di PAOLO L. BERNARDINI
Generalmente, il nazionalismo è foriero di sventure. Vi sono tuttavia alcuni elementi su cui riflettere, e il mio lungo viaggio in Finlandia, che volge ora al termine, mi ha consentito almeno in parte di farlo.
La costruzione della Finlandia indipendente deve molto al nazionalismo ottocentesco, che poi fu fomite, nel secolo successivo, di infinite disgrazie. Ma non in Finlandia, ove il nazionalismo è legato ad una doverosa protezione di un’identità, una lingua, e soprattutto un paesaggio peculiari, in un processo infinitamente lungo di acquisizione dell’indipendenza: sei secoli sotto la Svezia, fino al 1809; un secolo e passa sotto la Russia, fino al 1917. E poi, a coronamento, una guerra civile tra rossi e bianchi conclusa con la creazione dello stato finlandese attuale, passando perfino attraverso uno “stato fantoccio” ma importante nella lotta contro il bolscevismo, quel “Regno di Finlandia” durato un anno appena e mai davvero realizzato, tra 1917 e 1918, per volontà dell’Impero absburgico esso stesso morente.
Rimane la copia di una corona reale, a ricordarlo, senza che l’originale, paradossalmente, sia mai stato realizzato. Presso il bellissimo Ateneum, uno dei musei di Helsinki, quello davanti all’affollata e severissima stazione dei treni, in pieno centro, è ora visitabile, fino a fine agosto, una vastissima monografia dedicata a Järnefeld (VEDI QUI). Chi era costui?
Non notissimo all’estero, se non agli storici dell’arte, fu pittore di paesaggi quasi contemporaneo perfetto di D’Annunzio, nato nel 1863 e morto nel 1937, dopo lunga ed operosissima vita, trascorsa anche in Italia, ad imparare il mestiere. Järnefeld è il grande visionario del paesaggio finnico, nella costruzione identitaria della nazione che ha luogo nell’Ottocento, con la riscoperta del Kalevala, e sua sistematizzazione – l’epica finnica per eccellenza, di tradizione orale – e con storici e letterati intenti a distillare la lingua finlandese, sulla scorta del protestante Agricola che a metà Cinquecento aveva tradotto in tale difficilissima favella il Nuovo Testamento.
In qualche modo, tra ritratti di personalità della élite del granducato al tramonto, e ossessiva descrizione delle bellezze naturali, che ebbero nel musicista Sibelius il retorico cantore, il pittore pone, insieme a molti altri, naturalmente, le premesse di quel distacco – che pur sarà doloroso – dalla madre Russia che ha luogo alla fine della Prima guerra mondiale. Esiste un “nazionalismo” paesaggistico che segnala un’identità, bella o meno che sia, legata alla natura, e segnala anche un principio almeno in parte buono, quello di essere governati da sé e non da stranieri, ma, detto altrimenti, di essere padroni in casa propria, una volta che si sia stabilito un vincolo di proprietà convincente per sé e all’esterno.
Se il tratto identitario non diventa tratto esclusivo, e violento, e se il nazionalismo nasce come premessa per garantire l’universalismo liberale, allora può essere positivo. La Finlandia lo dimostra. Un paese innanzi tutto piccolo per popolazione, la metà o poco più della Lombardia, poco più del Veneto, poco meno della Campania, il 10% in più della Sicilia, ma vastissimo per territorio. Un territorio non violentato ma curato, con attenzione secolare nei confronti della possibile de-forestazione, e con un amore verso la natura, intesa come appartenenza ad un ordine forse divino, che il pittore di Viborg ben rappresenta, insieme a numerosi altri. La sua pittura non è solo idilliaca, romantica, oleografica: talora è anche atto d’accusa, come quando ritrae la sconsiderata pratica del debbio, nota ora come taglia-brucia, largamente praticata anche in Finlandia, con danni ambientali notevoli oltre che con risultati alla lunga modesti passato il momento di iniziale alta fertilità della terra.
L’identità naturale di una regione soggetta a domini stranieri vale tanto quanto la propria lingua, ma forse di più: in qualche modo, il paesaggio veneto è intrasportabile, la lingua, invece, sì (vedi il caso dei milioni che parlano Taliàn, ovvero veneto, in Brasile). Ma se rimaniamo in una dimensione aperta ed aerea, non quella funebre e violenta del “Blut und Boden” nazista, ovviamente: anche perché il “sangue” si mescola, la “terra” in qualche modo cambia, ma non così tanto, alla fine è sempre la stessa, per quanti cambiamenti il paesaggio possa subire.
La Finlandia uscì massacrata ma viva dal confronto con gli abomini totalitari, rossi e bruni, della Seconda guerra mondiale. Anche nel territorio. La bella città portuale di Viborg, dove proprio Järnefeld nacque, è passata col Trattato di Parigi nel 1947 definitivamente alla Russia, e ora la Carelia russa è una delle repubbliche della federazione, legata a grandissima fedeltà a Mosca.
Vi è ancora un tenue irredentismo, in Finlandia, e si vorrebbe che la Carelia russa tornasse finlandese – magari lo vorrebbero anche i suoi abitanti, in parte – ma per ora è ipotesi remota. Ovviamente. Il nazionalismo può, se tenuto a bada e contenuto nell’alveo di un suo esito nel liberalismo come indirizzo generale di un paese, non essere un male, nella misura in cui, soprattutto, è fondamentale nel processo di creazione stesso del nuovo stato, come fu la Finlandia nel 1917, anche se già nella forma di granducato dal 1809 aveva goduto di larga autonomia, poi progressivamente erosa da un impero sempre più centralistico perché sempre più in crisi, come quello russo.
La Finlandia ad esempio non aveva da secoli servitù della gleba, la riforme imperiali circa la sua abolizione non la toccarono. Era già più avanzata di gran parte dei territori russi nell’Ottocento. Oltre ad essere distinta da essi per religione, tradizioni, lingua, e in gran parte paesaggio. Se dico tutto questo non è per amore della Finlandia – che pure mi ha accolto molto bene – ma per amore del Veneto, e di tutte le regioni italiane ove sia presente, come un fuoco che comunque per sempre coverà sotto la cenere, il germe dell’indipendentismo. Un Veneto indipendente sarebbe una Finlandia adriatica, con molto territorio in meno, ma almeno con una varietà di territorio molto maggiore. In ogni caso, bello perdersi nei quadri di Järnefeld. Aveva creduto da sempre in qualcosa che poi si è realizzato, e come pegno qualcosa ha dovuto pur pagare: la sua città natale è stata persa dalla Finlandia. E risulta, ora, difficile andarci anche solo come turista.
*Le foto sono di Federica Beretta, Università dell’Insubria.