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La manovra del popolo (bue): la scommessa sull’inflazione

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di MATTEO CORSINI

Dopo l’annuncio di un obiettivo di deficit per il prossimo triennio pari al 2.4% del Pil, la parola d’ordine nel governo è minimizzare la reazione negativa degli investitori. I quali “capiranno” (Conte), oppure “se ne faranno una ragione” (Salvini), oppure sono sviati dal “terrorismo mediatico” (secondo Giggino da Pomigliano).

Ognuno, poi, dà i numeri in termini di crescita attesa del Pil, che secondo Paolo Savona potrebbe arrivare al 3% fra un paio d’anni. Roba da moltiplicatori marziani, più che keynesiani. O da cialtroni, se preferite. Attenzione: proprio attese ottimistiche di crescita del Pil farebbero fermare il rapporto deficit/Pil al 2.4%; qualora le cose non andassero per il verso giusto, il rapporto salirebbe inevitabilmente, nonostante (lo sputtanato) Giovanni Tria abbia dichiarato che ci sarà una clausola di salvaguardia consistente in tagli di spesa automatici in caso di crescita inferiore alle attese. Clausola credibile come tutto il resto, ossia tra il poco e il nulla.

Secondo Alberto Bagnai, addirittura, ci sarebbero fior di operatori finanziari contenti della manovra (evidentemente in questi giorni erano tutti in ferie e anche nei mesi scorsi non hanno lavorato tanto. Oppure Bagnai non si è reso conto che i suoi interlocutori vanno short sui BTP). Ma lui ribatte: “Mi riferisco agli operatori che ho visto io. Poi è evidente che c’è stata una strategia mediatica ad ampio spettro che ha determinato aspettative infondate. Nei prossimi giorni si potrà ragionare su tutto il programma e sulla composizione della manovra e il giudizio potrà cambiare. Comunque lo spread di ieri è ai livelli di inizio settembre, e sotto quelli di fine maggio, nella complicata fase di formazione del governo”.

Bagnai omette di dire che il motivo dei rialzi dello spread era sempre lo stesso anche nei mesi scorsi. E dubito che nel mondo importi molto della ipotizzata strategia mediatica dei giornali italiani.

Ecco, quindi la previsione di diminuzione del rapporto tra debito e Pil: “No, il peso del debito scenderà perché la manovra lavora sulla crescita, portandola oltre al tendenziale che nelle previsioni è intorno al 2,5%. La legge di bilancio sarà tesa anche a rianimare la domanda interna, che è un fattore di protezione in caso di shock finanziari che colpiscano l’export. E non va dimenticato che da anni ci è stata “promessa” un’inflazione al 2% che però non è mai arrivata. E sappiamo tutti che un’inflazione, anche se moderata, aiuta a rendere più sostenibile la discesa del debito”. Vogliamo negarlo un aiutino da parte dell’inflazione?

Poi il classico accenno all’austerità: Dopo Lehman e la crisi del debito la risposta dell’austerità non è stata efficacissima, e ha fatto aumentare il debito di più di 30 punti. Dal 96 al 2007 invece, con un deficit medio al 3,2%, il debito è sceso dal 118% al 99,7% del Pil. Questi numeri mettono in discussione, diciamo così, la scienza economica penitenziale. Nel quadro attuale, un deficit sotto al 3% fa scendere il debito”.

Posto che l’austerità è stata più un argomento di discussione che altro, nel confronto con il periodo tra il 1996 e il 2007 Bagnai omette di fare accenno al deflatore (ossia in sostanza l’incidenza dell’andamento dei prezzi al consumo), che era mediamente circa un punto in più del periodo successivo. Questo rende ancora più chiara la speranza di un aumento dell’inflazione dei prezzi al consumo.

A oggi con un deficit poco sopra al 2% (non sotto al 3%) il debito al più si stabilizza, sempre che non si ipotizzino crescita del denominatore abbastanza irrealistiche, come peraltro sembra orientato a fare il governo. Bonta suà, Bagnai ammette che la spesa per interessi in crescita può essere un problema: “Con tassi di interesse superiori a quelli di crescita la riduzione del debito richiede forti avanzi primari. Ma confidiamo che non succederà”.

Considerando che la spesa per interessi si dirigerà verso il 3.8-3.9% del Pil (se la situazione non peggiorerà), torniamo alla necessità di avere più inflazione al consumo o moltiplicatori marziani per fare diminuire il rapporto tra debito e Pil. Una cosa non desiderabile e una non credibile.

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