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La dittatura comunista cinese arresta imprenditore pro-democrazia

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di ANTONIO FATIGUSO

In una Hong Kong sempre più sotto il tallone di Pechino finisce in manette anche il magnate dei media Jimmy Lai: comparso in tribunale per le accuse di frode – ultimo dei procedimenti penali contro gli attivisti critici verso il governo locale e quello centrale cinese – è stato arrestato in aula. A Lai, 73 anni, fondatore e proprietario del tabloid Apple Daily, schierato a favore delle riforme democratiche, è stata negata la libertà su cauzione per un presunto “pericolo di fuga”. Il processo partirà ad aprile con un giudice nominato secondo la nuova e contestata legge sulla sicurezza nazionale imposta sulla città dalla Cina.

La vicenda è maturata all’indomani della condanna a 13 mesi e mezzo a carico di Joshua Wong, tra i più noti attivisti pro democrazia, mentre per Agnes Chow e Ivan Lam, riconosciuti colpevoli con Wong di “incitamento, organizzazione e partecipazione a una manifestazione illegale” di giugno 2019, la pena detentiva è stata rispettivamente di 10 e 7 mesi. Le accuse di frode contro Lai sono relative all’affitto dell’edificio che ospita l’Apple Daily, parte di una strategia che ha visto le autorità di Hong Kong intensificare il giro di vite su figure chiave dell’opposizione dopo l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale, in vigore dal 30 giugno. Lai e due alti dirigenti della sua azienda Next Digital sono stati formalmente incriminati per aver nascosto e rappresentato in modo falso l’uso degli uffici al proprietario dell’immobile, una società pubblica del governo di Hong Kong.

In altri termini, sull’utilizzo degli spazi sono state violate le clausole del contratto di locazione tra il 2016 e il 2020, con un subaffitto improprio di parte dei locali che avrebbe generato vantaggi illeciti ad Apple Daily. Ad agosto Lai fu arrestato dopo che circa 200 agenti di polizia perquisirono i suoi uffici, riuscendo poi a ottenere la libertà su cauzione. La legge sulla sicurezza nazionale punisce tutto ciò che la Cina considera sovversione, secessione, terrorismo o collusione con forze straniere fino all’ergastolo. Lai si è recato spesso a Washington, dove ha incontrato funzionari di alto livello e il segretario di Stato Mike Pompeo per sollecitare il sostegno alla causa democratica di Hong Kong, spingendo Pechino a etichettarlo come “traditore”.

Il clima del tutto cambiato a Hong Kong, con l’ampia autonomia nei confronti di Pechino che sta evaporando moto velocemente, sta spingendo gli esponenti pro-democrazia a lasciare i territori per evitare pesanti ritorsioni. L’ultimo caso è quello di Ted Hui, ex deputato del Partito democratico su cui pendono nove capi d’accusa, che ha annunciato la scelta dell’esilio con tutta la famiglia. “Non ci sono parole per descrivere il mio dolore ed è difficile trattenere le lacrime”, ha scritto sui social media Hui, ora in Danimarca e prossimo a spostarsi a Londra.

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