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Ecco l’11° segnale della ripresa: più iva e meno consumi

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di LUIGI CORTINOVIS

Ci sono dei geni al governo. L’aumento dell’Iva inciderà sulla spesa degli italiani e sul Pil. Se il governo decidesse di innalzare le aliquote come da indicazioni europee perderemmo a regime 8,2 miliardi di consumi: si tratta di circa 305 euro di spesa in meno a famiglia. Sul prodotto interno lordo, invece, l’impatto negativo ammonterebbe a -5 miliardi di euro. E’ quanto emerge da una simulazione condotta da Ref Ricerche per conto di Confesercenti. La simulazione si muove dall’ipotesi di un aumento di 3 punti all’aliquota agevolata al 10%, che passerebbe quindi al 13%, e di 1 punto sull’aliquota super-agevolata, che salirebbe dal 4 all’5%, il valore minimo che la Commissione Europea raccomanda ai paesi dell’Unione. Gli effetti sulla crescita della nostra economia sarebbero significativi. In particolare, sulla base delle relazioni storiche si stima un effetto negativo in termini di Pil del -0,3% a regime. Il calo è legato in larga parte all’impatto della misura su inflazione e consumi.

L’effetto atteso sui prezzi, infatti, è di un aumento dello 0,7%. Una stangata che secondo le nostre analisi si trasformerebbe quasi completamente in contrazione di spesa, anche considerando che le due aliquote interessano molti servizi e generi di largo consumo, colpendo anche le fasce più deboli della popolazione. Tra i prodotti interessati dall’incremento di imposizione fiscale ci sarebbero, infatti, beni alimentari di prima necessità (come carne, pesce uova e latte) ma anche servizi di ristorazione e turistici e medicinali per uso umano e veterinario.

L’aumento dell’Iva penalizzerebbe i consumatori italiani anche nel confronto europeo. Dal punto di vista dell’imposizione sui consumi l’Italia si colloca tra le prime posizioni nel panorama internazionale, seconda solo alla Svezia, paese noto per l’elevata pressione fiscale come il resto dei paesi scandinavi. Sommando la tassazione dei consumi nelle forme vigenti oggi, si ottiene per l’Italia un valore dell’11.7 per cento del Pil, in salita dal 10,3 registrato nel 2008. E che si confronta con l’11 per cento della Francia, fino al ben più modesto 9,5 per cento osservato in Spagna. “L’aumento dell’Iva danneggerà i consumi e la crescita, per questo riteniamo che sia da evitare assolutamente”, commenta Massimo Vivoli, Presidente di Confesercenti. “La pressione fiscale sui consumi in Italia è già molto alta, e la ripresa iniziata nel 2015 si è già indebolita lo scorso anno. Alzare ancora il livello di imposizione porterà inevitabilmente ad un’accelerazione dell’inflazione, con conseguente perdita del potere d’acquisto delle famiglie e un’ulteriore riduzione dei consumi.

L’effetto negativo sulla crescita potrebbe portare anche ad un gettito fiscale aggiuntivo minore delle attese, oltre alla chiusura di un numero oscillante tra le 5 e le 10mila imprese del commercio e del turismo. L’ipotesi è di utilizzare queste risorse per soddisfare la richiesta di correzione dei conti da parte della Ue e per tagliare una parte di cuneo fiscale, con particolare riguardo per i giovani. Certo non possiamo criticare misure per l’occupazione giovanile, senz’altro necessarie per il nostro Paese. Ma dopo un decennio di aumenti delle tasse sarebbe più serio, opportuno ed efficace reperire le risorse che servono dalla lotta all’evasione e dalla revisione della spesa pubblica. Anche se la spending review, parola d’ordine di tutte le forze politiche appena un paio d’anni fa, ultimamente sembra essere scomparsa dall’agenda. Mentre andrebbe ripresa, verificando cosa sia stato effettivamente tagliato fino ad ora, al netto del risparmio sulla previdenza”.

Ma per i grandi economisti mainstream, se aumentano i prezzi vuol dire che aumenta l’inflazione e allora vuol dire che tuttovabene.

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