di GIANFRANCESCO RUGGERI
La paura è qualcosa con cui tutti noi, chi più chi meno, dobbiamo convivere, ripeto chi più chi meno, persino chi giura e spergiura di non aver paura di niente e di nessuno deve conviverci, anzi quanto più uno giura e spergiura, tanto più dimostra di aver paura anche lui, paura di poter apparire debole e indifeso, condizione che prima o poi tutti noi proviamo.
Cosa c’entra tutto ciò con l’indipendentismo? C’entra, eccome se c’entra, ovviamente noi indipendentisti manifesti non abbiamo nessuna paura a dir che l’i-taglia non ci piace, che non è la nostra nazione, non abbiamo timore ad invocare l’indipendenza, però evidentemente non è così per tutti, dato che il sondaggio di Repubblica è stato per molti di voi una piacevole e inaspettata sorpresa. La maggior parte di voi era infatti convinta che fuori dal Veneto le aspirazioni indipendentiste fossero ridotte al lumicino, poco o nulla in Lombardia e zero assoluto in Piemonte. Invece si scopre che in Lombardia il 35% della popolazione è indipendentista e in Piemonte si arriva addirittura al 37%, senza che vi sia stata negli ultimi 15 anni una seria azione politica, culturale e identitaria capace di coinvolgere tutta la popolazione padana. Però allora uno si domanda, dove si nascondono tutti questi indipendentisti? Semplicemente hanno paura e non è escluso che molti abbiano avuto paura persino a risponder “si” all’intervistatore.
Per darvi la misura della mentalità del padano tipico, vi racconterò quanto mi ha riferito un amico che milita in un’associazione cattolica. Una decina di anni fa, quando si iniziava a parlar di adozioni gay, si trovava sul sagrato di una chiesa con altri volontari per raccogliere firme proprio contro queste adozioni. Esce una devota vecchina da Messa, la fermano, le spiegano la questione e lei subito parte a dire: si, si, bravi… si, si, avete ragione… si, si, sono d’accordo… si, si, ce ne vorrebbero di giovanotti come voi. Poi le chiedono: allora firma la petizione? Ah no, io non firmo niente, io ho paura, non firmo, non firmo… e in un batter d’occhio se l’è filata terrorizzata!
La paura ovviamente è un fatto individuale, ognuno di noi ha le sue personali paure, ma la paura può diventare anche un fatto collettivo, di popolo. Possiamo ben dire che gli scozzesi hanno avuto paura di secedere dalla Gran Bretagna e gli inglesi hanno a lungo giocato proprio sulla paura, paventando “Atrocità, Terrore e Tragedia, Ira di Dio e Laghi di sangue…”
In ogni caso in questo settore i padani restano i primi della classe, siamo un popolo di infelici servi sempre pronti a pagare e subire, subire e pagare, di conseguenza noi indipendentisti conclamati dobbiamo affrontare con serietà la problematica “paura”.
La prima reazione, immagino che molti rivoluzionari da tastiera stiano già fremendo, è quella di insultare e disprezzare i nostri pavidi fratelli padani: niente di più inutile, se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare e voi vi rendereste solo antipatici dimostrando di non avere né un minimo di sensibilità, né due dita di cervello. Altri potrebbero pensare di forzare i paurosi, costringerli in qualche modo ad agire, niente di più pericoloso, potreste rimanere sbigottiti dalla violenza che un pauroso potrebbe scatenarvi contro se cercate di obbligarlo a far ciò che più teme: provate ad infilare con la forza un claustrofobico in un ascensore, pur di uscire potrebbe uccidervi, non scherzo. Di conseguenza se costringete un indipendentista pauroso a schierarsi in prima fila, sarà la volta buona che impara a memoria l’inno di Mameli e si iscrive a Fratelli d’I-taglia.
Si potrebbe dare il buon esempio, molti di noi hanno slanci eroici, non è difficile trovare in giro indipendentisti che si dichiarano pronti a morire per la loro terra, qualcuno lo fa standosene al sicuro davanti ad un computer, altri potrebbero essere disposti davvero a farlo, ma a mio avviso andrebbero sottoposti all’antidoping. Infatti la prima cosa da risponder loro sarebbe: ma chi te l’ha chiesto? Ma in che film l’hai visto che serve la tua vita per ottenere l’indipendenza? La categoria degli eroi e dei martiri è tipica dell’italianità più becera, un risorgimento fatto passare come un bagno di sangue, una nazione forgiata nel crogiuolo delle guerre, fondata sul culto dei morti: non è roba che fa per noi, l’ho già detto altre volte, la Padania deve essere basata sulla gioia di vivere, senò tanto vale restare italiani.
L’inutilità di questi gratuiti slanci eroici è evidente anche in relazione alla massa di paurosi di cui stiamo parlando: questi hanno paura a fare una firma e tu gli vai a parlar di sacrificar la vita? Assurdo! Cerchiamo di capirci, anch’io mi esalto a vedere Breveheart, ma il padano medio non vede l’aspetto epico e leggendario, pensa al finale del film, si immagina sbudellato, fatto a pezzi e inviato ai quattro angoli del regno! Per favore evitiamo quindi ogni sbrodolata eroica, comportamenti da esaltati e sparate roboanti, non portano a nulla di buono, ma allontanano ancor più i pavidi.
E allora cosa dobbiamo fare? Intervenire sull’aspetto patologico della paura. Come? Adesso ve lo dico, ma prima dobbiamo capire cosa si intende per aspetto patologico. Va detto che la paura in sé stessa non è sempre negativa, anzi a piccole dosi è un bene, infatti aver paura di fare a botte con Mike Tyson è cosa sana e sacrosanta. La paura diventa patologica quando non è più un meccanismo di autodifesa, ma quando ci limita fino al punto di impedirci di vivere, si può così aver paura di prendere l’ascensore, l’aereo, la funivia, di esprimere i proprio sentimenti, così che davanti ad ogni ragazza ci si limita a dire “mi… mi … mi”, mentre il “piaci” rimane sempre strozzato in gola, si può aver paura a far una firma, ad aprire un libro e nei casi peggiori si può aver paura di aver paura e si può aver paura del nulla, ovvero si prova paura senza un perchè, facendosi prendere da crisi di panico totalmente immotivate.
Della patologica paura dei padani ho avuto prova anche di recente a seguito della iniziativa una estelada per la Catalogna di cui di seguito si riporta una carrellata di immagini. L’iniziativa ha avuto un buon successo, più di 150 bandiere esposte a Bergamo senza l’aiuto di nessun partito o associazione, ciò non toglie che ci sia chi non ha preso la bandiera, perché la moglie non vuole o che non l’ha esposta perché la zia al piano di sopra aveva paura e molti hanno dovuto litigare per poterla esporre. Ma cosa c’è da aver paura? L’estelada non è vietata neppure in Spagna, non è un bandiera anti italiana, le abbiamo persino scontrinate tutte per la disperazione di Leo Facco e la maggior parte delle persone neppure sa che bandiera sia e proprio questo era lo scopo dell’iniziativa, rompere il silenzio mediatico e far parlare di Catalogna per far parlar di indipendenza: in ogni caso cosa c’è da aver paura?
Di fronte alla patologica paura dei padani la soluzione è quindi solo una, porre loro questa domanda: cosa c’è da temere? Dovete farli ragionare, dialogare con loro, così che capiscano che i loro timori sono infondati, spiegare che non si prospettano pericoli inenarrabili, si chiede solo di esprimere senza paura una opinione, di essere assertivi. Cosa vuol dire? Di fronte a qualcosa che non ci piace si può essere passivi, ovvero subire, si può essere aggressivi ovvero reagire in modo smodato ed infine si può essere assertivi, ovvero dire le cose come stanno, senza timore e senza esagerare. Se guardiamo il caso catalano ci rendiamo conto infatti che la forza del movimento indipendentista non è data da un manipolo di intraprendenti e facinorosi che metto in atto spettacolari azioni di lotta, ma da alcuni milioni di semplici cittadini che non fanno nulla di particolare, ma che non hanno paura a testimoniare la loro opinione, non si fanno problemi a manifestare pacificamente e a votare al referendum per l’indipendenza: questo è ciò che ci serve, questo è ciò di cui abbiamo bisogno anche noi, di qualche milione di indipendentisti assertivi.
La nostra situazione attuale vede invece la presenza di un una grande massa di “indipendentisti Don Abbondio” o di “indipendentisti Fantozzi”, quelli che se li metti a fare da parafulmine in cima ad un palazzo ancora ti dicono “come è umano lei” e poi vi è un piccolo manipolo di “indipendentisti Sandokan” pronti a tutto, anche se una parte di questi in realtà sono “indipendentisti armiamoci e partite”. Noi avremmo bisogno di qualche milione di “indipendentisti grillo parlante”, ve lo ricordate il grillo parlante? Non è un eroe, non fa gesti eclatanti, dice solo la verità senza paura, dà una testimonianza di ciò che ritiene giusto e per aver tanti indipendentisti così, si deve solo dialogare con loro, spiegargli che esporre una bandiera, esprimere un’opinione, manifestare pacificamente non è un crimine, non è un rischio e non devono aver paura a farlo: a noi servono tanti cittadini che non abbiano paura di manifestare ed anche tante vecchine che non abbiano paura di firmare!
In ogni caso non abbattetevi, non crediate che abbiano paura solo i padani, infatti la paura è reciproca, l’i-taglia e tutto il suo ambaradan hanno una tremendissima paura degli indipendentisti, anche se siamo 4 gatti facciamo tanta tanta paura a Roma.
Padania libera!
ALCUNE IMMAGINI DELLA ESTELADA PROMOSSA A BERGAMO IN OCCASIONE DEL VOTO CATALANO
La generazione che ha fatto la guerra , generazione costituita da persone scomparse o che stanno per scomparire, era costituita da elementi che consideravano la morte come un doloroso incidente , ma che, se capitava, peccato, è toccato a me…..!
Ora questa generazione è costituita da persone abituata a vivere “col culo al caldo ” e con il costante timore di perdere , non dico la vita, ma anche solo qualcuno dei privilegi che la generazione precedente ha dato loro.
Tirate voi le somme.
Ricordo semplicemente che un sondaggio SWG del, mi pare, 2010 riportava che oltre il 60% degli intervistati al Nord era abbastanza/molto favorevole alla secessione del Nord da Fallitaglia.
Articolo molto interessante, che però confonde l’esibizione dei desideri indipendentisti con il soddisfacimento dei medesimi. E’ fuor di dubbio che per molte persone la soddisfazione è causata dalla partecipazione ad processo, ma per non pochi è la risultante del conseguimento di uno scopo. Da qui dipende, forse, il pensiero che l’articolo sottintende: che l’indipendenza da uno stato possa essere raggiunta aumentando la propaganda. Ed è forse per questo motivo che l’articolo, che resta comunque interessante, non distingue i meccanismi che consentono alle istituzioni pubbliche l’accentramento delle decisioni, dai meccanismi che incrementano il potere di un partito o di un movimento all’interno dello stato. Si ipotizza che l’indipendenza sia raggiungibile (se non già raggiunta come si potrebbe pensare leggendo l’entusiasmo che accompagna l’apologia delle consultazioni catalane, dove invece l’indipendenza non è ancora stata ottenuta) ottenendo un consenso molto diffuso; la mancata diffusione dipenderebbe, nell’articolo, da un atteggiamento poco assertivo dei militanti indipendentisti. Anche qui, temo, si finisce per identificare ciò che non è identificabile: la capacità persuasiva e l’assertività (quest’ultima è una disposizione alla discussione proficua, che potrebbe, perché no, condurre il militante a rinunciare all’obbiettivo dell’indipendenza). Si aggiunge quindi un problema, invece di toglierlo. L’articolo è, ripeto ancora, molto interessante e, per questo motivo, ampiamente criticabile. Non è sufficiente ed è inadeguato lo spazio di un post, quindi, caro Gianfrancesco, ti prometto una replica, non so quando. Per il momento mi limito ad inviare a te ed alla tua famiglia, pur non avendo il piacere di conoscervi di persona, i miei più sinceri auguri di buon proseguimento, non mancando di ringraziarti per i tanti spunti di riflessione e di attenzione, i tanti inviti all’intelligenza che continui, attraverso i tuoi articoli, a regalarci.
Morandini Alessandro
in effetti ho saltato un passaggio, infatti è vero che testimoniare di essere indipendentisti dà soddisfazione ma non significa ottenere l’indipendenza. Più correttamente intendevo dire che esprimersi è il primo passo per ottenere l’indipendenza, per essere al livello dei catalani che per lo meno se la stanno giocando e non al nostro livello che invece rimaniamo stupiti quando scopriamo di rappresentare il 37% dei piemontesi. Insomma dopo tanti “mi” occorre aggiungerci anche un “piaci” per conquistare una morosa, sono d’accordo che il più delle volte non è sufficiente, ma almeno proviamoci senza paura ed sarà già un passo in avanti. Ti ringrazio per i complimenti e ti confido che quello che mi auguravo era proprio una tua replica in materia per inquadrare al meglio il concetto che io da non esperto del settore ho appena abbozzato e già il tuo commento è stato utile per permettermi di precisare il mio ragionamento.