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Indipendenza degli “stati di savoia”, manifestazione a torino

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stati-savoiaRICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

L’11 settembre a Torino, nel pomeriggio, si è tenuta la seconda manifestazione di rivendicazione politica degli Stati di Savoia.

La manifestazione ha avuto inizio a Palazzo Madama per poi svilupparsi nel centro della Capitale Sabauda toccando i luoghi simbolo della città. Dopo il grande successo dell’anno passato invitiamo tutte le genti della Val d’Aosta, Piemonte, Savoia e Nizza che si riconoscono nella secolare storia comune che Francia e Italia tendono a marginalizzare quando non nascondere, di partecipare per ribadire che non sono bastati dei segni su una carta geografica e la propaganda di un secolo e mezzo per cancellare la nostra memoria.

Dopo anni di oblio ci siamo risvegliati e vogliamo rivendicarlo nel cuore della nostra Capitale. Gli Stati di Savoia tornano a sventolare le loro bandiere e a fare vedere che (R)esistono ancora!!!

Piemonte Stato

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https://www.youtube.com/watch?v=z-9EvthKzU4&feature=youtu.be

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  1. Clemente Solaro della Margarita – Ministro degli Esteri e Primo Segretario di Stato di Carlo Alberto – da:”Questioni di Stato”- https://books.google.it/books?id=KMYHHlgZQE0C&pg=PA24&focus=viewport&hl=it&output=text#c_top

    “I fasti dell’Augusta Casa di Savoia son noti di qua e di là dell’Alpi ed oltre il mare, nella sacra terra di Palestina, nè ha questa stirpe gloriosa d’uopo di far proprii i fasti dell’ Italia per avere rinomanza e onore. All’Italia arreca gloria aver in essa avuto seggio Emmanuele Filiberto, Vittorio Amedeo Il, Carlo Emmanuele di lui figlio; il nome di Piemontesi non toglie alla loro fama lo splendore con egregio imprese meritato. l Piemontesi che difesero Torino nel 1704, che colsero allori in Guastalla, che sostennero con tanto coraggio una disastrosa guerra dal mille settecento novantadue al novantasei, non hanno pensato mai che dirsi dovevano Italiani per aver nome fra i posteri; le prove del loro valore sono trofei dell’Italia, ma hanno guadagnato a prezzo di sangue il diritto che basti a segnalarle il nome della SAVOIA e del PIEMONTE. Rinunziare a questi per confondersi coll’ Italia, è scemare la propria gloria, è confondere nei flutti dell’ Adriatico le acque del Po, che vi perdono come l’ ultimo dei ruscelli il nome. Chi sono coloro che disprezzano della terra nativa il nome per fregiarsi di quello d’ Italia? Povero amor patrio, se si dimostra nel far buon mercato di quel paese in cui si respirarono le prime aure di vita! Chi son costoro? Lascio a parte i molti che fanno eco ad ogni idea di moda, sol perchè è di moda, o perchè fu cantata per vezzo dai poeti, nè pensano che tema obbligato delle loro rime da tanto tempo non fruttò che disinganni e disastri;non pensano che non sono a trattarsi, poetando,cosi gravi argomenti. Costoro sono quelli che servir vogliono non all’Italia, ma alla rivoluzione. Per isvellere dal cuore quei nobili sentimenti per cui i Piemontesi erano devoti al trono de’ loro Principi, sdegnano le tradizioni degli avi e le memorie delle proprie grandezze, cercano d’innamorarli di altre glorie, di altre famose venture, di altre speranze. Perdendo l’amore alla propria gloria per aver diritto a quella di più estesa Nazione, si perde l’amore alle patrie leggi, alle patrie consuetudini, a quanto dagli altri popoli ci distingueva.
    Mendace è l’ entusiasmo di quanti, predicando il risorgimento, consigliano di sacrificare il proprio nome per alzar fiero il capo come successori del popolo di Quirino: oh fossimo pure eredi delle virtù di tal popolo! ma allora non cercheremmo di perdere il nome; vorremmo anzi che altri invidiassero il nostro! Mendace è quell’entusiasmo, perchè prima condizione è che si conseguisca a prezzo di rivoluzione, vale a dire, col rovescio d’ogni ordine stabilito il malaugurato risorgimento. Dite a costoro: al Piemonte solo sarà concesso di vivere in libertà purchè dall’Italia si separi; tosto grideranno maledizione all’Italia, sia solo il Piemonte; sia pur solo, rinunci a far parte di lei, rimanga in servaggio, basta a noi la gloria nostra, muoia l’ Italia.
    Dite a costoro: l’ Elvezia invita il Piemonte ad accrescere il numero de’ suoi Cantoni, delle sue repubbliche sotto l’ impero delle idee democratiche, e sottoscriveranno tosto a perpetuo divorzio dall’ Italia.
    La gloria di quest’ inelita Penisola a loro è cara in quanto serve a destare idee di disordini, e ad avviare al precipizio le sante idee di religione e di giustizia. Prima gloria d’Italia è di avervi seggio il Romano Pontefice: quando mai s’ invoca tal vanto per far che il Piemonte abbia caro d’aver nome Italiano? Celebrano i nomi d’Arnaldo da Brescia, di Cola di Rienzi, non ci ricordano che di fuga le memorie dell’Italia quando era maestra alle altre Nazioni di civiltà e coltura; la rinomanza che ad aspirar c’invitano è quella dell’ ire guelfe e ghibelline, essi che nulla hanno di guelfo che l’ira. Noi ricordiamo quei tempi, sappiamo che le nostre città furono pur divise da infelici discordie. Asti, Vercelli ed Alessandria facevano parte della Lega Lombarda. Guelfi erano molti dei nostri maggiori, ma altre memorie ha il Piemonte, e una nazionalità sua propria cui vergogna sarebbe porla in obblio, tristizia rinunziarvi.
    Amo anch’ io l’Italia, e sia che mi trovi in Firenze od in Napoli, ma principalmente in Roma, venero le memorie di tanti sommi ingegni, di tanti eroi che in esse fiorirono, e godo che nato di qua dell’ Alpi posso esclamare in qualunque di quei luoghi: sei‘ pur anche mia. terra felice, semenzaio di virtù e valore. Ma al pensiero mi torna il nome di quelle provincie che il Po e la Stura irrigano, ed esclamò: bello è pure appartenere a queste terre, nè per esse diminuisce lo splendore della patria comune! Il nome di Piemonte nulla perde in faccia ai forti di tutte le età che dall’ Italia prendono il loro.
    Guardiano dell’Alpi si chiamava un dì il Sire sabaudo, tal vanto non l’avremmo avuto mai se dalle altre terre d’Italia non divisi non avessimo formato un Regno a parte. È vero, or l’Alpi non sono più schermo, ma del segnalato coraggio de’ padri nostri rimarrà nei più lontani secoli la memoria. Amo anch’ io l’Italia, ma credo che basti amarla come gli Ateniesi e gli Spartani amavano la Grecia, nè perciò rinunziavano alla gloria della propria lor patria. Greci erano i cittadini di Tebe e di Corinto, ma non leggo in alcuna storia che nè essi, nè altri di quelle famose repubbliche sdegnassero il proprio nome. Tutta la Grecia applaudì ai trionfi di Maratona e di Salamina, furono gloriosi per lei, ma la palma fu data‘ad Atene, la ritenne come sua. Milziade e Temistocle furono sempre detti Ateniesi. Pausania e Leonida Spartani. Traditore sarebbe stato presso quei liberi popoli chi avesse predicato di rinunciare all’amore della propria repubblica, chi avesse detto: abbandonate le memorie cittadine, riunite in un sol pensiero la Grecia, cancellinsi le leggi di Solone e di Licurgo, s’aboliscano i Re di Sparta egli Efori, s’abolisca l’areopago di Atene, una sola legge, una legge nuova chiami a nuova e più gloriosa vita questa terra, meglio allora lotteremo contro gli Sciti ed i Persi. Filippo il Macedone tentò l’impresa, ma per ingordigia d’impero caddero Sparta ed Atene e l’ altre città; la Grecia fu riunita, ma la sua gloria si spense.(……)
    Se la Casa di Savoia vuol diventare esclusivamente Italiana, ripudia, non in fatto forse, ma in massima, la più antica porzione del nobil suo retaggio; se il Piemonte considera che i confini della Nazione sono al piè dell’Alpi, la Savoia diviene per lui terra straniera; ma la Savoia è l’antiguardo d’ Italia, ed è un’ idea da mentecatto il credere che senza nostro danno ‘potremmo restringere i confini dal lato dei monti, poichè li dilateremmo nelle vaste pianure della Lombardia. “

    • Solaro della Margarita.
      “Ma badiamo ai Governi ne’quali sta il concetto politico delle Nazioni, e qui non parlo di Principi, poichè ognun sa che nè i Papi, nè i Duchi di Toscana, nè i Re di Napoli, non sognarono mai la riunione, nomino due Repubbliche, quella di Venezia e la Ligure, che con tanto senno per più secoli mantennero la loro indipendenza. Pensarono esse mai a voler riunita l’Italia?
      Di recente ancora, nel 1848, con quanta ripugnanza non si risolvette il Governo dell’ insorta Venezia ad accettare la fusione collo Stato Sardo? Eppur trattavasi di question vitale, e se non potè unita, non certamente avrebbe riuscito sola a restituirsi indipendente; nondimeno senza il pericolo di essere tosto abbandonata e vinta non avrebbe ceduto alle nostre istanze mai. La sua ritrosia ad affratellarsi dovrebbe far comprendere a più d’uno qual fondamento sia a farsi sul desiderio de’popoli italiani per l’unione. Nè dobbiamo dimenticare i dolorosi fatti di Milano, l’ingratitudine verso Carlo Alberto di coloro che pochi giorni prima lo salutavano come loro Sovrano; non dobbiamo dimenticare le contese per l’Assemblea Costituente, le gare su qual città sarebbe la Capitale del nuovo Regno. Sono queste memorie deplorabili; io trascorro di volo sopra le medesime, però è forza di accennarle, perchè dimostrano qual sia sempre l’animo degli Italiani, qual sia la loro concordia, nè valgono gli sforzi di alcuni pochi più assennati a destar migliori consigli.
      Ma ritornando a tempi più remoti l’ idea perfino dell’indipendenza che ogni Stato giustamente per sè desiderava, era ben diversa da quella cui ora si vorrebbe dar vita, e farcela credere una memoria dei nostri maggiori, un deposito confidato da loro alla pietà dei nipoti.
      Avventure, malgrado il suo ingegno, un asserto, che non trovo fondato negli annali della storia, Cesare Balbo, quando nel suo libro, delle .Sperame, disse che da tredici secoli l’ Italia segue l’impresa dell’indipendenza; e chi s’addentra nel pensiero della famosa Lega Lombarda, che fu l’epoca in cui più grandeggiò quell’ idea, scorge che il famoso patto di Pontida non era cosi esclusivamente italico, come ora vorrebbero farci credere. Bilevo infatti dagli Annali del Muratori, che mentre i Comuni stringevano alleanza per resistere all’ Imperatore, era nell’intento di sostenere i privilegi, i diritti da Federico violati, e non mai di sottrarsi dalla sua alta giurisdizione, e quei popoli, che nel 4467 odiavano l’oppressione tedesca e giùravano difendersi l’un l’altro col prender l’armi, ammettevano però la clausola salva lumen Imperaloris fidelilate; per non essere tacciati di ribellione, come a questo riguardo osserva il Bo‘ smini (4). Questo basta a dileguar ogni dubbio sul preteso scopo della Lega Lombarda. Ove poi si dicesse che quella clausola fu un’astuzia politica, risponderò, tal sia pure stata. Proverebbe in tal caso che‘i nostri maggiori, anche non curandosi di serbar la fede, riconoscevano il dovere di serbarla, e proverà sempre che il concetto dell’ indipendenza non era allora assoluto quale vuolsi a di nostri. Nè è fuor di luogo entrare in quest’argomento, sebbene sollevi sdegno. Non è inutile, poichè mentre si adopera ogni mezzo, si chiamano in aiuto le passioni degli avi, s’interpretano i loro pensieri per ispingere avanti l’ idea del moderno risorgimento , è bene render avvertito chi cerca il vero nel presente e nel passato, che quanto si va declamando, non ha fondamento.
      Vien dietro la chimera del‘ primato dell’Italia. Ebbe l’ Impero Romano il primato del mondo; caduto I‘Impero, perdette l’Italia il primato. L’ebbe la Francia sotto Carlo Magno: morto lui, non vi fu più primato, se pur tal non vuolsi con dolore chiamare primato della forza quello dei Musulmani per gran tempo terribili all’ Europa: finì colla battaglia di Lepanto.
      L’Italia ebbe il primato una seconda volta , il primato della civiltà, dei lumi, delle scienze e delle arti nel cinquecento; per essa si sparse la civiltà in tutto l’orbe, ma dal di che i popoli ammaestrati da lei la uguagliarono, non vi fu più primato. Conservò però il primato religioso che ad ogni altro sovrasta, e tutto l’orbe cattolico s’inchina alla Sede Romana; non vi è terra irraggiata dal sole in cui non si conosca che v’è in Italia quanto di più grande è nell’universo. Le sette moltiformi e discordi che pullulano sotto tanti climi vedono con astio quel primato e vi si ribellano; ma con la guerra che gli muovono da tanti secoli indarno, ne confermano l’esistenza e la forza. Sarebbe primato politico se tutto il mondo riconoscesse nel Successore di Pietro il supremo pastore degli uomini, il mediatore di tutte le contese politiche, il maestro solo della vera credenza; ma tal bellissima ventura è lungi dalla realtà; non avverrà che quando sarà vicino il tempo della dissoluzione de’ secoli, ed auguro all’Italia che sia essa allora il centro del solo ovile; allora avrà di nuovo il primato politico, ma a beneficio dell’umana famiglia, non a soddisfazione di intemperante orgoglio d’impero.
      Ora il primato nessuna Nazione può vantarlo, è diviso fra le principali Potenze; nessuna sovrasta a tutte. Iiisorgerà quando una possa superare le altre. Per pochi anni l’ebbe sotto Napoleone la Francia. Lo pretendeva sotto Luigi XlV, ma altre Potenze rivaleggiavano con essa, e non è vero primato quello che è conteso e non consentito, almeno tacitamente
      Tolgansi le idee di primato e di unione italiana che non possono realizzarsi, e si toglierà un gran pretesto a seguire nel paese nostro una politica esclusivamente italiana, agli interessi della Penisola di nessun utile, a noi di sommo danno: e qui si badi a quell’immenso che sovrasta per quanti amano la patria se accadesse mai che cessassimo di formare una Nazione indipendente per divenir provincia d’un Regno, fosse pure l’italico. L’Italia unita o non unita non iscomparirà mai, o sia composta di più Stati, o ne formi un solo; senza detrimento di sua gloria sussisterà sempre e sarà sempre un caro paese per tutto l’orbe, sia per le grandezze antiche , sia per quelle che ne presero il luogo; ma il Piemonte e la Liguria possono divenir quello che divennero I’Aragona e la Navarra, la Provenza e la Borgogna. Nè Francia, né Spagna non sono scomparse, ma dove se n’è ita la considerazione di quegli Stati divenuti provincie di possenti Beami? (……)
      La sola idea razionale intorno all’unione degli Stati italiani è quella di una confederazione fra i medesimi; ma nelle attuali circostanze, e colla diversità di opinioni politiche in cui ci troviamo, essa non è attuabile. No, non è attuabile, mentre l’ idea del nostro ingrandimento e dell’ unione d’Italia è predicata dalle piazze fin sopra i tetti. Per confederarsi conviene che nessuno Stato guardi gli altri Stati come destinati a servire alla sua possanza. Conviene si stabilisca la reciproca fiducia, e nessun Governo tema di essere da quello che aspira a divenire il più forte ridotto in provincia. Ah! siamo noi in tali condizioni in Italia, che nessun possa difîidare di noi?”

      • Solaro della Margarita fu un fervente Cattolico e sempre sostenitore della Monarchia assoluta che per tanti secoli ebbe il Piemonte. Capì che la “rivoluzione liberale” di Cavour e D’Azeglio avrebbe portato all’arrivo dei tiranni (il Facismo fu un prodotto della democrazia dato che Mussolini vinse ampiamente le elezioni) ed alla fine della Monarchia.
        Molti suoi scritti sembrano attualissimi.

        – Il principio d’autorità non ha che fare colla tirannide che è un abuso del potere.[…] l’origine d’ogni autorità viene dal Supremo Legislatore che ha pure ordinato il modo con cui deve esercitarsi, e dal quale non è concesso di allontanarsi mai per qualsiasi circostanza di umani eventi.
        Ogni qual volta da loro stessi gli uomini la derivano, si credono padroni d’esercitarla come loro piace; funesta e vana conseguenza d’un principio fallace, poiché in fatto è il più forte che l’esercita, e il popolo resta esposto a cadere in balìa della tirannide, meritato castigo di chi ha scosso il giogo soave dell’autorità che fu costituita per la salute, non per l’oppressione dei popoli. Posso ingannarmi, vorrei ingannarmi, ma un segreto presentimento fondato sugli esempi storici, sulla tendenza che prendono le idee che or più prevalgono, mi fa temere che non mai fu più vicina l’epoca dei tiranni di quello che or lo sia.

        -“Il moderantismo è un atto di solenne vigliaccheria; son moderati i pusillanimi che tutto temono, e tentano salvarsi colle teorie d’una falsa saviezza; gregge servile che non dà aiuto agli amici, non combatte gli avversarii, non ha il coraggio di forti opinioni, non osa reprimere i partiti; ne forma un terzo pallido ed impossente al bene; adula i vincitori, accarezza i vinti, pronto a servire sempre chi prevalga”

        “Una sola è la Destra e vi appartengono tutti coloro che la Religione, il bene e la gloria dello Stato hanno in mira”

        – «Invalsa è l’opinione ch’io fossi nemico del progresso e non a torto, se di quello ora s’intende che devia dai principii di verità e giustizia: ma questi non hanno progredito mai, e dureranno fino alla consumazione dei secoli immutabili come furono ispirati all’uomo fin dalla fondazione del mondo. Il moderno progresso nell’ordine morale devìa da quei principii, ed è, in contraddizione al suo nome, un vero regresso. Io sono certamente nemico a tutte le teorie che, insegnando soltanto agli uomini i loro diritti, tendono a far che pongano in non vale i loro doveri; a quelle teorie, che scompigliano la società coi nomi di libertà, di eguaglianza, che tolgono alle autorità legittime, ai Sovrani specialmente, il lustro, il prestigio e la forza, che creano nuovi desiderii e nuovi bisogni per rendere i popoli inquieti ed infelici. Sono nemico a quell’istruzione, che ha per fine non di educare le classi, e l’infima soprattutto, nelle severe massime della Religione, ma anzi di cancellarla sostituendovi quelle di una virtù umana senza radice, senza usbergo, senza alcun conforto che la mantenga. Sono nemico a certe istituzioni di beneficenza, vero insulto alla carità di cui perfino s’abborre il nome, le quali si fondano per salire in riputazione, ed hanno per iscopo non di migliorare la sorte del popolo ma di guadagnar sopra di lui influenza, per far che più non cerchi sollievo nel vero fonte inesauribile di quella carità che non ha mancato mai fra gli uomini nei diciotto secoli scorsi. Sono nemico a tali Istituzioni, poiché, oltre al cattivo spirito che le informa, sono pure una solenne menzogna; asili infantili, alberghi di ricovero, incunaboli e simili invenzioni che potrebbero essere buone se un altro spirito vi presiedesse, non lo saranno mai se tendono a rompere i legami di famiglia, a soffocare la voce del sangue, onde fin da bambini si perda l’affetto ai parenti, e le madri non siano più sollecite della loro prole onde nell’adolescenza si prenda a disdegno l’umile condizione de’ parenti, e tal disdegno aumenti negli anni giovanili e verifichi il detto nemo sua sorte contentus; mentre anzi dovrebbe farsi in modo che ognun trovasse nella condizione in cui nacque la sua propria felicità. Tali considerazioni devono rendere avverso al vantato odierno progresso morale chiunque tiene a cuore la felicità delle generazioni avvenire non che della nostra. Ma se per progresso s’intende profittare delle nuove invenzioni e scoperte a vantaggio delle nazioni e degl’individui, a questo progresso non so d’essermi opposto mai. Strade ferrate, battelli a vapore, ritrovati d’industria, avranno essi il loro lato cattivo accanto al buono come n’ebbero la stampa, la polvere e tante altre cose; ma non perciò, quando sono generalmente adottate, vorrei privarne il mio paese e lasciare che rimanesse solo a non profittarne.»

  2. “E noi, sudditi dell’augusta Casa di Savoia, non dimentichiamo che abbiamo una storia ed una gloria nostra del
    cui splendore ci chiameranno conto i posteri. Guai alla memoria nostra, se quella per noi s’oscura ; perdono anche
    i fiumi più rigogliosi il superbo nome, confondendosi colle acque del mare ; così sarebbe di noi , se si avverasse il
    gran desiderio [Unità d’Italia]. Che ci mancava , quando il suon delle rauche trombe ci chiamò a risorgere ? Eravamo noi forse nel sepolcro ? Risorgono i morti ; noi la Dio mercè eravamo pieni di vigore e di vita , il nostro nome lo rispettavano i possenti della terra. La stella che ci guidava a gloriose venture si è oscurala : di chi fu la colpa ? Non io il dirò ; bensi fo voto, che da tanta vertigine non siano mai più nell’avvenire offuscate le menti , e non s’abbia a lagrimare altra volta il deplorabile scialacquo di tanto mal inteso patrio amore. Se non rispetto alle antiche dottrine, ci rattenga almeno la storia colle sue severe lezioni , nei grandi esempii che in tutte le età ce ne porge. ”
    Clemente Solaro della Margarita (Ministro degli Esteri di Carlo Alberto).
    Non esiste solo il Piemonte che ha invaso gli altri Stai,ma anche quello che ha fatto di tutto perchè ciò non avvenisse:
    http://storia.camera.it/regno/lavori/leg05/sed250.pdf ;
    http://www.gioventurapiemonteisa.net/lopposizione-cattolica-piemontese-al-risorgimento-italiano/

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