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Catalunya: senza referendum, democrazia dimezzata. mas “ostaggio” di madrid?

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di GIANLUCA MARCHI

da Barcellona

20140910_120135La Catalunya da ieri sera, con l’avvio delle celebrazioni ufficiali della Diada, rivendica a gran voce di non essere una democrazia dimezzata, dove la libertà è asfittica e legata, proprio come la ragazza che ieri mattina attirava l’attenzione di turisti e non sulla Rambla: stesa per terra, avvolta nella propria bandiera, ma legata dal nastro adesivo e con un sacchetto di plastica in testa. E davanti un cartello dove si recitava: “voglio decidere del mio futuro”. Era, quella in cui sono incappato, una iniziativa dei verdi catalani, ma nella scena stava raffigurato il sentimento di molti cittadini, probabilmente della maggioranza. Il fatto è che l’80% dei catalani, secondo i sondaggi ufficiali condotti dalla Generalitat (l’equivalente della nostra Regione, giusto per intenderci), pensano che sia sacrosanto consentire ai cittadini di esprimersi sul proprio futuro, se cioè vogliono l’indipendenza oppure no, qualunque sia poi il risultato. Ciò che non concepiscono è che la volontà del restante 20% della popolazione, quello contrario a ogni consultazione al riguardo, possa imporre la propria volontà alla stragrande maggioranza dei catalani. Da qui la sensazione di essere una democrazia dimezzata e asfittica se il diritto a decidere per il proprio futuro dovesse essere negato non consentendo lo svolgimento del referendum del 9 novembre prossimo, una scelta non decisa da qualche oligarchia, bensì una decisione assunta a maggioranza assoluta dal Parlamento Catalano, quindi accompagnata da tutti i crismi di legalità e di legittimità. “Che democrazia è quella – si chiedono in molti – che non consente al popolo di esprimersi attraverso il voto?”. Domanda retorica, per costoro, i quali sono convinti che se il referendum si tenesse, la maggioranza dei catalani si pronuncerebbe per avviare il processo di autodeterminazione, in altre parole aprire il cammino verso l’indipendenza.

Ed è proprio questa convinzione, cioè che se il referendum si svolgerà la strada per la creazione di un nuovo Stata catalano sarà tracciata, che ha spinto e spinge la politica madrilena, vale a dire lo Stato centrale, a mettere in campo tutti gli strumenti – sia quelli leciti che quelli piuttosto opachi – per impedire la consultazione, unica speranza perché la Spagna resti unita. Partiamo da quelli leciti: in queste ore il governo centrale ha fatto sapere che qualora la Catalunya confermasse la propria decisione di tenere il referendum, Madrid farà ricorso al Tribunal Costitucional e presenterà anche denuncia penale contro i decisori. Insomma, la minaccia nemmeno troppo velata è di mettere sotto accusa per alto tradimento i deputati catalani che hanno detto sì a referendum, con tutte le conseguenze del caso, non esclusa la galera.

20140910_212150 (640x480)Ma siccome la politica è fatta anche e soprattutto di colpi bassi – e quella spagnola non sfugge a tali sistemi – ecco emergere un’interpretazione difficilmente leggibile sui giornali, ma che in fin dei conti è avvalorata da una parte dei giornalisti che scrivono di politica. Noi non abbiamo problemi di sorta a proporla e cerchiamo di spiegarla papale papale. Il succo è che Artur Mas, il presidente della Generalitat, sarebbe in sostanza ostaggio del premier Mariano Rajoy e del governo madrileno. Ciò spiegherebbe la frenata che lo stesso Mas effettuato quando alcuni giorni fa, in una intervista al settimanale Temps, ha pronunciato la frase fatidica: “A cosa servirebbe l’indipendenza della Catalogna se nessuno è disposto a riconoscerla?”. Tali parole hanno fatto alzare le antenne soprattutto agli indipendentisti catalani di sinistra, i repubblicani di ERC, il cui leader Oriol Junqueras è arrivato a sostenere la “disobbedienza civile” in stile Martin Luther King se il referendum sarà vietato: cioè lo si deve tenere lo stesso e preme su Mas e il suo partito (CiU) a porsi sullo stesso binario. Il presidente, per ora, non raccoglie la pressione dei colleghi di maggioranza e, nel discorso ufficiale con cui ieri sera ha aperto la Diada, ha fatto un appello affinché il fronte indipendentista rimanga unito in vista delle decisioni che servono per arrivare alla convocazione del referendum. Ha rilevato che “il processo separatista non è un capriccio, ma l’espressione della volontà popolare di costruire un futuro migliore”. Inoltre, non potendo esimersi dal mas al fossardeludere i propri concittadini, ha addossato a Rajoy un “doppio errore”: voler silenziare la volontà popolare e non vedere il ricorso alle urne come soluzione al conflitto. Un gesto importante comunque l’ha fatto: s’è recato per deporre un omaggio floreale al Fossar de les Moreres, nel quartiere della Ribera, a fianco della cattedrale di Santa Maria del Mar, il luogo dove si celebrano i caduti catalani del 1714 e dove già ieri sera si sono ritrovate migliaia e migliaia di persone.

E tuttavia Artur Mas è “ostaggio” di Madrid? La domanda è legittima. Bisogna però fare un passo indietro e ritornare all’affare Pujol, il padre nobile e storico dell’autonomismo moderato catalano, presidente della Generalitat dal 1980 fino ai primi anni del nuovo secolo, da quasi quattro mesi finito sulla graticola (ma da Madrid rimbalzano voci anche di una possibile imminente carcerazione) per dei conti correnti di famiglia detenuti all’estero (ad Andorra), e che lui stesso ha ammesso lo scorso giugno dopo un diluvio di voci che si ricorrevano. Pujol ha parlato di una vecchia eredità paterna, ma gli avversari dell’indipendentismo catalano tendono a far passare l’idea di soldi frutto di corruzione dell’uomo più potente della Catalogna, e anche di Spagna, per oltre vent’anni. La domanda che si pone obbligatoria è però questa: come mai una notizia del genere è stata fatta filtrare a pochi mesi dalla convocazione del referendum, quando Jordi Pujol è fuori da incarichi amministrativi da oltre dieci anni?

mas 2La risposta potete facilmente intuirla: bisognava trovare qualcosa che screditasse tout-court il movimento indipendentista. E infatti ERC, fiutata la trappola, ha cavalcato fin da subito la proposta di istituire una commissione di inchiesta sull’operato di Pujol, anche a rischio di mettere fortemente in crisi i rapporti col partito di Mas e di Pujol, CiU appunto, con cui forma la maggioranza che sostiene il governo catalano. Ma c’è di più, ovviamente. Ciò che si mormora dietro le quinte è che il prossimo bersaglio a entrare nel mirino delle indagini giudiziarie sul proprio patrimonio sarebbe lo stesso Artur Mas. Qui allora casca l’asino: l’attuale presidente della Generalitat, per salvare se stesso, potrebbe essere costretto a mettere il piede sul freno del processo indipendentista, giustificando la cosa con altri argomenti, vedi appunto l’assenza di riconoscimenti internazionali e non all’eventuale Stato catalano.

Se il nome di Mas dovesse essere coinvolto in un affair di corruzione per CiU, già superato in percentuale alle Europee da ERC, sarebbe la fine politica. Di conseguenza alcuni osservatori si attendono che, al di là della propaganda indipendentista che oggi avrà il suo culmine con lo svolgimento della Diada, a breve sarà lo stesso Mas a mettere in stand-by il referendum, dopo che il Tribunal Costitucional bloccherà, con tutta probabilità, il decreto di convocazione della “consulta” che lui stesso è chiamato a firmare entro fine settembre. Se così sarà, però, Mas segnerà anche la fine del governo catalano (e il proprio probabile tramonto politico), visto che Esquerra Republicana non intende accettare alcun rinvio di quello che qui viene indicato come 9-N (9 novembre), con a quel punto inevitabili le elezioni anticipate e la frantumazione del fronte indipendentista. D’altro canto proprio oggi il nuovo leader socialista Pedro Sanchez rivela che Mas gli avrebbe confidato l’intenzione di andare a elezioni anticipate se la consultazione del 9 novembre sarà vietata dal Tribunal Costitucional.

20140910_224337 (640x480)Le cose stanno andranno realmente così? Difficile portare prove a sostegno di tale lettura di quanto sta accadendo in Spagna e in Catalunya, e dunque non resta che registrare le prossime mosse di questa delicatissima partita a scacchi, giocata sopra e sotto il tavolo. Solo dopo si potranno capire molte cose. D’altra parte non ci sarebbe da sorprendersi: questa è la politica, bellezza! Senza escludere, tuttavia, che dopo aver alimentato tanta attesa, potrebbe essere la stessa gente catalana a scendere in piazza e mobilitarsi per rivendicare il proprio diritto a votare. In definitiva qui in Catalunya è stato messo in moto un meccanismo difficile da arrestare. E chi volesse farlo a tutti i costi, potrebbe poi trovarsi di fronte a una vera e propria valanga.

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