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Indipendenza, dal po del ’96 alla diada catalana: andata senza ritorno

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di GIANLUCA MARCHI*

diada-oggi-2Oggi Barcellona e la Catalogna hanno celebrato la Diada, la festa dell’orgoglio catalano e soprattutto della voglia di indipendenza di quel popolo. Dal 2012 ad oggi questo appuntamento dell’11 settembre ha assunto, al di là del valore celebrativo, un profondo significato politico. Questa giornata è diventata la marcia anche fisica di una parte consistente del popolo catalano verso l’indipendenza della Catalogna. Da ormai cinque anni milioni di persone (il top è stato toccato con 2,5 milioni di persone in piazza in poche ore su una popolazione totale di 7 milioni) scendono in strada per dimostrare, con spirito di festa, che la Catalogna non è Spagna e per invocare la nascita di una nuova Repubblica. In termini numerici, tanto per avere un’idea, è come se Milano un giorno fosse invasa da tre milioni e mezzo di lombardi pronti a chiedere l’indipendenza della Lombardia da quella sorta di stato delle banane in cui è costretta. Un sogno…

Secondo gli annunci degli indipendentisti catalani più determinati, quella di oggi dovrebbe essere stata l’ultima Diada con la Catalogna ancora facente parte della Spagna. A metà del 2017, infatti, dovrebbe cominciare il processo di “disconnessione” da Madrid. Il presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, tutto sommato stamattina non ha detto cose molto distanti, anche se ha usato toni più diplomatici. In una conferenza stampa davanti a giornalisti di tutto il mondo ha annunciato che a breve allo Stato spagnolo sarà presentata una nuova proposta di referendum per l’indipendenza. Ma se Madrid dovesse continuare a rispondere con la legge e con la giustizia, negando ogni possibilità in tal senso, allora Puigdemont si tiene una soluzione di riserva: sciogliere il Parlamento catalano e convocare nuove elezioni proprio nel settembre 2017, trasformandole in pratica in un plebiscito pro e conto l’indipendenza catalana. In sostanza alle nuove elezioni le forze indipendentiste dovrebbero presentarsi con un unico punto nel programma: la secessione dalla Spagna (era l’idea già lanciata dal suo predecessore Artus Mas).  E se il risultato dovesse confermare a loro la maggioranza assoluta, allora comincerebbe la rottura unilaterale. A meno che a Madrid, attualmente nel caos politico totale, senza un governo eletto da ormai dieci mesi, non si aprano spiragli nuovi per una trattativa. Perché Puigdemont ha ribadito che la Catalogna vuole sedersi a un tavolo, ma è Madrid che finora ha risposto picche, replicando agli atti del Parlamento catalano con le minacce legali. Insomma, quello che ci sta davanti sarà un anno dove i riflettori resteranno perennemente accesi su Barcellona e la Catalogna.

Tornando alla Diada, che quest’anno si è divisa in cinque città, i cinque pilastri su cui erigere l’indipendenza catalana, da cinque anni ormai è la più grande manifestazione indipendentista che si tiene in Europa. Anzi nel mondo. Ma giusto venti anni fa, quando la Diada non era affatto la mobilitazione di massa in cui si è trasformata nell’ultimo lustro, dalle nostre parti si tenne quella che a tutti gli effetti fu considerata, fino ad allora, la più grande manifestazione indipendentista mai avvenuta in Europa. Parlo ovviamente del raduno sul Po del 15 settembre 1996, voluto dalla Lega Nord di Umberto Bossi con l’intento di avviare il cammino verso l’indipendenza della Padania.

Da allora ne sono passati ben quattro di lustri e non uno solo come nel caso della Diada “politica” (giusto per tacitare quelli che straparlano di tempi infiniti o addirittura di impasse per la Catalogna, senza sapere che il distacco da uno stato centralista non è una passeggiata e richiede di avere sotto i pantaloni grossi, anzi grossissimi cojones), e in Padania di quell’evento e di quegli obiettivi cosa è rimasto? Pochino a parere di coloro che ancora vogliono essere buoni. Nulla per coloro che son rimasti profondamente delusi.

Il prossimo fine settimana la Lega di Salvini ritorna a Pontida dopo qualche cancellazione. Vedremo se del Po 1996 si ricorderà qualcuno o se invece tutto sarà cancellato sull’altare della nuova Lega partito nazionalista italiano (sic!). Se l’ospite d’onore sarà, come annunciato, Marion Marechal Le Pen, c’è poco da sperare, visto che di recente il Front National si è scagliato contro le aspirazioni indipendentiste della Catalogna. L’impressione è che dal Po partì un grande vento, che poi è andato a soffiare sulla Diada, ma sul grande fiume non vuol più tornare. O forse non lo vogliono far tonare.

Un inciso finale lo faccio in qualità di presidente dell’Associazione Gilberto Oneto. A Pontida ci saremo col nostro gazebo, anche se la Lega sembra voler imboccare strade diverse da quelle sempre sostenute da Gilberto. Ci saremo perché siamo sicuri di una cosa: nel popolo leghista ci sono ancora tantissime persone che hanno nutrito e nutrono un’ammirazione sconfinata per lui, per le sue idee e per la sua coerenza. A queste persone  noi vogliamo rivolgerci, per presentare il libro che abbiamo edito come primo atto dell’Associazione, “Gilberto Oneto. L’avventura di un uomo libero”, e per raccogliere adesioni in vista dell’intensificarsi della nostra attività culturale, che nel 2017 prevede anche l’organizzazione di corsi di formazione sui temi dell’indipendentismo, della cultura identitaria e delle tradizioni, della tutela del territorio e del paesaggio, cioè i temi che hanno caratterizzato la vita di Oneto. E se nel nostro lavoro culturale riusciremo anche a coinvolgere dei novizi, saremo solo contenti.

  • direttore del MiglioVerde e presidente dell’Associazione Gilberto Oneto (www.associazionegiolbertooneto.org)

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