Nei mercati finanziari l’evento più sintomatico di questo mese è stato la diminuzione dei prezzi e il conseguente rialzo dei rendimenti dei titoli del debito pubblico nell’eurozona nonostante gli acquisti della BCE a mezzo del suo aggressivo quantitative easing. Sintomatico sopratutto quello relativo ai bund decennali tedeschi, uno degli investimenti più conservativi nel mondo che ha trascinato al rialzo anche i rendimenti dei bond statunitensi, il settore di mercato più liquido in assoluto. I prezzi calano e i rendimenti aumentano perché gli investitori vendono. E perché vendono anche i titoli ritenuti i più sicuri? Ci sono diverse spiegazioni. Sono aumentate le aspettative di inflazione che gli investitori cercano di prevenire richiedendo rendimenti più alti; ci si sta accorgendo che il mercato dei bond è la più grande bolla mai creata e gli investitori cominciano a riposizionarsi; la crisi della Grecia fa temere il contagio in tutti i mercati; un’improvvisa crisi di liquidità. Quest’ultima è la causa immediata di questi primi «sciami sismici».
Incredibile a dirsi: com’è possibile che in un mercato inondato di liquidità dalla banca centrale europea si manifesti una crisi di liquidità? Il paradosso è che una macro liquidità nell’economia può essere compatibile con un’illiquidità dei mercati. Un mercato si dice liquido quando i venditori non hanno difficoltà a trovare compratori al prezzo richiesto. Più un mercato è vasto e il volume trattato è ampio, più è liquido, tutti riescono a vendere e nessuno resta con il cerino in mano. Il mercato dei bond è, per natura, meno liquido di quanto si creda perché, a differenza dei titoli azionari, non sono trattati in borsa ma o all’asta o come si dice in gergo over the counter, al di fuori delle borse, dai grandi dealer e dalle banche nel mercato secondario. Inoltre i grandi possessori di titoli, come gli investitori istituzionali, o li tengono in portafoglio fino alla scadenza, oppure, quando decidono di venderli se ne disfano in massa. Ciò fa sì che non sempre c’è corrispondenza tra venditori e acquirenti. Tuttavia il sistema bancario, tradizionalmente grande acquirente di titoli obbligazionari, ha svolto nel passato un ruolo intermediatore simile a quello della borsa, stabilizzando il mercato. Se la domanda di titoli era alta, interveniva vendendoli. Se era bassa li acquistava direttamente. In altre parole attraverso la gestione di un ampio stock di titoli, il sistema bancario assorbiva gli squilibri temporanei tra domanda e offerta mantenendo il mercato sempre liquido ed evitando il fenomeno della volatilità. La volatilità, cioè il grado di fluttuazione del prezzo, è per gli investitori un indicatore di rischio specialmente in un contesto di futuro incerto ed è correlata alla liquidità. La diminuzione della liquidità provoca immediatamente una fluttuazione dei prezzi che può sfociare nella loro vendita in massa creando appunto una crisi acuta.
Dopo quella del 2008, alle banche è stata imposta una serie di misure bilancistiche, formalizzate poi dal comitato di Basilea (II e III) con l’obiettivo di migliorare la loro capacità di assorbire gli shock finanziari. Fra queste misure rientra l’obbligo di aumentare il capitale ma allo stesso tempo di ridurre lo stock di titoli, cioè proprio quella scorta dinamica che permetteva loro di far fronte a eccedenze e scarsità temporanee di titoli, attenuare le fluttuazioni dei prezzi e rendere il mercato perfettamente liquido.
Ora l’illiquidità e la conseguente volatilità sono aumentate da quando la BCE a partire da mese di marzo ha mandato ad effetto il quantitative easing. Acquista 60 miliardi di bond al mese per iniettare liquidità nel mercato, ma, al tempo stesso gli sottrae grandi volumi di titoli e riducendone lo stock, lo rende sempre meno liquido: se i titoli scarseggiano diventa difficile per venditori e compratori trovare le rispettive controparti disposte a comprare o vendere velocemente e senza perdite. Prima, la vendita di 100 milioni di bond in euro era un’operazione di secondi, ora richiede qualche minuto e chi ha fretta di vendere deve ridurre i prezzi. E’ un meccanismo che si può autoalimentare: quando gli investitori percepiscono un rischio imminente cercano di riposizionarsi vendendo i titoli e spostando i capitali altrove. E’ questa situazione di illiquidità che ha determinato la discesa dei prezzi e il rialzo dei rendimenti anche dei titoli più sicuri. L’importanza del volume degli scambi e della conseguente liquidità è messa in luce dal fatto che, sebbene le prospettive economiche della Spagna siano considerate migliori di quelle dell’Italia, gli investitori preferiscono comprare il debito italiano perché il volume trattato è doppio di quello spagnolo. L’insufficiente liquidità comporta, dunque, anche distorsioni nei rendimenti.
Questi primi sciami sismici, da non sottovalutare e di cui la BCE è l’epicentro, dimostrano la contraddizione della sua politica monetaria: cercando di rendere il mercato liquido lo sta rendendo illiquido. Ma sopratutto provano che questa banca centrale (come tutte le altre) ha raggiunto il limite della sua capacità di inflazionare il mercato del debito e di controllare il mercato finanziario. Del resto, anche il suo presidente, Mario Draghi, nei giorni scorsi non ha potuto fare a meno di ammettere il fenomeno scismatico dichiarando che i mercati dovranno abituarsi a maggior volatilità. Ma volatilità significa, incertezza, rischio, instabilità e in ultima analisi, come abbiamo visto, illiquidità che, a un certo momento potrebbe portare al panico facendo crollare il corso dei titoli. Non dovrebbe essere compito di una banca centrale stabilizzare i mercati e impedire l’illiquidità e la volatilità? Se a questa situazione sommiamo il deteriorarsi della crisi generale, le aspettative di inflazione, l’irrimediabilità della crisi greca, e cosa più importante, quella di tutti i debiti sovrani, dobbiamo solo aspettarci un rialzo deciso dei tassi di interesse e il crollo delle quotazioni dei titoli di debito in tutti i mercati. Insomma la trasformazione degli sciami sismici in catastrofe tettonica. I governi indebitati per trilioni in euro, dollari e yen, praticamente a costo zero, dovendo rifinanziarsi a tassi normali vedrebbero schizzare i propri deficit alle stelle. A quel punto le banche centrali non potrebbero più nulla e cadrebbe il mito della loro onnipotenza.
E se anche la Fed ricomincia con un nuovo QE?
E in Giappone , dove la banca centrale acquista di tutto?
Ma le altre banche centrali nel mondo hanno tendenza ad un comportamento simile, e lo attuano?
Sono tutti sulla stessa barca e nessuno si accorge che fa acqua?
Coco mi ricorda lo stile di Zappulli.