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Il modello cinese? burocrazia e impedimenti che aumentano

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di MATTEO CORSINI

Quando trascorro un po’ di tempo a Kathmandu in attesa del rientro in Italia, mi capita solitamente di leggere i giornali locali e trovarvi notizie interessanti.

Per esempio qualche giorno fa ho letto un articolo dedicato alla Cina. Curiosamente, al mio rientro, ho trovato sul domenicale del Sole 24 Ore un articolo di Romano Prodi dedicato ai “prossimi esami della Cina”.

Prodi indica un fatto condivisibile, ossia che il partito comunista cinese resta il dominus assoluto di tutto ciò che accade in Cina. Parla poi della questione delle guerre commerciali e del fatto che ormai la competitività in termini di minore costo del lavoro è fortemente ridotta rispetto ai decenni scorsi.

Quanto a ciò che resterebbe da fare, la Cina devetenere sotto controllo la spesa delle province e delle imprese statali, deve riformare il sistema bancario e sviluppare gran parte del settore terziario, deve intensificare gli interventi per attenuare gli squilibri territoriali, deve guidare con cura il passaggio da un’economia fondata sugli investimenti ad un sistema più attento ai consumi, deve controllare la bolla immobiliare e la crescita ulteriore delle aree metropolitane e deve prepararsi ad un ingente aumento delle spese per l’istruzione e la sanità. Deve infine essere pronta di fronte alla stagnazione dell’offerta di lavoro che si verificherà quando sarà terminato l’afflusso degli immigrati dalle campagne alle città, dato che il tasso di natalità non sembra aumentare sensibilmente nemmeno dopo l’abrogazione della legge del figlio unico”.

Al di là del fatto che per fare tutte quelle cose il controllo del partito comunista su tutto ciò che accade in Cina deve restare sostanzialmente immutato, vorrei qui riportare quanto ho letto nell’articolo a cui ho accennato in precedenza.

Si tratta delle difficoltà crescenti che le imprese private cinesi stanno incontrando nella loro attività, a causa dei pesanti interventi distorsivi dello Stato a favore delle società a partecipazione pubblica. Ciò sta rendendo gli squilibri competitivi sempre meno affrontabili per i privati, che sovente rinunciano a far crescere le loro aziende per evitare una crescita più che proporzionale degli adempimenti governativi che poco o nulla hanno a che vedere con l’attività di impresa.

Non mi stupisce che ciò accada. Dovrebbero riflettere i cantori del modello cinese.

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