“La via d’uscita dal debito è la crescita, che non si ottiene con la bacchetta magica ma con una combinazione di riforme strutturali che aggrediscono gli ostacoli, stimolo a investimenti privati e continuando a consolidare il bilancio in modo amico della crescita”. Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, continua a ripetere questo mantra da mesi, e agiunge: “la via d’uscita dal debito è la crescita”. Indubbiamente la crescita del Pil aiuta, ma quando il debito supera il 130 per cento del Pil e la pressione fiscale è ai livelli italiani, credere di uscirne mediante la crescita del Pil è più che utopistico.
Le tre variabili da tenere in considerazione sono: crescita nominale del Pil, costo del debito pubblico in rapporto al Pil, e saldo primario di bilancio (ossia la differenza tra entrate e uscite esclusi gli interessi sul debito).
Non è un mistero che ogni governo speri di aiutare la crescita nominale del Pil mediante l’inflazione, possibilmente contando sulla non completa traslazione della stessa su un aumento degli interessi sul debito. Qualora la crescita nominale del Pil fosse superiore agli interessi passivi, il rapporto debito Pil tenderebbe a diminuire anche senza avere un saldo primario positivo (purché l’eventuale disavanzo primario non fosse superiore alla differenza tra crescita nominale del Pil e interessi passivi).
Il problema è che quando la leva è elevata (come nel caso dell’Italia, con un debito oltre il 130 per cento del Pil), una variazione in aumento del costo del debito ben difficilmente può essere contrastata da un incremento del Pil nominale, a maggior ragione quando la crescita reale è piatta da due decenni.
Le riforme strutturali nel medio periodo certamente aiutano, ma non ci si devono attendere miracoli. Da vent’anni l’Italia cerca di mantenere elevato l’avanzo primario senza ridurre la spesa pubblica. Il risultato è una pressione fiscale asfissiante, che impedisce la crescita del Pil reale.
Questa strategia è chiaramente insufficiente, e anche controproducente: in cinque anni di crisi il rapporto tra debito e Pil ha subito un aumento superiore al calo accumulato nei tre lustri precedenti, pur in costanza di politiche fiscali restrittive (nettamente sbilanciate sull’aumento della tassazione).
Credo, quindi, che se si scarta l’ipotesi del default non restino altre vie che una combinazione di tagli di spesa e dismissioni di attività tuttora di proprietà delle amministrazioni pubbliche (e spesso fonti solo di costi).
Ma i tagli di spesa sono annunciati e poi rimandati, e sulle privatizzazioni la musica è la stessa. E continuare a ripetere come un disco rotto, come fa Padoan, che se ne esce con la crescita del Pil è una pura illusione (o peggio).
Padoan non conta un tubo.
E’ fuori squadro anche lui.
Vive nel mondo dei balocchi.
Io personalmente attuerò, per queste feste, una compressione ulteriore delle spese.
Rimanderò il pagamento di ogni imposta a data da destinarsi.
Io invito chi mi conosce a far lo stesso.
Sono certo che il 2015 sarà peggio del 2014.
Non tanto per me, ma per gli artigiani e le aziendine che conosco.
Non ho la palla di cristallo, beninteso, ma vivo in mezzo alla gente comune.
E’ uno sfacelo continuo.
Nel 2015 gli introiti per tasse diminuiranno.
L’economia decrescerà.
Le sofferenze bancarie aumenteranno.
E, al solito, aumenteranno i fallimenti e le chiusure di aziende.
Aumenterà la disoccupazione.
Aumenterà la delocalizzazione industriale.
Sono cose già scritte nei numeri, per quanto addomesticati, da fallimento che si riescono a leggere.
Io ho interesse all’innestarsi di una deflazione ufficiale e incisiva.
Faccio anche affidamento in un default proditorio e incontrollato che faccia pulizia.
I governi non sono in grado di porre rimedi di sorta.
I cittadini se la fanno in mano e non si rendono conto della situazione reale.
Credono che la salvezza sia nello stato e sfuggono l’evidenza delle cause proprio statali della crisi.
Padoan parla perché ha fiato.
Ma è in piena malafede.
Lo sa che le parole e gli auspici stanno a zero.
L’economia sta ancora decelerando, altro che crescita.