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Kirghizstan, il mercato resiste e rinasce anche a decenni di comunismo

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di MATTEO CORSINI

Mentre ero in Kirghizstan sono successe diverse cose in Occidente, dalle elezioni francesi a quelle della nuova (vecchia) presidente della Commissine Ue, con tanto di sinistro verdismo di ritorno. Per non parlare dell’attentato a Donald Trump, fino al ritiro dalla corsa presidenziale di un Joe Biden che sempre più è apparso scarsamente lucido, e non credo si tratti degli effetti del Covid.

Nell’ex repubblica sovietica ho (ri)visto residui dell’epoca che fu, soprattutto in architettura e in alcune procedure elefantiache che ancora caratterizzano il settore pubblico. Sono però rimasto piacevolmente sorpreso dagli effetti di quello che è un buon esempio di come il mercato, se lasciato funzionare, può portare benefici ai consumatori.

In un contesto in cui un piccolo numero di operatori fornisce servizi ben specifici, l’operare della concorrenza e la mancanza sostanziale di intralcio statale ha generato sotto i miei occhi, nel volgere di poche settimane, non già la formazione di un cartello, bensì la ricerca continua di migliorie per superare l’a qualità dell’offerta dei concorrenti. Ogni miglioria implementata da un operatore è imitata a stretto giro dagli altri. Alla fine ognuno di essi mantiene piccoli vantaggi competitivi su alcune specificità, ma complessivamente la concorrenza porta a livellare verso l’alto il servizio, mantenendo i prezzi sostanzialmente invariati.

Di certo non è necessario, sul proprio terreno e sui propri immobili, iniziare estenuanti pratiche autorizzative per apportare modifiche anche minime. Si fa arrivare il materiale e si lavora. Punto. Il tutto in un contesto in cui pure, per decenni, il comunismo ha impedito od ostacolato ogni iniziativa privata. A me pare un bel segnale di ciò che può accadere se si lascia libertà di iniziativa ai privati.

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