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Il modello cinese avanza a Hong Kong: censurare anche i film

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di REDAZIONE

Le autorità di Hong Kong, su imbeccata di Pechino, intendono rafforzare le maglie della censura sulle produzioni cinematografiche, imprimendo una ulteriore stretta sui film che potranno essere distribuiti e trasmessi in città. Sono allo studio una serie di emendamenti alla Legge sulla censura [Film Censorship Ordinance, ndr], fra cui maggiori poteri al segretario generale il quale potrà vietare produzioni già approvate in precedenza e nuovi progetti considerati una “minaccia” per la sicurezza nazionale.

Gli emendamenti verranno approfonditi questa settimana nella sessione del Parlamento locale (LegCo). Essi prevedono un aumento fino ad un massimo di tre anni di galera e circa 128mila dollari di multa per la trasmissione al pubblico di film, serie televisiva o produzioni di altra natura che non hanno ricevuto l’autorizzazione. Le modifiche, definite “semplici e dirette”, rispondono alle direttive impresse dalla controversa Legge sulla sicurezza nazionale, voluta lo scorso anno da Pechino per reprimere le proteste del movimento pro-democrazia in un’ottica di crescente censura.

Spiegando la proposta di riforma il segretario per il Commercio e lo sviluppo economico Edward Yau sottolinea che non è previsto appello per messe al bando o censure che riguardano la sicurezza nazionale. E il dipartimento può rimandare il controllo dei film anche di 28 giorni, se necessario. “Gli emendamenti – avverte – sono semplici e diretti. Lo scopo è di consolidare le nostre basi legali in materia di censura cinematografica, per prevenire situazioni contrarie alla sicurezza nazionale”.

Tuttavia, secondo le proposte di modifica alcuni grandi classici del cinema come il capolavoro di Stephen Chow “Da Pechino con amore” o 10 Years potrebbero sparire dalle sale e dagli scaffali dei dvd in vendita. La censura, avverte Yau, “può colpire anche produzioni del passato che finiranno per banditi alla visione in pubblico”. Gli emendamenti intendono bloccare film o serie che “favoriscano, sostengano, esaltino o incitino” atti di sovversione, secessione, terrorismo o collusione con forze straniere con una definizione così ampia da prestarsi a manipolazioni e abusi.

Esperti, produttori e commentatori hanno sollevato preoccupazioni per le ripercussioni della norma sull’industria cinematografica, con restrizioni durissime alla creatività e alla libertà di espressione in quella che un tempo era considerata “la Hollywood dell’estremo oriente”. Fra le produzioni in corso vi è anche quella con la star australiana Nicole Kidman, al centro della polemica nei giorni scorsi per aver ottenuto dalle autorità di Hong Kong l’esenzione dalla quarantena nell’ambito delle misure attuate per la pandemia di Covid-19, sollevando l’ira sui social. Una scelta peraltro difesa dalle autorità cittadine, secondo cui la passeggiata in centro dell’attrice era parte del programma previsto per la “prova costume”.

Inoltre, questa decisione rientra in un’ottica di “sviluppo dell’economia di Hong Kong” pur in un quadro di restrizioni e chiusure imposte in seguito alla diffusione della variante Delta di nuovo coronavirus. La Kidman, arrivata con un volo privato da Sydney, è in città per girare una serie prodotta da Amazon Prime, intitolata “Expats”. Chissà se il tema degli espatriati passerà il vaglio della censura nel caso di approvazione della nuova legge o se anche questa produzione sarà costretta a chiudere i battenti. (AsiaNews/Agenzie)

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