di VINCENZO ANDRAOUS
Nelle classi scolastiche i più giovani non sanno nulla o quasi dell’istituzione carcere, della pena, della privazione della libertà, se non quanto gli viene propinato dai film, dai fumetti, dalle cronache spesso riduttive.
Le persone mature, agenti sociali responsabili, forse ne sanno qualcosa di più, dico forse perché oppressi dall’insicurezza: da una parte la precarietà lavorativa e ideale, dall’altra la scarsezza di fondi, di interventi, che spostano l’attenzione dove non c’è luce per meglio vedere.
Eppure in questo paese dei balzelli dialettici, della semiologia a effetto, degli ermetismi che privilegiano i suoni alle verità, sarà meglio riflettere sul dentro e sul fuori che avvolge il pianeta sconosciuto, su quel “dentro” privo di utilità, di uno scopo condivisibile, che non consente di rimanere avvinti alla speranza di un “fuori” accettabile di intenti e di fatiche partecipate.
Il carcere non è un castello di parole,