici dicendosi soddisfatto di aver lottato per la causa della libertà e di aver liberato il continente dagli spagnoli. Ma il suo fu in realtà un lungo ed amaro esilio dal quale non volle più ritornare per evitare di prendere le armi contro i compatrioti lasciandosi trascinare nelle lotte intestine della nuova nazione argentina. Il risultato del gran rifiuto di San Martín, che pure aveva il continente in mano, è sotto gli occhi di tutti. Bolívar e Rosas, che dopo San Martín furono in grado di impossessarsi del potere e che tutt’ora sono l’archetipo del dittatore sudamericano di destra (Rosas) e di sinistra (Bolívar) gettarono rapidamente le basi per il disastro politico che ancora perdura nell’America Latina. L’esempio negativo di San Martín che ritenne sufficiente dare la libertà ai popoli affrancati dai suoi eserciti per ritirarsi poi in Francia lontano dalla vita politica, ma che finì per lasciare l’Argentina in mano a Rosas e ai suoi successori è la ragione che deve aver spinto Milei a seguire una strada uguale e contraria a quella del grande generale.

Il timore che si percepisce netto nell’azione politica e pubblica di Milei è che senza di lui la deriva criminale dell’Argentina non potrà che aggravarsi e che questa trascinerà nel baratro l’intero Sudamerica. Pertanto, pur con tutte le contraddizioni che caratterizzano il sogno utopico dello stato minimo e con tutte le difficoltà di cui è irta la strada di Milei, le speranze che egli riesce a suscitare sono quelle del campo liberale e libertario di tutto il mondo.

Se la rinuncia di San Martín ha finito per frustrare le speranze di libertà che la rivoluzione nelle ex colonie dell’impero spagnolo aveva fatto sorgere, forse il tentativo di Milei potrebbe significare un’inversione di tendenza in grado di cambiare la storia non solo dell’Argentina e dell’America Latina ma di tutto il mondo. Noi libertari non possiamo che sostenere Milei ripetendo il suo motto: ¡Viva la libertad carajo!

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