di MATTEO CORSINI
Non avendo ancora finito di elaborare il lutto per la sconfitta elettorale del partito democratico alle elezioni presidenziali statunitensi, i progressisti del mondo intero sono ora alle prese con i nuovi pericoli, rappresentati dai capi dei social network, Elon Musk in primis, seguito più di recente da Mark Zuckerberg, che sono passati disinvoltamente dall’appoggiare i democratici a sostenere Trump.
Prima erano illuminati e portatori di virtù quando, si pensi a Meta soprattutto, era un fiorire di iniziative che tanto piacevano alla sinistra woke. Adesso, invece, l’abbandono negli Stati Uniti del fact checking (leggi: valutazione di conformismo ai dettami della sinistra woke, pena classificazione del contenuto alle voci “disinformazione” o “hate speech”, con tanto di censura per i post e oscuramento dei profili dei rei) e anche lo smantellamento del team DEI hanno messo in allarme i sinistrorsi da entrambe le sponde all’Atlantico.
Prima erano miliardari per bene, adesso sono uomini che con il loro denaro e potere inquinano l’informazione e contribuiscono a indebolire la democrazia. Se ne occupa anche Sergio Fabbrini che, nel suo consueto sermone domenicale sul Sole 24 Ore, scrive:
- “Da sempre, l’economia ha cercato di condizionare la politica, talora controllando agenzie importanti di quest’ultima e talaltra influenzando il suo processo elettorale. Da sempre, la politica ha risposto a quei condizionamenti, introducendo regole (antitrust, ad esempio) o intervenendo negli assetti proprietari dell’economia (nazionalizzandola, ad esempio). Economia e politica hanno agito come due attori distinti che, pur combattendosi, hanno finito per dare vita al capitalismo democratico che abbiamo conosciuto fino a ieri. Il trumpismo cambia la natura di quel capitalismo, dando vita ad una configurazione di potere in cui la politica e l’economia si confondono all’interno di piattaforme globali di informazione e comunicazione. Il potere di Elon Musk non risiede nelle tecnologie industriali che lo hanno reso ricco, ma in quelle che alimentano la sua rete informativa (il social X, peraltro in perdita) o la sua infrastruttura comunicativa (Starlink)”.
Pare quindi di capire che, fino a ieri, la politica abbia resistito alle pressioni delle grandi imprese. Il che è assai poco realistico, dato che il crony capitalism non è nato lo scorso novembre e di certo non è una prerogativa delle amministrazioni non di sinistra. Né chi si straccia le vesti oggi per quello che dice e fa Elon Musk aveva lo stesso atteggiamento quando questo signore sosteneva Obama. Eppure i vantaggi della regolamentazione che accelera l’elettrificazione del settore auto e l’obbligo, di fatto, per le case che producono modelli con motore endotermico di comprare a suon di miliardi certificati di emissione dalla Tesla di Musk, per non parlare dei contratti con altre sue aziende nel settore aerospaziale, non sono opera di Trump. Però a quei tempi non c’era problema per la democrazia, pare di capire.
Adesso il consenso “è creato dalle tecnologie, non dalle elezioni, secondo la logica di un “capitalismo post-democratico. Una logica che sfugge alla nostra premier, visto che non riesce a distinguere tra chi (come Elon Musk) crea un’opinione pubblica globale e chi (come George Soros) contribuisce alle campagne elettorali o all’iniziative culturali di candidati e associazioni”.
Ovviamente qui in Italia a fare schiumare ancora di più i sinistrorsi è la circostanza che Giorgia Meloni (di cui, da libertario, non sono un fan, ma per lo meno non è sinistrorsa) abbia rapporti, tanto con Musk quanto con Trump, che per ora non hanno altri capi di Stato o di governo in Europa. E quando Meloni, a cui viene rinfacciato il fatto di parlare con questi pericoli per la democrazia, ha notato che Musk non era un mostro quando appoggiava i democratici e che Soros da decenni ha influenza a sinistra, ecco la curiosa reazione: per dirla con Fabbrini, Soros “contribuisce alle campagne elettorali o all’iniziative culturali di candidati e associazioni”. Certo che lo fa, e suppongo che dobbiamo anche credere che lo faccia con puro spirito filantropico, senza mai mettere becco sui programmi delle iniziative che finanzia.
E’ grottesco come in queste settimane si sentano lamenti da parte di persone che (qui non mi riferisco a Fabbrini) frequentano il World Economic Forum o il gruppo Bilderberg indignarsi per quello che fa Musk, come se in quei consessi non si elaborassero strategie poi destinate, nelle intenzioni e nei fatti, a condizionare le decisioni politiche nel mondo intero. Solo che quelle sono tendenzialmente sinistrorse, quindi vanno bene, evidentemente.
A me pare che ci sia una quantità non modica di ipocrisia. In ogni caso mi sentirei di rassicurare i progressisti di ogni dove: molte di quelle aziende che adesso stanno rinnegando ESG, DEI e wokismo vario, cambieranno nuovamente idea quando alla Casa Bianca tornerà un presidente del partito democratico. Qualcosa mi dice che quando questo succederà, torneranno a essere considerati imprenditori illuminati.
Ciao matteo scrivi bene allora a quel mongoloide di fabbrini oerche non gli replichi su il sole 24 ore? Mr. soros ha finanziato con 900 milioni di dollari open arms… saluti