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in Italia c’è troppo Stato e troppa gente intossicata di statalismo

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di MATTEO CORSINI

In un articolo teso a evidenziare la (perfino migliore) sostenibilità del debito pubblico italiano in confronto a quello di altri Paesi, Marco Fortis snocciola una serie di dati diMostrando di saper fare buon uso del cherry picking. Fortis intende rigettare la tesi abbastanza diffusa a nord delle Alpi in base al quale l’Italia sarebbe “l’anello debole dell’euro”.
E infatticome può essere «l’anello debole dell’euro» una nazione come l’Italia che, con il presidente del Consiglio Mario Draghi alla sua guida, ha visto il proprio Pil crescere di oltre il 10% in due anni ribaltando il cliché che ci vedeva eternamente inchiodati allo zero virgola? Come può esserlo una nazione che ha la seconda industria manifatturiera e la prima agricoltura d’Europa, il secondo più alto numero di pernottamenti di turisti stranieri tra i Paesi Ue e il sesto più alto surplus commerciale con l’estero del mondo esclusa l’energia (97 miliardi di dollari nel 2021)?
A parte notare l’uso ripetuto del termine “nazione”, molto caro al presidente del Consiglio in carica, inviterei a limitare l’entusiasmo. Il rimbalzo dopo il tonfo di 9 punti percentuali dovuto ai lockdown è stato accompagnato da una combinazione di politiche fiscali e monetarie molto espansive, i cui nodi stanno venendo al pettine.
Fortis cita poiil più alto avanzo statale primario cumulato (cioè il bilancio pubblico prima del pagamento degli interessi) degli ultimi trent’anni. L’Italia è addirittura prima su scala mondiale esclusi i Paesi petroliferi: 583 miliardi di euro di surplus statale dal 1995 al 2024, incluse le previsioni della Commissione europea per quest’anno e per il prossimo. In tale trentennio l’Italia è stata/sarà per ben 25 anni in surplus statale primario, cioè praticamente quasi sempre, eccetto durante la crisi finanziaria internazionale del 2009 (con un piccolissimo disavanzo), nel periodo più acuto della pandemia 2020-2022 (comunque con un deficit inferiore a molti altri Paesi) e in previsione anche nel 2024 (peraltro di pochissimo). Mentre l’Austria ha presentato nel trentennio 1995-2024 un bilancio pubblico primario positivo 19 volte, la Germania 17, i Paesi Bassi e la Finlandia 16, la Spagna 11 e la Francia soltanto 6. A loro volta gli Stati Uniti hanno fatto registrare solo 9 anni su 30 in avanzo primario, il Regno Unito 7, il Canada 20 e il Giappone nemmeno uno. Dunque, nessun altro Paese dell’Euro area e del G7 è stato tanto “frugale” quanto l’Italia dalla metà degli anni ’90 in poi, con un debito pubblico che è cresciuto negli anni prevalentemente per effetto degli interessi.”
A parte la scelta discutibile di includere anche 2 anni di mere previsioni, purtroppo l’avanzo primario non ha arrestato l’ascesa del debito pubblico, ha solo evitato che aumentasse maggiormente. Il tutto per via dell’effetto palla di neve, ossia un costo del debito superiore alla crescita nominale del Pil.
Altro argomento molto usato a sud delle Alpi è quello che evidenzia cheil debito pubblico italiano è finanziato da stranieri per meno del 30% del totale, cioè “solo” per circa 780 miliardi di euro (dati 2021), mentre il debito pubblico francese lo è per il 46% (1.300 miliardi), quello tedesco per il 42% (1.028 miliardi), quello spagnolo per il 43% (616 miliardi), quello portoghese per il 45% (125 miliardi) e quello austriaco addirittura per il 61% (202 miliardi). Tra i 10 Paesi più indebitati d’Europa dopo la Grecia, l’Italia presenta soltanto il settimo rapporto debito pubblico finanziato dall’estero rispetto al Pil (pari al 44% nel 2021), preceduta, tra gli altri, da Francia, Spagna e Austria.
Non è un esempio di virtù, ma del fatto che gli investitori esteri non ritengono poi così affidabile la Repubblica italiana. E un debito è pur sempre un debito, a meno che non si pensi di poter randellare i detentori italiani di titoli di Stato (facendo saltare banche, assicurazioni, fondi pensione e fondi comuni, quindi bruciando, anche indirettamente, i patrimoni dei cittadini).
Ed è vero chel’Italia vanta uno dei più bassi rapporti tra debito privato e Pil a livello mondiale (113% nel 2021) ed è l’unico dei Paesi mediterranei dell’euro ad avere una posizione finanziaria netta sull’estero positiva (+8,1% del Pil, sempre nel 2021, rispetto, per un confronto, al -32,1% della Francia, al -59,4% della Spagna, al -86,3% del Portogallo e al -148,6% della Grecia).”
Questo è dovuto anche al fatto che in Italia c’è troppo Stato e troppa gente intossicata di statalismo. Ma sostituire spesa privata con spesa pubblica, oltre a generare risultati non proprio entusiasmanti, comporta inevitabilmente una redistribuzione che calpesta la proprietà privata e le decisioni individuali, con oneri attuali e prospettici posti forzosamente a carico di chi non sempre beneficia della spesa stessa.
Fortis conclude comunque che “anche al netto delle cadute di credibilità di alcuni nostri governi passati (che ci auguriamo non debbano più ripetersi), livelli troppo elevati del nostro spread appaiono del tutto ingiustificati. Specialmente se confrontati con quelli di Francia e Spagna, economie, per intenderci, che presentano oggi rapporti debito/Pil più alti di quelli dell’Italia del 2011, che fu allora addirittura paragonata alla Grecia. Eppure, la sostenibilità dei debiti di Francia e Spagna, neanche ai massimi attuali, non viene assolutamente messa in discussione, né, tantomeno, quella degli Stati Uniti, il cui rapporto debito/Pil veleggia ormai ben oltre il 120 per cento. In altri termini, per valutare la sostenibilità di un debito pubblico, e in particolar modo quella del debito italiano, occorre andare oltre il mero giudizio del rapporto debito/Pil: un parametro completamente inadeguato, ancorché largamente utilizzato dagli analisti quasi come unico e insindacabile elemento di riferimento.
Gli Stati Uniti, piaccia o meno, sono ancora la maggior potenza militare e il dollaro resta la principale moneta di riserva. Quanto a Spagna e Francia, credo che le considerazioni di Fortis sarebbero condivisibili, ma non perché gli investitori dovrebbero rivalutare il debito italiano, quanto perché dovrebbero richiedere rendimenti maggiori da quelli spagnolo e francese.
Fortis invita poi governo, Bce e Commissione europea a “rappresentare tutti i dati sull’Italia che abbiamo sopra ricordato ai mercati e alle agenzie di rating – che non li conoscono affatto“. In realtà dubito che ci sia un problema di ignoranza dei dati.
Tra l’altro, secondo Fortis la Commissione europea dovrebbe farlo “anche per togliere facili alibi ai Paesi “frugali” che si oppongono a ogni forma di debito comune europeo perfino per finalità legate a strategie industriali o ambientali di lungo respiro.” Perché alla fine di ogni perorazione delle virtù del debito italiano si giunge sempre a chiedere l’emissione di debito comune.
Fortis, peraltro, non intendesottovalutare il problema del debito pubblico italiano, che va tenuto sotto controllo. Infatti, l’Italia, economicamente parlando, è un po’ come una persona che ha una salute tutto sommato buona, per molti aspetti addirittura invidiabile, ma che ha una pressione un po’ troppo alta che non va trascurata, cioè il debito pubblico, appunto, ereditato dalla Prima Repubblica. La storia passata e recente, tuttavia, dimostra che l’Italia da tempo si sta “curando” relativamente bene, cioè sta prendendo i necessari farmaci contro il debito, a cominciare da doti massicce di surplus primario.”
Anche volendo prendere per buona la metafora di Fortis, il problema è che i farmaci per questa supposta ipertensione non hanno mai agito sulle cause, quindi costringendo il paziente a proseguire la cura a tempo indeterminato. Ma Fortis nota chesiamo usciti dalla crisi pandemica senza schiacciare sull’acceleratore del debito pubblico, come invece hanno fatto quasi tutti gli altri maggiori Paesi del mondo.”
Suppongo che se l’Italia avesse avuto più spazio fiscale, avrebbe schiacciato sull’acceleratore del debito quanto o più degli altri Paesi. Non a caso è il principale prenditore nell’ambito del Next Generation Eu. Dopodiché Fortis si spinge a snocciolare dati, oltre che in modalità cherry picking, anche francamente fuorvianti, ricordando che a “fine settembre 2022 il debito della Francia aveva raggiunto i 2.957 miliardi, staccando di oltre 200 miliardi quello del nostro Paese, pari a 2.743 miliardi.”
Posto che la Francia, come ho osservato più volte, non è certamente un esempio da seguire essendo perfino più statalista dell’Italia, a livello pro capite (dato che Fortis vuole andare oltre il dato in rapporto al Pil) ogni francese ha comunque circa 3mila euro di debito in meno sul groppone rispetto a un italiano.
L’Italia avrà una spesa pubblica superiore a 1200 miliardi nel 2023. La sua crescita incessante era e resta parte del problema. Altra parte del problema, a mio parere più preoccupante, è che non esiste, a livello di cittadini prima ancora che di politici, alcuna reale intenzione di ridurla. La spesa pubblica crea dipendenza, e l’Italia, evidentemente è piena di gente intossicata di spesa pubblica.

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