Il nome di Claudio Borghi torna alla ribalta ogni volta che si parla della probabilità che l’Italia esca dall’Unione monetaria (il che, a legislazione attuale, dovrebbe coincidere anche con l’uscita dall’Unione europea). Da ultimo con il rilancio dei MiniBot come strumento per saldare gli arretrati delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese fornitrici; mossa considerata da più parti come pretesto per introdurre un embrione di moneta parallela all’euro.
Non tornerò a commentare su piano tecnico i MiniBot, avendolo fatto diverse volte in passato, anche con riferimento alla variante di moneta fiscale, rilanciata pure essa in questi giorni da coloro che vedono nella via all’utilizzo di una qualche forma di stampante monetaria la soluzione dei problemi dell’Italia.
Tutti autori che utilizzano più o meno astutamente argomentazioni da venditori di balsamo di tigre.
Mi limito a osservare che se, come nella loro ultima versione, i MiniBot sono titoli a cedola zero e senza scadenza, allora sono paragonabili a una rendita perpetua pari a zero, il cui valore è altrettanto pari a zero per qualsiasi valore di rendimento utilizzato per scontarla. In pratica, carta straccia.
Come è inevitabile, si moltiplicano le interviste a Borghi in questi giorni. Tra le altre cose, lui si dice favorevole a un ritorno alla regola originaria del Trattato di Maastricht, che poneva al deficit il limite del 3% in rapporto al Pil. Secondo Borghi, quindi, bisognerebbe “tornare alla cara e vecchia regola del tre per cento, che sarà stupida, ma almeno è più comprensibile dell’astruso calcolo sul prodotto potenziale”.
Che il calcolo del Pil potenziale (e, di conseguenza, dell’output gap), sia astruso e opinabile lo trovo condivisibile. Meno condivisibile il fatto che l’Italia con 3 punti di Pil di deficit ogni anno avrebbe oggi un debito inferiore in rapporto al Pil. Il problema è sempre quello: la crescita nominale del Pil è da molti anni inferiore al costo del debito, il che significa che utilizzare la leva del debito non fa altro che peggiorare il rapporto tra debito e Pil. E’ ragionevole supporre che lo shock fiscale di cui parlano Borghi e colleghi sarebbe efficace, senza una riduzione di spesa pubblica (che, al contrario, costoro stanno incrementando)?
Non lo è affatto, a maggior ragione considerando il punto di partenza, con un debito che punta più verso il 135 che verso il 130% del Pil. Debito che, tra l’altro, non trae giovamento in termini di appetibilità presso gli investitori dalle ipotesi di introduzioni più o meno surrettizie di strumenti volti a monetizzare la spesa pubblica.
Il conto sarà, come in passato, a carico anche di coloro che credono a questi incantatori di serpenti. Fin qui, peggio per loro. Il problema è che sarà a carico anche (e forse oltre) di coloro che a questi incantatori di serpenti non danno alcun credito.