Per venti anni i Quaderni Padani hanno pubblicato statistiche sulle differenze regionali italiane (in servizi significativamente chiamati “Rubrica silenziosa” perché non necessitavano di commenti, ripresi anche qui) per dimostrare in maniera inoppugnabile – e matematica – la differenza fra le varie parti dello stivale e, in particolare, la deprivazione economica di cui sono vittima le regioni padane. La quantità di dati pubblicati in tali anni è stata enorme ed è stata purtroppo marginalmente utilizzata dalle forze politiche autonomiste. Si ricorda solo la pubblicazione di un libricino “I numeri dell’oppressione”, nel lontano 1997 come allegato al quotidiano La Padania, che aveva avuto grande successo ma che avrebbe dovuto trasformarsi in uno strumento aggiornato e diffuso con cadenza periodica.
Il lavoro enorme e continuo di ricerca e catalogazione di dati mostra le differenze fra la parte settentrionale della penisola e quella centro-meridionale, con entità davvero impressionanti: un cleavage fra primo e terzo/quarto mondo.
Oggi tali informazioni sono assai più facilmente reperibili (Internet è una inesauribile miniera) ma si sente la mancanza della “professionalità” e anche della malizia di chi redigeva la “Rubrica Silenziosa”. Invece di essere forniti completi per sottolineare le vere diversità regionali, i dati sono infatti spesso esibiti in forma parziale, sono edulcorati, sono presentati in modo da attenuare le differenze, proprio perché si vuole depotenziare il deflagrante potere dei numeri. Essi vanno aggregati e disaggregati e resi leggibili; non possono essere una informazione episodica – dei flash senza continuità – ma oggetto di una informazione sistematica. Dai numeri risulta una significativa costante: c’è un’Italia socio-economicamente avanzata, al passo con le aree più progredite e produttive d’Europa; e ce ne è un’altra sprofondata nel Mediterraneo, con ritmi da paese arretrato, senza neppure l’ipocrita maquillage del paravento lessicale della denominazione “in via di sviluppo”.
I principali e più significativi marcatori della deprivazione economica sono rappresentati dal Pil pro-capite ripartito per regioni e macroregioni e dal residuo fiscale, cioè la differenza di quanto una comunità da allo Stato italiano e quanto da esso riceva in termini di servizi, investimenti e trasferimenti: la contabilizzazione della rapina delle risorse.
Il confronto delle serie storiche di questi dati rivela una drammatica costanza: il centro-nord è sempre più ricco (o meno povero) e il centro-sud perde posizioni. In parallelo il centro-nord da più risorse allo Stato (o viene maggiormente derubato) mentre il centro-sud riceve crescenti trasferimenti di ricchezza sotto diverse voci.
Le analisi sul Pil iniziano all’unità. Per restare agli ultimi decenni esse rimarcano una costanza. Nella rilevazione del 1992, considerando 100 il Pil medio nazionale da 120 delle regioni padane a 76 di quelle centro-meridionale: la situazione risulta praticamente identica nel 2011. Si andava nel 1992 dai 25 milioni di lire pro-capite della Lombardia (139 rispetto al dato di 100 della media nazionale) ai 10,4 milioni della Calabria (58), e nel 2011 dai 33,4mila Euro (129) ai 16,8 della Calabria (65) e ai 16,6 della Campania (64).
Si tratta di una situazione stabilmente storicizzata se già nel lontano 1914 le cose non erano molto diverse: si andava dal dato della Liguria (regione allora più ricca con un valore considerato 100) ai 17 della Calabria.
Un confronto con l’Europa è ancora più significativo: posta a 100 la media del Pil pro-capite dei 27 paesi dell’Unione, l’Italia è a 104, la Lombardia 134, l’Emilia-Romagna a 127 e il Veneto a 127. La Lombardia è al terzo posto assoluto dopo la regione di Stuttgart (139) e i Paesi baschi (138) a pari merito con la Finlandia meridionale. A seconda delle fonti, dei metodi di calcolo e dei periodi considerati, le varie statistiche subiscono delle mutazioni ma resta sempre la costante della Lombardia ai vertici della classifica europea e della Padania nel suo complesso fra le aree più ricche a fronte di un Meridione sempre scivola sempre più verso il fondo della lista.
La sola condizione “anomala” rispetto alla costante “geografica”, secondo la quale il Pil diminuisce costantemente con la latitudine, è rappresentata dal Lazio che ha valori di Pil quasi padani. La cosa si spiega con la “domiciliazione” a Roma di molti Enti e società nazionali che hanno attività altrove ma sede nella capitale al cui valore statistico del Pil contribuiscono in maniera determinante. In realtà però una notevole parte del Pil attribuito al Lazio andrebbe spalmata in diversa proporzione sulle altre regioni. L’anomalia è comprovata dalla forte differenza fra i dati di Roma e quelli delle altre province laziali, nonché dalla condizione “meridionale” di tutti gli altri marcatori statistici del Lazio.
Il valore del Pil si rapporta strettamente con quello della pressione fiscale: l’ultima indagine eseguita della CGIA di Mestre dice che nel 2012 le entrate tributarie per territorio erano piuttosto diverse, dai 11.386 Euro estorti a ogni lombardo ai 5.598 di ogni siciliano, contro gli 8.824 della media nazionale. I padani nel loro complesso sono attorno ai 10.500, il centro 9.868 (sempre con l’anomalia romana e perciò, in realtà, inferiore) e il sud con 6.137.
Nel 2008 le entrate fiscali dello Stato provenivano per il 59,56% dalle otto Regioni padano-alpine; a tale percentuale si deve però aggiungere una sensibile quota parte del dato laziale, che porta il contributo padano a un valore fra 2/3 e ¾ del totale.
Serve ricordare che i confronti devono essere anche fatti con la predisposizione all’evasione (in realtà all’evasione stessa) che va nel 2012 dal 10,5% rispetto al Pil della Lombardia al 32% della Calabria; e dal 13,2% della Padania al 26,9% del Mezzogiorno. È bene sottolineare che la media europea è del 14,5%, che il dato lombardo è secondo in Europa alla sola Gran Bretagna e che quello padano è di poco superiore a quello tedesco.
Per quanto riguarda il residuo fiscale i primi rilievi organici risalgono al 1989 con uno studio della Fondazione Agnelli che forniva un valore positivo di 583.000 Lire pro-capite nella Padania nel suo complesso (con una punta di ogni cittadino lombardo che dava 2.385.000 Lire in più di quanto ricevesse ) e uno negativo di 3.300.000 nel centro-sud (con un valore massimo di 7.458.000 Lire della Basilicata). Da allora tutte le regioni padane sono costantemente positive tranne le tre a statuto speciale e la Liguria. Serve però ricordare che le Regioni a Statuto speciale devono affrontare compiti che altrove spettano allo Stato e che, in alcuni casi, hanno anche le attribuzioni provinciali.
In termini assoluti negli ultimi anni la Regione Lombardia ha “regalato” fra 35 e 45 miliardi l’anno allo Stato italiano e la Padania nel suo complesso fra 120 e 140 miliardi. Giusto per fare un raffronto, è interessante notare che altre aree a forte pulsione indipendentista danno i seguenti risultati in termini di residuo fiscale: Catalogna 17 miliardi, Baviera 3 miliardi. Nessuna altra area del mondo si deve confrontare con una così colossale sproporzione. Ogni anno lo Stato italiano sottrae alla Padania una quantità di risorse superiore all’intero Pil nazionale dell’Ungheria, a alla somma delle ricchezze prodotte in un anno da Slovenia, Croazia e Serbia tutte assieme.
Tutti gli altri indicatori socio-economici più importanti (occupazione e disoccupazione, lavoro nero eccetera) ripetono la stessa musica: c’un settentrione a livello nord-europeo, un meridione ai margini del mondo avanzato e uno Stato italiano che sopravvive sulla forzata perequazione, sul trasferimento sempre più “poliziesco” delle risorse padane altrove: si chiama deprivazione economica. Passa di molto i livelli normalmente considerati come tale. È una enormità che viene sottaciuta, un dato che da solo giustificherebbe ogni richiesta di indipendenza.
*Proponiamo una serie di interventi di “richiamo” dei principi dell’indipendentismo padano, giusto per non dimenticare mai perché esistiamo come comunità politica e per scongiurare strane derive che attardano l’indipendentismo, lo inquinano e lo trasformano in strani paciocchi. Si tratta di una serie di dieci “ripassi” che vengono contestualmente trasmessi anche su Radio Padania Libera il venerdì alle ore 17:00 e che sono accessibili anche in sonoro su YouTube…
La variabile economica che conta di più per la call indipendentista (Lombarda e Veneta, ad esempio) è il cosiddetto residuo fiscale.
Mediamente negli ultimi 10 anni in Lombardia questa variabile è stata attorno a EUR 50 mld annui. Questa è la differenza tra quanto l’economia lombarda genera in tasse e quanto ritorna da Roma in forma di spesa pubblica in senso lato.
Per capirci, la Catalonia ha un residuo fiscale di circa EUR 17 mld annui, e la tanto decantata Baviera di EUR 7 mld circa. Quest’ultimo non significa che la Bavera sia “povera” ma semplicemente che, essendo la Germania una federazione, la Baviera ha il diritto di trattenere sul suo territorio una quota maggiore di risorse erariali di quanto possa fare la Lombardia.
Chiudendo sul furto annuo perpetrato nei confronti dei Lombardi, si pensi che il costo totale di 3 opere infrastrutturali quali la Linea 5 del metro milanese, la Bre-Be-Mi e la Pedemontana, credo sia attorno a “soli” EUR 10 mld. Valutare il residuo fiscale lumbard in tale ottica fa semplicemente ribollire il sangue nelle vene.
Non trovo su youtube la puntata di rebelot di venerdi 5 giugno di gilberto , dove si parlava di deprivazione culturale.
Più chiaro di così non si può.