di FABRIZIO DAL COL
I dati del bollettino ‘Finanza Pubblica, fabbisogno e debito’ sono impietosi: Bankitalia conferma che a ottobre il debito risale e le entrate calano. Il debito è aumentato in ottobre di 23,5 miliardi, a 2.157,5 miliardi, di cui i 23,5 mld sono da ascriversi alle amministrazioni pubbliche, ovvero a chi ha portato il debito pubblico nazionale a 2.157,5 miliardi.
Tuttavia, alcuni dati, se mai ce ne fosse stato bisogno, sono lì a denunciare che lo Stato centrale italiano oggi è totalmente incapace di amministrare il Paese come si dovrebbe. Infatti, il costo più elevato dello Stato sta proprio nella centralità e Unità del Paese, dal quale si partorisce la burocrazia, lo sperpero, la corruzione, la mala sanità, la giustizia, e i numeri li vediamo: il debito delle Amministrazioni centrali, che bisognerebbe però chiamare con il loro vero nome, ovvero tutti gli uffici amministrativi per la gestione dello Stato, delle partecipate, delle proprietà e tutto ciò che riguarda il componente di spesa, è aumentato di 25,0 miliardi, mentre quello delle Amministrazioni locali (quindi dei comuni, delle provincie, e delle regioni ) è diminuito di 1,5 miliardi e il debito degli Enti di previdenza è rimasto sostanzialmente invariato.
Da gennaio a ottobre, ovvero nei primi dieci mesi, il debito pubblico è aumentato di 8,7 miliardi al mese per totale pari a 87,7 miliardi. Quindi, come era evidente a tutti tranne che per la politica italiana, il Paese è avvitato su se stesso, e nessuna manovra finanziaria accessoria potrebbe oggi contribuire a sanare la situazione in cui si è infilato. Agli italiani, insomma, per tentare di arginare le sopra citate uscite si continua a somministrare pillole di tasse e balzelli vari, e lo si fa solo per mantenere intatto il livello della spesa pubblica, e senza voler prendere atto che si stanno buttando i soldi in un ‘pozzo di san Patrizio’.
Mentre i cittadini devono reggere questi sacrifici insopportabili imposti dai patti di stabilità, quegli stessi sacrifici ora stanno assumendo le caratteristiche di una‘ cambiale in bianco mensile’ in favore dello Stato e della Ue. Questa spirale senza fine sta alimentando la conseguente depauperazione dell’intera economia del Paese. Ma non finisce qui, perché è sul sostegno finanziario ai paesi dell’area euro che l’Italia paga quella ‘ cambiale in bianco ‘ di cui sopra, ed è addirittura l’Italia ad essere tra i paesi che più contribuiscono.
Sul fabbisogno dei primi dieci mesi il sostegno finanziario ai paesi dell’area euro ha inciso per 4,7 miliardi (11,7 miliardi nel corrispondente periodo del 2013). Complessivamente, la quota di competenza italiana per il sostegno finanziario ai paesi dell’area euro era, alla fine dello scorso ottobre, pari a 60,3 miliardi. I numeri parlano da soli, e per una economia che cala ci sono anche le entrate che calano, ma non cala la spesa pubblica che invece continua a crescere.
La politica italiana è allineata e coperta, pensa solo a salvarsi dalla catastrofe che essa stessa ha contribuito ad alimentare, e continua a difendere l’indifendibile credendo che la Ue gli caverà le castagne da fuoco, quando invece sarà proprio la Ue a darle il colpo di grazia finale. Un tempo, personalmente sostenevo questa logica: se stai davanti ad una vecchia bilancia, per intendersi quella con i due piatti, se un piatto risulta più basso dell’altro, per metterli in pari è necessario appesantire quello più alto. Ecco, è così che stanno distruggendo gli stati.
87 miliardi in 10 mesi, ammesso sempre che si tratta di numeri certamente addomesticati, è un’esagerazione.
Il mondo finanziario pare non valorizzare adeguatamente il dato.
Non so come siano messi gli altri stati europei come francia e spagna.
Ma 87 miliardi sono una cifra enorme.
Se va avanti così si arriva a 100 miliardi a fine anno.
La gente non valorizza il dato e continua a versare tasse pur sapendo che i loro soldi non servono ad altro che a mantenere un sistema di potere marcio e scialacquatore.
Ecco perché solo un default riporterà tutti coi piedi per terra, e sarà la base per ricostruire.