La Grecia sostanzialmente è fallita e, insieme ai creditori, avrebbe dovuto prenderne atto da tempo e trarre le conseguenze. Purtroppo non è solo una questione economico finanziaria. Qui abbiamo a che fare con politici e burocrati non eletti che vogliono tenere in vita a tutti i costi un sistema che non funziona e non funzionerà mai. Non si illudano i riformatori: l’Europa è irriformabile come lo sono tutti i sistemi dirigisti e centralizzati. Ludwig von Mises ha scritto: «Non c’è minaccia più pericolosa per la civiltà di un governo di uomini, incompetenti, corrotti e ignobili» (Governo onnipotente). Il potere europeo si è ormai concentrato nelle loro mani e, gradualmente, hanno eliminato la democrazia sostituendoli con la bancocrazia. Non resta che dire: speriamo per il meglio preparandoci per il peggio.
La Grecia si è lasciata sfuggire una grande occasione: affrontare onestamente il default, separarsi dall’euro, abbandonare le politiche dirigiste e diventare, in Europa, un bastione del libero mercato in concorrenza fiscale con le satrapie europee. Sarebbe stata la ricetta per restaurare in un batter d’occhio la capacità di crescita attirando capitali da tutto il mondo. Nessuno, poi, avrebbe potuto impedirle di restare ancorata all’euro come Danimarca e Principato di Monaco o fare come il Liechtenstein che usa il franco svizzero. Le angosce del welfare state e delle pensioni sarebbero cessate. Ma quest’idea non ha neppure sfiorato la mente dei politici greci inebetiti da anni dalle politiche stataliste e monetariste ed è per questo che vivranno fino in fondo la loro tragedia che però non ha per protagonisti le personalità forti e nobili di Eschilo o Sofocle, ma solo delle marionette. Evidentemente i greci non hanno ancora capito che, come disse Margaret Thatcher, il socialismo finisce quando finiscono i soldi degli altri. I greci, come gli altri popoli europei hanno urgente bisogno di libertà economica, non di governo e posti di lavoro garantiti dal governo. Aumentare le tasse e perseguire l’evasione potrà servire ad aumentare il prelievo fiscale, ma rafforzerà sempre di più la burocrazia e la sua inefficienza approfondendo la depressione.
Tra i pilastri della libertà economica ci sono la riduzione delle spese dello stato, la riduzione delle tasse, e l’istituzione di moneta forte. Queste sono le riforme per creare capitale, impiegarlo nelle produzioni e aumentare il potere d’acquisto delle persone. Ma nulla di tutto ciò è stato contemplato. L’enfasi sempre, comunque e dovunque è su come spremere i contribuenti in modo tale che il governi possano ripagare il debito esterno. Nessuno riuscirà a farlo perché il sistema economico ha cessato di essere un sistema di produzione per diventare un sistema di consumo di risorse. Forse, solo oggi i paesi europei cominciano a rendersi conto di essere stati spoliati dal credo dirigista che non permette a nessun paese il default sul proprio debito. E così sta arrivando la bancarotta collettiva.
L’illusione è stata che i paesi potessero indebitarsi, che i debiti avessero lo stesso valore e che, con l’aiuto della banca centrale, potessero garantirsi il debito a vicenda. Questa metodologia ha istituzionalizzato il loro azzardo morale, incentivato i deficit e fatto accumulare debiti che non saranno mai pagati. Essa spiega il fallimento del Patto di Stabilità a cui nessuno si sente più legato. Non solo: questa metodologia è stata destabilizzante anche all’esterno in quanto ha esternalizzato i costi della monetizzazione del debito sugli altri paesi (vedi sganciamento del franco svizzero dall’euro).
La grande fallacia che porta al fallimento qualsiasi paese è sempre la stessa: credere che l’economia, che è un ecosistema, possa essere regolata come un termostato da un gruppo di funzionari al potere e che la loro azione possa migliorare la vita economica delle persone prendendo decisioni al loro posto. Sono solo gli individui e le imprese a decidere cosa è economicamente razionale perché sono loro che producono. I governi sono degli esattori e, in quanto tali, non possono, in nessun caso, migliorare la vita di nessuno. Potrebbero migliorarla solo astenendosi dal trasformare l’esazione in rapina. Il fatto è che poiché i governi europei hanno creato sempre più debito, da parassiti si sono trasformati in predatori il cui unico scopo ora è di ficcare le mani in ogni fenditura della società per ghermire il reddito dei cittadini come fosse la loro preda. Così questi cittadini si trovano ora condannati a stipendiare vari livelli amministrativi di burocrati e funzionari rapaci, eletti e non eletti, affinché si inventino nuove forme e pretesti di tassazione per sottometterli a una confisca sistematica come accadeva nelle antiche satrapie asiatiche. Avere ricchezze conseguite legittimamente o essere sospettato di possederle comporta il rischio di subire ogni sorta di vessazioni e di vedersele requisite. Il motto che si adatta all’Europa è «sorvegliare e punire» come dal titolo di un famoso saggio sulla prigionia di Michel Focault.
Non si è fatto altro che parlare di riforme strutturali. L’unica vera efficace riforma strutturale è ridurre il ruolo dei governi nell’economia e invertire la rotta delle loro politiche distruttive per impedire di nuocere oltre. E’ diventata ormai una questione di igiene economica. Fin dal Trattato di Roma, l’Europa si pose l’obiettivo del governo unico europeo in grado di impedire le guerre che nel passato l’avevano devastata. Ma i fondatori di questa ardita idea trascurarono il fatto che non ci sono sole le guerre esterne, tra paesi, ma anche quelle all’interno dei paesi. Si chiamano rivoluzioni.