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Italia, la spesa per interessi arriverà a 100 miliardi l’anno nel 2026

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di MATTEO CORSINI

Prima di diventare banchiere e presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, Antonio Patuelli è stato un politico liberale. Da tempo Patuelli, nei suoi interventi, sostiene la causa della riduzione del debito pubblico. Commentando la recente riduzione dei tassi di interesse di mercato e le imminenti riduzioni dei tassi ufficiali da parte delle banche centrali, Patuelli scrive:

  • “Ora vi è la possibilità di innestare un circuito virtuoso nella finanza pubblica che abbia come obiettivo strategico la riduzione degli oneri anche prospettici del debito pubblico e la destinazione di maggiori risorse alla più qualificata spesa pubblica, continuando nella riduzione del costo del debito pubblico e puntando decisamente alla riduzione stessa del debito pubblico che è la vera, grossa palla al piede della Repubblica, dell’economia produttiva e di quella sociale in Italia. Insomma, la riduzione dei tassi d’interesse e la cospicua crescita in atto delle entrate dello Stato rappresentano importanti fattori che possono e debbono proprio contribuire anche ad avviare la riduzione non solo degli interessi sul debito pubblico, ma anche del debito pubblico in cifra assoluta, oltre che rispetto al Pil. Infatti la riduzione del debito pubblico deve essere vista come un obiettivo di «Liberazione» da costi più che rilevanti che stanno impoverendo gli italiani, pesano sulle produzioni e sulla competitività e limitano la spesa sociale soprattutto per la sanità. Prima si innesterà questo circuito virtuoso, prima sarà intrapresa la «guerra di Liberazione» dal peso eccessivo del debito pubblico e meglio sarà per l’Italia”.

Oggi la spesa per interessi è pari a circa 85 miliardi annui, che il governo prevede diventeranno 100 nel 2026. Se l’obiettivo, certamente condivisibile, è quello di ridurre il debito non solo in rapporto al Pil, ma anche in valore assoluto, l’idea di destinare una eventuale minore spesa per interessi a “spesa sociale soprattutto per la sanità” non aiuta la causa.

Né ci si possono attendere miracoli da una non meglio specificata “destinazione di maggiori risorse alla più qualificata spesa pubblica”. D’altronde, non ho mai sentito nessun proponente prospettare come uno spreco qualsivoglia voce di spesa ex ante, salvo poi dover constatare ex post che la moltiplicazione dei pani e dei pesci non si è verificata. Quella del debito sì, invece.

Le stesse maggiori entrate sono anche ascrivibili al fiscal drag e non sarebbero tali in caso di rallentamento del Pil nominale. Per di più, da chi ancora si definisce liberale mi aspetterei, tra gli obiettivi, quello di ridurre le tasse, più che aumentare la “spesa sociale” (altrimenti quale differenza ci sarebbe rispetto ai socialisti di varie denominazioni?). Se poi l’obiettivo è la riduzione del debito in valore assoluto, ciò sarebbe possibile (escludendo il default volontario) solo qualora lo Stato facesse importanti cessioni di attività oppure producesse bilanci in surplus.

Detto che non si vedono all’orizzonte cospicue vendite di asset pubblici, men che meno bilanci in surplus, per produrre questi ultimi senza strozzare definitivamente il settore privato si dovrebbe agire sulla riduzione della spesa in misura cospicua e strutturale, inclusa quella “sociale”.

In definitiva, non esiste liberazione dal debito senza che prima vi sia una liberazione dalla (tossico)dipendenza da spesa pubblica di cui è affetta larga parte dell’Italia (votante e votata).

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5 COMMENTS

  1. Ultimamente solo tattiche per convogliarlo sul parco buoi nostrano, più facilmente gestibile dei grandi investitori istituzionaii, tramite la gran trovata del btp valore (next in october, stay tuned).

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