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Indipendenza ardua per legge, possibile politicamente (parte 2)

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veneto liberodi ENZO TRENTIN

Nella nostra società non sembra necessitiamo d’un approccio razionale, quanto della capacità di associare le immagini per analogia. Viviamo in un mondo in cui il vecchio principio di non-contraddizione è inutile, perché le immagini si proiettano ininterrottamente con una dinamica non-logica. Per vivere in questo mondo sembriamo propensi a sviluppare attività cerebrali che possono retrocedere ad un rapido ripetersi di una successione continua di immagini ed emozioni. In tale mondo, una struttura razionale è pura archeologia. La nostra società è impostata sulla velocità, e nella mente le immagini sono più rapide dei pensieri. Può sembrare un po’ astratto, ma pensiamo alla nostra vita di tutti i giorni. La razionalità in effetti non è mai stato il tratto caratteristico del mondo degli uomini; ciò è ovvio, ma è stata da sempre ritenuta essere al vertice della piramide cognitiva sociale umana come lo strumento limitato della nostra libertà politica. Eppure la capacità di operare connessioni razionali sembra non essere mai stata così necessaria come nell’attuale società.

Guardiamo al mondo indipendentista: ci sono un’infinità di soggetti che pur animati da sincero spirito riformatore non fanno che proiettare immagini di un mondo nuovo, da vivere secondo un nuovo patto politico-sociale. Un mondo che dovrebbe riconoscere “giuridicamente” l’aspirazione dei popoli a rendersi protagonisti di un assetto internazionale diverso dall’attuale. Eppure l’analisi del principio di autodeterminazione dei popoli assume una particolare complessità nel momento in cui un’eventuale definizione necessariamente collida con la nozione di popolo, quale titolare del diritto all’autodeterminazione. Già durante i negoziati del 1919, una divergenza si constatava tra l’opinione sovietica, che si basava sulla rilevanza interna del principio di autodeterminazione, riconoscendo, dunque come titolari del diritto quei popoli soggetti ad un governo autocratico e dittatoriale, e l’approccio Wilsoniano di matrice nettamente anti-colonialista (1). Premettendo che dal punto di vista delle Nazioni Unite l’autodeterminazione è un concetto comprensivo sia dell’aspetto internazionale, sia di un aspetto interno, in termini di realizzazione democratica (2), prima di individuare le categorie empiriche in capo alle quali è riconosciuto il diritto all’autodeterminazione, appare opportunamente propedeutico inquadrare in termini giuridici anche il concetto di popolo.

A tal fine, ancora più problematica risulta, in seno ad una comunità internazionale costituita prevalentemente da Stati sovrani con frontiere ben definite, l’individuazione dei caratteri distintivi della comunità umana che potrebbe rivendicare l’autodeterminazione. Da questa prospettiva, l’United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO), la quale si è dedicata a smussare gli aspetti relativi ai diritti dei popoli, ha inquadrato la nozione di popolo in “un gruppo di esseri umani che hanno in comune numerose o la totalità delle seguenti caratteristiche: una tradizione storica comune, una identità razziale o etnica, una omogeneità culturale, una identità linguistica, affinità religiose o ideologiche, legami territoriali, una vita economica comune (3)”. Tale gruppo deve – inoltre – “avere coscienza e desiderio di essere identificato come “popolo” ed avere mezzi ed istituzioni idonei ad esprimere tale identità. È stato tuttavia sostenuto che il requisito della sovranità e dunque il divenire Stato non è necessario per l’identificazione di un popolo (4).

Assumendo come punto di riferimento la suddetta nozione di popolo, il diritto all’autodeterminazione può dunque definirsi secondo una magistrale opinione come «la libertà di scelta del regime politico, economico e sociale e in primo luogo naturalmente – al pari del principio di nazionalità – la libertà di accedere all’indipendenza come Stato separato oppure di distaccarsi da uno Stato per aggregarsi ad un altro (5)». Se in questi termini si riesce ad evincere almeno in astratto la portata universale del principio di autodeterminazione, confermata dal disposto sostanziale dell’articolo 1 par. 2 della Carta delle Nazioni Unite e dalle risoluzioni dell’Assemblea Generale, negli sviluppi della prassi l’autodeterminazione spesso ha costituito un diritto che progressivamente è stato esteso a diverse categorie di popolo.

Per molto tempo, in realtà, si è ritenuto che titolari di tale diritto fossero esclusivamente i popoli sottoposti a dominio coloniale, ottemperando alla prioritaria esigenza dell’ONU di liberare i popoli colonizzati dalle potenze europee. Già nel 1952 l’Assemblea Generale aveva deciso di includere in un Patto sui Diritti Umani una disposizione che attribuiva a tutti i popoli il diritto all’autodeterminazione, assegnando agli Stati la responsabilità di promuovere l’indipendenza dei territori non autonomi (6). Insomma, ci troviamo di fronte ad enunciazioni di principio altamente morali, ma molto ambigue nella loro concretizzazione.

Nella fattispecie dovrebbero essere gli Stati, in palese conflitto d’interessi, a promuovere il loro smembramento o ridimensionamento per favorire la creazione di altri nuovi Stati. E siccome gli attuali Stati sono retti da oligarchie sedicenti democratiche, ma spesso al servizio dei poteri economici nazionali e/o internazionali. Insomma, dovrebbero essere i sedicenti aristocratici [Aristos può riferirsi in greco a “migliore”; ovvero aristocrazia come governo dei “migliori”] che, con sfoggio di democrazia, concedono il potere ai democratici [dal greco (démos): popolo e (cràtos) potere o (krazia) regola, che etimologicamente significa “governo del popolo”, ovvero sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente dall’insieme dei cittadini]. Non vorremmo sbagliare, ma non si è mai visto.

Passando ad analizzare il mondo indipendentista dello stivale, sinora, sembrano essersi distinti prevalentemente gli emuli di Joseph Paul Goebbels (Ministro della Propaganda nel Terzo Reich dal 1933 al 1945), piuttosto che personaggi quali Walter Fürst di Uri, Werner Stauffacher di Svitto, Arnold von Melchtal di Unterwaldo, che la leggenda segnala quali organizzatori e sottoscrittori del Patto del Grütli. Ovvero quegli statisti che nel 1291 hanno dato origine alla Confederazione Elvetica.

Malgrado – come detto più sopra – un gruppo che voglia l’indipendenza debba avere coscienza e desiderio di essere identificato come “popolo” ed avere mezzi ed istituzioni idonei ad esprimere tale identità. Di progetti istituzionali completi, condivisi e credibili, ad oggi, non se ne sono visti. Si ripiega su concetti giuridici che vorrebbero l’ottenimento dell’indipendenza. Ma quale giudice dovrebbe o potrebbe essere chiamato a sentenziare ciò?

indipendenza xePrima di provare a rispondere, crediamo utile ribadire qui una constatazione già fatta altrove in passato. Bartolo da Sassoferrato (1314–1357) è una celebrità solo per i cultori della storia del diritto e tuttavia tutti dovrebbero conoscere questa sua coraggiosa confessione che citiamo a memoria: «Ogni volta che mi si propone un problema giuridico, prima sento quale deve essere la soluzione, poi cerco le ragioni tecniche per sostenerla.» E se questo era vero per un simile luminare [La venerazione delle successive generazioni di studenti del diritto è dimostrata dall’adagio: nemo bonus íurista nisi sit bartolista, non può essere un buon giurista chi non sia un bartolista (cioè un seguace di Bartolo).], figurarsi per il magistrato qualunque. Dunque aspettarsi dal giudice un giudizio asettico, pressoché meccanico, come una macchina in cui si infila il fatto e viene sputata fuori la sentenza, è del tutto fuori luogo. Il diritto cerca di mettere ordine e razionalità nelle vicende, tipizzandole in quadri astratti, ma poi in concreto quel diritto viene maneggiato da un essere umano, con la sua cultura (o incultura), la sua affettività, i suoi principi e, perché no? i suoi pregiudizi. Si spiega così come la parola “sentenza” si ricolleghi a “sentire”, cioè alla stessa radice di “sentimento”, non a “sapere”. Una conferma ai giorni nostri? Si può approfondire qui: [LEGGI QUI] “Chi spara in missione al rientro viene indagato.” Carlotta Ricci (per il quotidiano “Il Tempo”) «In Italia capita anche questo. Capita che se sei un militare di professione puoi essere mandato in Afghanistan. E lì può capitarti che qualcuno ti spari addosso. E tu rispondi al…» Per non dire di un artigiano di Lugo di Romagna che, travolto dalla crisi economica, per quattro mesi non era riuscito a pagare l’affitto dell’appartamento dove viveva con la moglie e i due figli. Pressato dalle intimazioni del padrone di casa, ricorda l’Ansa, l’uomo era “riuscito infine a racimolare la somma dovuta, 1938 euro: ai primi di febbraio di quest’anno è andato in banca con i soldi per fare il bonifico, senza pensare o senza rendersi conto che l’istituto di credito avrebbe trattenuto 3 euro come spese di commissione. La cifra arrivata nel conto corrente del proprietario di casa, quindi, è stata di 1935 euro. Tre euro in meno rispetto alla cifra di cui l’affittuario era a debito: tre euro mancanti che hanno convinto il giudice onorario del tribunale ravennate a convalidare lo sfratto”. Fissato per il giorno di Pasqua. Possiamo immaginare la risposta di quel burocrate della giustizia ingiusta: ha solo applicato la legge, che colpa ne ha se la legge è quella?

Ma chi non prendesse sul serio Bartolo da Sassoferrato potrà riflettere su una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), datata da Strasburgo, il 30 ottobre 2007. Vedasi qui.  In essa il principio della terzietà del giudizio è gravemente messa in dubbio. Infatti il ricorrente (italiano) contro lo Stato italiano, si trova a subire una sentenza emanata da una triade di giudici, uno dei quali è italiano.

Come disse un famoso politico americano: «l’estremismo, nella difesa della libertà, non è vizio e la moderazione, nel perseguimento della giustizia, non è una virtù.» Per questo noi insistiamo nel sollecitare lo spirito degli indipendentisti più sinceri a spendersi “politicamente” alla costruzione di un assetto istituzionale come sopra suggerito; emarginando gli emuli del Dr. Goebbels.

Sentenza_CEDU

(segue 3)

* * *

NOTE:

  • Sul punto cfr. ARCHIBUGI D., “A Critical Analysis of the Self-Determination of Peoples: a Cosmopolitan Perspective” in Constellations 10, N°. 4, Oxford, 2003.
  • GUARINO G, “Autodeterminazione dei Popoli e Diritto Internazionale”. Napoli: Jovene Editore, 1984.
  • UNESCO, Seminario di esperti, “Diritti dei popoli” in Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli, anno IV°, N°. l, 1990.
  • FERRAJOLI L., “Il diritto all’autodeterminazione nell’età della globalizzazione” in Fondazione Lelio Basso, ed., Il diritto all’autodeterminazione dei popoli alle soglie del 2000. Roma, 1999.
  • ARANGIO RUIZ G., “Autodeterminazione (diritto dei popoli alla)” in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1988, vol. IV. L’autore critica la nozione di autodecisione, intesa sic et simpliciter come mera condanna del colonialismo, accezione che smentirebbe la portata universale dello stesso principio in questione, confermata dalle citate risoluzioni dell’Assemblea Generale ONU.
  • EMERSON R., From Empire to Nation: The Rise to Self-Assertion of Asìan and African Peoples. Boston: Beacon Press, 1960.

(parte 1: https://www.miglioverde.eu/indipendenza-ardua-per-legge-possibile-politicamente/ )

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