di GIANLUCA MARCHI
Diamo qualche numero per aiutarci a riflettere. Su cosa? Sulla voglia di libertà e di decidere del proprio futuro da parte di un popolo. La consultazione alternativa del prossimo 9 novembre in Catalogna, che ha preso il posto del referendum legale congelato dalla Corte costituzionale spagnola, segnala queste cifre: 30.231 volontari, diecimila in più di quelli considerati necessari, il sostegno di 938 dei 947 comuni catalani, che hanno messo a disposizione i locali per votare. La copertura è del 99.04% del territorio e del 99,9% della popolazione catalana, che pertanto solo in piccolissima parte sarà costretta a trasferirsi in altri comuni per poter votare. Saranno a disposizione in totale 6430 seggi e oltre 6 mila funzionari per certificare la regolarità del voto. I cittadini interessati alla consultazione saranno circa 5 milioni e 400 mila fra catalani e stranieri con diritto di voto (comunitari con un anno di residenza in Catalogna ed extracomunitari in regola da almeno tre anni).
Tutto questo ambaradan è stato messo in piedi in nemmeno dieci giorni da quando il presidente della Generalitat, Artur Mas, ha annunciato che ci sarebbe stato comunque un 9N alternativo. I catalani vogliono votare, anche in una votazione consultiva, per poter gridare al mondo intero cosa vogliono fare della loro terra e della loro comunità. Il 9 Novembre non ha perso interesse nemmeno davanti al fatto che i partiti indipendentisti hanno indicato nelle prossime elezioni anticipate la vera battaglia finale, quella plebiscitaria, quando le forze politiche sovraniste potranno presentarsi riunite in una lista unica per l’indipendenza oppure ognuna per conto suo.
Questo grande slancio della Catalogna, che pure si deve scontrare con la pervicacia di Madrid a impedire l’espressione democratica della volontà popolare, impressiona e, se vogliamo, un po’ scoraggia se paragonata alla quasi “calma piatta” che si registra nella nostra regione ritenuta più sensibile alle istanze indipendentiste, il Veneto. A Venezia e dintorni, per ora, c’è solo da registrare il deludente andamento della raccolta dei fondi privati per finanziare il referendum consultivo, che assomma a qualche decina di migliaia di euro a fronte di una necessità di 14 milioni.
L’impressione chiara è che a Barcellona sia la gente – fin dai due milioni di persone scesi per strada in occasione della Diada dello scorso 11 settembre, non per nulla promossa dall’Assemblea Nazionale Catalana, organizzazione trasversale della società civile – a spingere verso il voto e i partiti sovranisti non si tirano indietro, pur con i distinguo che esistono fra di loro e pur con qualche mediazione in stile democristiano che Artur Mas ha dovuto mettere in pratica per non farsi chiudere all’angolo (alcuni commentatori hanno addirittura parlato di una sorta di sua italianizzazione). Da noi, invece, i cittadini sembrano attendere un segnale dalla politica, ma la Lega appare più impegnata a ramazzare consensi in altre battaglie (contro i clandestini e contro l’euro) e in un progetto di trasformazione in partito nazionale italiano, mentre gli atomi indipendentisti faticano ad attrarsi l’uno con l’altro e se per caso lo fanno poi finisco per respingersi sull’onda di scariche elettriche di gelosia.
Insomma, i due scenari appaiono antitetici. Così si fa strada la netta sensazione che se al Nord o in Padania che dir si voglia non si innescherà un movimento di cittadini e di popolo prima che della politica, ogni afflato autonomista e indipendentista sia destinato a rimanere un esercizio retorico. In pratica solo chiacchiere…
Due milioni su cinque sono scesi in piazza. In Veneto, coloro che hanno rallentato la marcia, oggi sono lì con il potere in mano. In quel periodo temevano le istanze indipendentiste, temevano che potesse nascere un movimento politico indipendentista capace di svuotare la Lega, e visto come stanno andando oggi le cose in Veneto, si può solo dire che tale timore era più che fondato. Oggi il presidente Veneto è davanti al bivio : o diventa il “premier del futuro Veneto indipendente” oppure perderà le elezioni e passerà alla storia per essere stato il presidente che ha fatto un solo mandato. Zaia ha tutti gli strumenti per indire il referendum, e anche se la corte costituzionale lo volesse fermare utilizzando articoli costituzionali “tirati per i capelli”, cosa che dubito possa fare in questo momento storico politico basato su una crisi di sopravvivenza, la maggioranza dei veneti si esprimerebbe con un consenso “bulgaro”. Mi fa ridere, quando sento che stanno per raccogliere 14 milioni di euro per il referendum, mi fa ridere il solo pensare che temono la corte dei conti, la quale, sarebbe li pronta a far pagare alla giunta regionale e/o ( al consiglio regionale ) nel caso fosse dovuto il costo del referendum. Oggi hanno incassato solo 40.000 euro ? Ovvio, nessuno Veneto crederebbe ai politici che governano il Veneto di oggi. Zaia sonnecchia, quando invece, da una parte potrebbe adoperarsi in prima persona e fare un appello a tutti i veneti a contribuire per il referendum, e dall’altra potrebbe mettere in ginocchio tutti i politici degli altri partiti che lo sostengono minacciando le sue dimissioni. 14.000.000 per indire il Referendum ? Dimostrasse di fare sul serio, in mezza giornata li avrebbe già raccolti. Traccheggiare è inutile, piuttosto Zaia dimostri di voler fare sul serio, e lasci stare il suo partito che tanto non avrà di certo il consenso di cinque anni fa.
Vi e’ molta verita’ in questo articolo del Direttore.
fare tabula rasa di ogni movimento indipendentista e’ il primo passo per creare un movimento popolare trasversale che includa elettori di dx e sx, come peraltro e’ avvenuto in Catalogna. Qui invece tutto e’ finalizzato alla prossima elezione. Non c’e’ strategia politica, solo improvvise (e soprattutto improvvisate..) azioni che spesso rasentano il ridicolo, dettate solo dall’ambizione di trombati eccellenti, di sfigati ed esaltati masanielli che cambiano idea ogni venti minuti. Il dramma e’ che non abbiamo piu’ molto tempo a disposizione, non abbiamo anni per diffondere l’idea ed il credo indipendentista, abbiamo sprecato decenni sul nulla. Non mi nascondo certo dietro ad un dito, da tempo ho abbandonato l’idea di soluzioni “pacifiche e legali”. Mi auguro di sbagliarmi.
Uno dei tanti errori che gli “atomi” – vecchi e nuovi – commettono è quello di correre alle urne prima ancora di aver messo radici tra la gente che dicono di voler liberare.
Vogliono vincere elezioni senza prima vincere teste e cuori.
A mio avviso, trattasi di rifiuto di un’amara – amarissima! – verità: ci vorrebbero, partendo oggi stesso, almeno vent’anni per costruire qualcosa che possa ambire anche solo a battere i pugni sul tavolo.
La lega è riuscita ad ammantare di vergogna *tutto* l’indipendentismo, e questo anche grazie alla faciloneria di buona parte dei destinatari del messaggio indipendentista.
Èvero, ci vorranno 20 anni. Del resto da qualche parte occorre cominciare. Impariamo dagli ultimi 25 per non ripetere nessuno degli obbrobri visti finora. E largo ai più giovani.
Condivido quanto dice GLM circa gli atomi indipendentisti. Quanto alla lega, la mia diagnosi differisce da quella fatta dal direttore. Secondo me sarebbe stato difficile inventare un partito politico che, come ha fatto la lega, riuscisse, in un tempo relativamente breve, a coprire l’idea indipendentista di ridicolo e insieme di vergogna. Per fortuna del regime italiano, Bossi e i suoi sono riusciti nell’intento. Non dimentichiamo che gli attuali indipendentisti sono, per buona parte, persone che si spellavano le mani ascoltando le turpitudini di Bossi e dei suoi cloni, e che non hanno detto ba quando il professor Miglio è stato tradito ed emarginato da quello stesso movimento a cui cercava di conferire un minimo di dignità, rigore e credibilità.
Popolari sì. PopolaNi no. Specie se la parola popolaNo è il lasciapassare per reclutare un esercito di impresentabili a propria immagine e somiglianza, in base al solo criterio che gli impresentabili non facessero ombra al reclutatore medesimo. E per far ombra a quello, bastava un bonsai.
Solo da noi poteva succedere. Solo da noi si può ancora sperare in quella gente.