“Dijsselbloem sta prendendo una gigantesca cantonata, cosa che fa abbastanza regolarmente. Non comprende che la questione non sono i vincoli di bilancio, ma il fatto che l’Europa è in mezzo a sfide difficilissime, la prima delle quali è una chiarissima disaffezione dei cittadini e ha necessità di fare un grande piano di investimenti per trasformarla e serve un new deal a livello europeo”. Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, se l’è presa con il presidente dell’Eurogruppo nonché ministro delle finanze olandese, reo di aver ricordato che in nome delle politiche fiscali espansive (ovvero dell’aumento del deficit) non è bene violare i trattati liberamente sottoscritti.
Dijsselbloem potrà risultare antipatico ai più, ma non credo abbia preso una “gigantesca cantonata”, avendo detto in realtà una cosa ovvia (o, quanto meno, che dovrebbe essere ovvia). Nessuno dubita del fatto che l’Europa sia “in mezzo a sfide difficilissime”, men che meno che vi sia “una chiarissima disaffezione dei cittadini”. Ma la storia del “grande piano di investimenti” e del “new deal” europeo non rappresenta una soluzione, bensì una droga temporanea, che lascerebbe problemi ancora peggiori in futuro, a maggior ragione se a gonfiare ulteriormente il debito fossero Paesi che già ne sono ingolfati, come l’Italia.
Capisco che in Italia vi sia grande voglia di politiche keynesiane, che solitamente creano anche consenso elettorale, promettendo di trasformare le pietre in pane. Ma anche se politicamente si stabilisse il contrario, i vincoli di bilancio rimarrebbero. Il deficit rimarrebbe deficit, e l’accumulazione dei deficit resterebbe debito.
Debito che andrebbe pagato con tasse presenti o future, siano esse esplicite o implicite, mediante inflazione. Se fosse sufficiente fare opere pubbliche finanziate in deficit il Giappone dovrebbe aver risolto i suoi problemi da vent’anni. Al contrario, vent’anni di politiche fiscali e monetarie generosamente espansive hanno lasciato un’economia sostanzialmente stagnante e un debito pubblico pari a oltre il 240 per cento del Pil.
La cantonata la prende chi, nonostante 80 anni di insuccessi, ancora crede alle promesse dei keynesiani.
Calenda non conta un tubo, quel che dice non ha valore alcuno, è aria ad un sistema fonatorio scollegato dai centri del linguaggio posti nella corteccia cerebrale.
Sparirà nell’oblio politico alle prossime elezioni.
L’unione europea è un guazzabuglio in lento disfacimento.
I debiti pubblici rimangono debiti, e la miseria privata avanza.
E la politica affastella guai su guai, danni su danni, spese inutili su spese inutili, tasse su tasse.