di CLAUDIO PREVOSTI
Il quarto anniversario dell’indipendenza dalla Serbia è stato celebrato in Kosovo in un’atmosfera di festa, ma senza euforia e eccessivo entusiasmo. La lotta contro corruzione, criminalità e povertà non ha dato infatti finora i risultati sperati, mentre l’incapacità di Pristina a imporre la sua autorità anche sul nord a maggioranza di popolazione serba ha trovato conferma nel referendum dei giorni scorsi, nel quale quasi il 100% di coloro che hanno votato hanno detto no agli organi di potere albanesi. Il presidente, la signora Atifete Jahjaga, e il premier, Hashim Thaci, parlando a una cerimonia ufficiale nel centro di Pristina – addobbato con bandiere kosovare, albanesi e americane e di altri paesi amici – hanno sottolineato il grande potenziale di sviluppo del Kosovo, intenzionato a proseguire verso il progresso e la piena integrazione nelle strutture euroatlantiche. Un paese, hanno detto, orientato al dialogo e alla convivenza pacifica che intende rispettare le libertà civili e i diritti delle minoranze. L’indipendenza tuttavia non si tocca, ha affermato il presidente, secondo cui il Kosovo è ormai «una realtà internazionale irreversibile» e un «paese indivisibile».
Dalla proclamazione dell’indipendenza, il 17 febbraio 2008, il Kosovo è stato riconosciuto da 88 paesi (ultimo oggi l’Uganda), compresi gli Usa e 22 dei 27 membri della Ue, fra i quali l’Italia. Dei paesi dell’Unione non lo hanno riconosciuto Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro (paesi che hanno tutti in qualche modo problemi etnici e di separatismo). E fermi nel rifiutare l’indipendenza sono la Serbia e la Russia, suo principale alleato. Da quasi un anno Belgrado e Pristina, con la mediazione della Ue, sono impegnati in un negoziato che ha portato finora ad alcuni accordi di natura ‘tecnicà, ma che si blocca tutte le volte che al pettine vengono i nodi politici. Come quello delle modalità di partecipazione del Kosovo a riunioni internazionali, che ha impedito per quasi tre mesi la ripresa della trattaiva. Un nuovo round di colloqui è previsto per il 21 febbraio a Bruxelles. E le difficoltà nei rapporti tra Belgrado e Pristina, insieme al persistere di tensione e instabilità nel nord del Kosovo, condizionano in negativo il cammino della Serbia verso l’integrazione nella Ue.
A quattro anni dalla proclamazione di indipendenza, il Kosovo è ancora alle prese con una corruzione e una criminalità dilaganti, che raggiungono picchi tra i più alti dei Balcani, con un tasso di disoccupazione superiore al 40% e una povertà molto diffusa. Secondo dati della Banca mondiale, il 15% della popolazione (poco più di 2 milioni, 100 mila dei quali serbi) vive in condizioni di povertà estrema, con non più di un euro al giorno a disposizione. Il paese è peraltro ancora in una situazione di supervisione internazionale, con la presenza dalla fine della guerra con la Serbia nel 1999 di una missione dell’Onu (Unmik) e di un contingente di truppe della Nato (Kfor), ridottesi da circa 50 mila a poco più di 6 mila. Da tre anni è presente nel paese anche una missione europea civile di polizia, giudici e dogane (Eulex), forte di circa 3 mila uomini.
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————–EURO & DINTORNI——————————————————————————-
E SUL CASO GRECO UN NIGEL FARAGE NON ALLINEATO
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