Salvatore Musumeci (nella foto), docente della scuola dell’obbligo, musicista e giornalista pubblicista, nel 2004, insieme ad altri indipendentisti, ha riorganizzato il MIS, Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, fondato da Andrea Finocchiaro Aprile nel 1943 e che prese il nome da un’iniziativa, tutta catanese, del prof. Santi Rindone, titolare dell’omonima clinica chirurgica di San Giovanni La Punta.
Professore Musumeci, nel momento in cui molti militanti avrebbero voluto archiviare definitivamente il MIS lei ha avuto il merito di rilanciare il movimento alla politica attiva favorendo l’adesione di numerosi amministratori locali: qual è il bilancio ad oggi?
«Se consideriamo che nel periodo 1998/2003 ero l’unico consigliere comunale (Santa Venerina) dichiaratamente indipendentista, molti passi in avanti sono stati fatti. Abbiamo riportato il MIS alla politica attiva, guadagnando presenze istituzionali (11Consiglieri Comunali, 2 Sindaci, 2 Vice Sindaci ed Assessori) in diversi Comuni della Sicilia Orientale. Recentemente, ha aderito al MIS il vicesindaco di Mascalucia, avv. Fabio Cantarella. Non escludiamo che qualcosa di simile possa accadere, a breve, nel palermitano. Non siamo un partito ma un movimento, trasversale a qualsiasi formazione ideologica. Ci unisce l’amore per la nostra terra, o meglio, per la “causa siciliana”. Non abbiamo mai percepito finanziamenti di alcun genere e non ne cerchiamo. Ci autofinanziamo. Chi ci segue sa che noi non promettiamo posti di lavoro, né alcun tipo di privilegi. Noi promettiamo il nostro impegno a fare emergere la meritocrazia per costruire una Sicilia migliore. La mala pianta della corruzione la possono sconfiggere i Siciliani, aprendo gli occhi e dando fiducia ad un progetto politico territoriale fatto da uomini, donne e giovani seri e preparati. Noi ne abbiamo tanti… ai Siciliani, purtroppo, occorre il coraggio di cambiare. Basta crederci!».
Perché la storia legata alle lotte indipendentistiche siciliane non s’insegna nelle nostre scuole? I giovani d’oggi, ma anche i meno giovani, difficilmente conoscono le vicissitudini di Antonio Canepa e tanti altri siciliani che si sacrificarono inseguendo il sogno della Sicilia-Stato: le pare giusto?
« C’è sta una damnatio memoriae che parte da lontano. Essa impera da oltre 150 anni sulla Sicilia e i siciliani, consolidando l’assunto che l’Isola sia sempre stata una colonia con un popolo incapace e sottomesso. Insomma un popolo di vinti (sic!). Di conseguenza è risultato facile ridurre i lemmi Sicilia e siciliani a sinonimi di povertà economica, culturale e spirituale; arretratezza; sottosviluppo… e se poi si aggiunge mafia e mafiosità, non rimane più nulla di salvabile. Per cancellare un popolo basta togliergli la lingua parlata e la memoria storica: perde l’identità e l’orgoglio di essere. Infatti, abbiamo perso tutto. Siamo stati deculturalizzati, desicilianizzati, colpevolizzati e forzatamente italianizzati; e tutto ciò è avvenuto con la complicità della classe politico-dirigente siciliana. Come spiega il giornalista Pino Aprile (nel suo Terroni, ed. Piemme 2010): “È accaduto che i meridionali (nel caso nostro, i siciliani) abbiano fatto propri i pregiudizi di cui erano oggetto. E che, per un processo d’inversione della colpa, la vittima si sia addossata quella del carnefice. Succede quando il dolore della colpa che ci si attribuisce è più tollerabile del male subìto. Così, la resistenza all’oppressore, agli stupri, alla perdita dei beni, della vita, dell’identità, del proprio paese, è divenuta vergogna”. Verosimilmente, proprio per nascondere questa presunta “vergogna” abbiamo preferito studiare (leggasi: siamo stati costretti), la storia scritta dai vincitori – su manuali pubblicati altrove –, relegando la storia della nostra Isola e, in particolar modo il periodo abbastanza recente, del separatismo nel dimenticatoio, quasi come atto d’abiura identitaria. Lodevole è stato il tentativo del parlamento siciliano di sensibilizzare le istituzioni scolastiche – non potendo imporre – con la legge n. 9 del 18 maggio 2011, fortemente perorata dal MIS, “Promozione, valorizzazione ed insegnamento della Storia, della Letteratura e del Patrimonio Linguistico siciliano nelle scuole”, ma nessuno, tra docenti e dirigenti, si è attivato, continuando così quell’atto d’abiura identitaria. Purtroppo, i peggior nemici della Sicilia sono gli stessi siciliani».
Cosa pensa quando vede che quasi tutti i comuni siciliani hanno strade intitolate a personaggi come Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio?
«Se ci fosse stato quell’orgoglio identitario, che è mancato e continua a mancare, ce ne saremmo dovuto vergognare. All’indomani dell’annessione al regno savoiardo si smarrirono i punti di riferimento per l’uomo comune, barchetta senza rotta nel mare magnum dell’instabilità e del rimescolamento culturale. Pochi ricordano la strage di Bronte operata dal Bixio e i quattro stati d’assedio che caratterizzarono i primi quarant’anni di vita post-unitaria. I Siciliani, man mano, si piegarono alla filosofia del “tira a campare” (caliti junku ca passa la china), il credo sociale imperniato sull’io e la famiglia. Le genti di Sicilia non hanno più coltivato il bene comune ma solo il vantaggio contingente e immediato del singolo e del suo nucleo consanguineo. Insomma, sull’ethos collettivo è prevalso il familismo amorale, oggi tanto diffuso in tutta Italia. E se Historia magistra vitae, occorre “conoscere per riconoscersi e per migliorarsi”. Si guarda al passato per capire il presente e progettare il futuro. Tutto può cambiare: basta crederci veramente. I Siciliani, in fondo, non sono figli di un “dio minore”. Anzi! “In Sicilia si trova la chiave di tutto!”, diceva Goethe. Probabilmente, la chiave ha girato malamente nella toppa, non riuscendo ad aprire in modo giusto il prezioso scrigno dell’Isola alla positività. E se è vero che un popolo senza memoria non ha futuro, la memoria serve per chi non sa e vuole invece sapere, ma ugualmente per chi sa e vuole conservare o rinnovare il patrimonio di civiltà che le generazioni precedenti ci hanno consegnato (a volte sembra che i siciliani di oggi non siano i discendenti del Popolo del Vespro). Diversamente – ha scritto Cesare Pavese –, “quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato, si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia.” Cogliamo il monito, sempre attuale, di Plino il Vecchio: “Turpe est in patria vivere et patriam ignorare”. Usciamo dall’oblio prima ch sia troppo tardi!».
Quando la Democrazia Cristiana e gli altri grandi partiti nazionali contavano poche decine di migliaia d’iscritti, il MIS ne aveva più di 500mila. E oggi qual è la situazione?
«Il MIS fu il primo movimento di massa a organizzarsi in Sicilia subito prima dello sbarco degli Alleati. In effetti, il movimento rappresentava alcune istanze di autodeterminazione, antiche ma sempre attuali, di ampi settori dei ceti medi siciliani fino a comprendere fasce non irrilevanti di sottoproletariato urbano e rurale. Certamente l’Autonomia Speciale fu conquistata anche grazie alla lotta politica del MIS, guidata dall’on. Andrea Finocchiaro Aprile, e a quella armata dell’EVIS guidata dai suoi comandanti: Antonio Canepa, Salvatore Giuliano (per onestà intellettuale, indipendentista ancor prima di ritrovarsi bandito per fatale disgrazia), e Concetto Gallo. Per misurare tutta la popolarità del movimento, basti osservare che due dei suoi quattro dirigenti eletti all’Assemblea Costituente, Gallo e Castrogiovanni, erano allora in carcere in attesa di giudizio e vennero liberati proprio grazie ai voti che il Mis riuscì a convogliare sulla loro candidatura, segno indiscutibile questo di una diffusa e forte egemonia esercitata dal movimento separatista sui ceti popolari. Ed è bene ricordare che i candidati nelle liste del Mis all’Assemblea Costituente raccolsero in alcuni casi voti di preferenza nettamente superiori a quelli raccolti dai candidati dei grandi partiti popolari. Si veda, ad esempio, il collegio XXX di Palermo-Trapani-Agrigento, dove Finocchiaro Aprile con i suoi 34 mila voti superò lo stesso Togliatti, che ne raccolse solo 25 mila, o come nel caso del collegio XXIX di Catania-Messina, dove un candidato “minore” come Concetto Gallo riuscì a prevalere su un candidato prestigioso come il comunista Li Causi distanziandolo di ben 4 mila voti nelle preferenze. Finita la turbolenta stagione indipendentista, il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, malgrado la diaspora del 1951, non scomparve, mantenne la Segreteria Generale a Catania. Alla Presidenza Nazionale si alternarono Francesco Ristuccia, Francesco Mazza (presente al II Congresso del Mis, aprile 1945) e Rosario Fasanaro. Per meritoria opera di quest’ultimo il movimento storico ha continuato a testimoniare gli ideali indipendentisti, battendosi sempre per il riconoscimento dei diritti del popolo siciliano, derivanti dallo Statuto Speciale di Autonomia. Grazie all’opera e alla preparazione politica dei suoi attuali leader è tornato alla politica attiva. Oggi non siamo un movimento da grandi numeri, non corriamo dietro alle tessere, cerchiamo soprattutto di fare opinione e scuotere le coscienze dei Siciliani. Nel 2010, il Mis ha promosso la costituzione del Comitato spontaneo “La Sicilia e i Siciliani per lo Statuto”, un’associazione di cittadini di ogni ceto sociale, che rivendica la piena applicazione dello Statuto di Autonomia della Regione Siciliana, ritenendolo uno strumento importantissimo e necessario per lo sviluppo economico, sociale e culturale della Sicilia”. L’incisiva campagna di sensibilizzazione del Mis ha favorito un certo risveglio identitario, tanto che, il 30 ottobre 2010, Piazza Politeama (Palermo), dopo oltre sessant’anni dalle oceaniche adunanze di Andrea Finocchiaro Aprile, si è rivista giallo-rossa con la presenza di un migliaio di bandiere siciliane. Ugualmente è accaduto a Catania il 30 aprile 2011 ed anche il 13 novembre 2011, a Palermo, quando si è celebrato il primo “Statuto Fest”, con testimonial: Maria Grazia Cucinotta . Il 30 marzo 2014 abbiamo sostenuto con la nostra adesione e partecipazione la “Marcia per l’Indipendenza”, che si è svolta a Palermo insieme ad altri gruppi sicilianisti. Attualmente abbiamo intrapreso un percorso di dialogo con le altre forze politiche autonomiste/indipendentiste per cercare di superare la condizione di impasse in cui versa la Sicilia. Un impasse politico e istituzionale, ma soprattutto economico e sociale che sta assumendo i contorni drammatici di una vera e propria catastrofe. Noi siamo convinti che, al di là di specifiche responsabilità politiche, il mancato rispetto della nostra Costituzione regionale, lo Statuto, grida vendetta in questo momento. Non possiamo continuare a farci derubare di svariati miliardi l’anno e poi accendere in continuazione mutui con lo Stato (evasore) per coprire questi buchi. È una situazione insostenibile».
Professore Musumeci, lei crede ancora possibile una Sicilia indipendente, uno stato siciliano? Oppure oggi la strada per l’affermazione dei diritti dell’Isola è un’altra?
«Dinanzi al fallimento della politica centralista e partitocratica, si avverte sempre di più una voglia di politica territoriale, fortemente autonomista/indipendentista. Nel nostro caso, vorremmo che si applicasse integralmente lo Statuto Siciliano, ripristinando l’Alta Corte. Se si applicasse lo Statuto la Sicilia sarebbe, a tutti gli effetti un “quasi” stato federato con l’Italia. In molte regioni italiane si guarda con interesse alla valorizzazione delle Autonomie. Pensiamo che sia giunto il momento di ripensare la costituzione italiana in chiave federalista. Si tratta di avviare un sereno percorso giuridico che porti all’affermazione dei diritti dei diversi popoli che compongono l’Italia. Infondo, noi crediamo nell’Europa dei Popoli e delle Regioni. Un’Europa diversa da quella attuale che si regge solo su interessi economici, appannaggio esclusivo di lobbies politico-massoniche».
Supponiamo per un attimo che il prof. Musumeci si candidasse alla guida della Regione: quale sarebbe la ricetta per rilanciare la Sicilia?
«Il richiedere le norme attuative per lo Statuto e il ripristino dell’Alta Corte. Quindi, governare con l’entusiasmo di chi vuol fare qualcosa per la propria terra e per i propri figli. Progetti… innanzitutto avvicinare alla politica attiva quanti si sono allontanati disgustati dalle logiche imperanti. Insomma, occorre svegliare le coscienze, stimolare i giovani a rendersi attori protagonisti di un nuovo modo d’intendere la politica: un utile strumento di servizio per migliorarsi e migliorare la comunità. Partendo dal nostro territorio, ci prefiggiamo un progetto semplice e altamente ambizioso: proporre una nuova classe dirigente capace d’amministrare con lealtà, scrupolo e trasparenza la “res publica”, opponendosi e/o denunciando qualsiasi forma d’illecito o di mafiosità. Una politica del territorio snellita nel bureau, che promuova occupazione e che tuteli e aiuti le fasce più deboli. Solo con un modello virtuoso di amministrazione dedita esclusivamente al benessere pubblico e al progresso sociale ed economico si possano porre le basi per l’emancipazione dei Siciliani dal sistema di oppressione coloniale e di sfruttamento clientelare che rende la vita politica in Sicilia – dominata dalla presenza e dall’ingerenza dei partiti italiani –, non democratica già a partire dal procedimento elettorale».
Secondo lei perché lo statuto siciliano di fatto non è mai stato applicato e nessuno dei politici nostrani ha sentito il dovere di battersi per questo?
«Nei politici siciliani, purtroppo, manca la coscienza autonomistica che dovrebbero avere a prescindere dalla propria formazione ideale (una volta si diceva ideologica). Sono votati al servilismo centralista, alla politica autoreferenziale e a perseguire interessi personali e di casta. In pochi sanno, o fanno finta di non sapere, che si è detentori di un diritto, sancito con legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 2, e nel momento in cui esso non viene applicato (poiché da circa settant’anni si aspettano le norme attuative). Per negligenza o meglio per l’ascarismo della classe politica siciliana, becera e meschina, presente al parlamento regionale e in quello italiano, si viola continuamente la stessa costituzione repubblicana non applicando le norme statutarie».
di Iena Indipendentista – TRATTO DA QUI
è il discorso che oggi si va diffondendo per reagire all’invasione e alla inefficienza e alla corruzione della politica e della burocrazia che si diffonde da Roma… e nella Sicilia è ancora più grave perché almeno sulla carta ha sempre conservato la sua autonomia…che di fatto però non le conviene esercitare fino in fondo perché allora si chiamerebbe indipendenza, cosa che, nonostante le affermazioni, anche il MIS mi sembra titubante ad affermare… e invece sarebbe la era soluzione, perché di gente in gamba ce n’è a bizzeffe, solo che non ..osa!
Imiti la Catalogna, dove in fondo la gestione del processo è in mano ai politici locali, per cui si rilevano molte affinità… ma il punto d’arrivo è l’indipendenza, sennò siamo sempre al punto di partenza…
Il Veneto che non aveva l’autonomia ha puntato direttamente all’indipendenza, ma ha agito al di fuori della politica e dei politicanti… e il popolo ha risposto affermativamente con una maggioranza schiacciante…ora si sta organizzando per passare dalla dichiarazione all’attuazione…ed è una cosa complessa a cui il Governo Provvisorio sta lavorando ma non è cosa che si fa con uno schiocco di dita…
eppure l’Italia nacque senza il Veneto che fu annesso sei anni dopo, ma le tragedie che successivamente vi si sono svolte sono state devastanti… e ci vuol tempo a riprendersi ai popoli quando sono stati oggetto per lungo tempo di campagne di demolizione cultuale per fiaccarne lo spirito, l’identità e la fiducia in se stessi…
Forza Sicilia, non scoraggiatevi!