“Non voglio neanche sentire parlare di manovra correttiva. Come ha dimostrato il dibattito dell’autunno scorso sulla validazione delle prospettive di crescita con l’Ufficio di Bilancio, c’è un rapporto matematico tra il livello dell’indebitamento, il deficit, e la crescita dell’economia”. Come era prevedibile, la Commissione europea ha chiesto al governo italiano di correggere la manovra di bilancio approvata il mese scorso per un importo pari allo 0,2 per cento del Pil, ossia circa 3,4 miliardi. Il governo, per bocca del sottosegretario all’Economia, Enrico Morando, cerca di fare la voce grossa per respingere al mittente la richiesta.
Morando usa un’argomentazione tipicamente keynesiana per giustificare la resistenza del governo a ridurre il deficit di bilancio: fare meno deficit equivarrebbe a ridurre la crescita economica. Il “rapporto matematico” a cui fa riferimento, però, presenta un problema: se le cose davvero funzionassero così, l’Italia avrebbe molto più Pil e molto meno debito. L’esatto contrario di quanto suggerisce l’esperienza storica.
Se c’è un problema connesso al modo in cui in Italia i governi hanno cercato di ridurre il deficit, soprattutto quando costretti dall’andamento dei tassi sul debito più che dai richiami della Commissione, è che lo hanno fatto rincorrendo la spesa pubblica con l’incremento della tassazione, togliendo sempre più risorse a chi le produce per darle a chi le consuma.
Invece di invocare improbabili vie di crescita a mezzo deficit, sarebbe ora di ridurre davvero la spesa e, con essa, la tassazione.
Oggi mi accorgo di quanto sprecato sia il morando nell’occupare la posizione di sottosegretario all’economia.
Se padoan mi dà la chiara impressione di essere adatto a vendere uova nei mercati rionali molisani, il morando lo vedo a suo agio con un banchetto di granaglie sfuse nei medesimi mercatini.
Uno a fianco all’altro.
Non si può essere seri nel leggere affermazioni del genere.
Come disse qualcuno “se le teorie keynesiane funzionassero l’Italia sarebbe il paese più ricco del mondo”.
Questo per dire che sarà dagli anni settanta che con la loro applicazione si è visto progressivamente: fine del boom economico, esplosione del debito pubblico, aumento della tassazione ai livelli più alti del pianeta, scomparsa della classe media, crollo dei consumi, fuga di imprese e giovani all’estero, diminuzione del Pil ed aumento spesa pubblica.
A questo punto una persona con un minimo di senno direbbe “stop, azzeriamo tutto e torniamo alla ricchezza prodotta con il lavoro e non con la magia dei numeri….”