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La pedagogia della storia nell’epoca della massima precauzione

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di ANDREA MACCIÒ

Nel 1986 il sociologo Ulrich Beck diede alle stampe un testo profetico divenuto oggi un classico: la società del rischio. “Ci troviamo nel mezzo di uno sviluppo sociale in cui l’attesa dell’inaspettato, l’attesa dei rischi possibili domina sempre di più la nostra vita” (Beck, 1986, ed.it. 2013).

L’analisi di Beck concludeva che la società del rischio ha bisogno di elaborare una cultura dell’incertezza che permetta di dominare il rischio potenziale e costruire una nuova modernità nella quale le libertà fossero salvaguardate. A trent’anni dalla pubblicazione di Beck, ci troviamo davanti all’esatto opposto. Una società assolutamente incapace di gestire il rischio, anzi una società ben definita da un’espressione frequentemente usata dal ministro della salute Speranza: Massima Precauzione. Siamo nella società della Massima Precauzione, quella nella quale per non rischiare nulla si paralizza l’attività sociale in modo preventivo.

Una razionalità di governo (Foucault. 2001) testata con le allerte meteo e l’allarme terrorismo e che ha trovato compimento nell’attuale società covid-centrica (Macciò, 2020).

Nella raccolta di saggi del 2016 a cura di Paolo Levrero “Pedagogia della Storia” troviamo un’interessante chiave interpretativa di quello che sta accadendo oggi. Secondo Levrero (2016) uno dei compiti fondamentali di questa disciplina è analizzare “cosa ci insegna  la storia” e analizzare come la storia ha influenzato le trasformazioni pedagogiche nei processi di civilizzazione dell’uomo.

La pedagogia è intesa come scienza sociale e la formazione dell’uomo nel senso armonico della Bildung (Gennari, 1995), un’educazione che non è “addestramento” o “dressage”, ma è innanzitutto autoformazione, con la persona che “prende forma” in un percorso che lo accompagna nella sua intera esistenza. L’umanità si forma all’interno di una precisa dimensione storica, come sottolinea uno dei padri del neoumanesimo tedesco, J.G. Herder.

Ora l’aspetto più interessante del libro è il concetto di generatore culturale della storia: “I generatori della storia sono le culture, con il loro fardello di tradizioni, saperi, conoscenze, mentalità. All’origine di ogni guerra e di ogni pace si dispongono sempre una cultura della guerra e della pace (…) le culture appaiono come dei complessi sistemi posti in essere dagli uomini, dalle loro storie personali e collettive, intrecciate con fattori di natura innanzitutto economica, giuridica, politica e sociale” (Sola, 2016, in Levrero 2016). La pedagogia della storia ha il compito di interrogarsi su quali culture abbiamo potuto generare i fenomeni sociali, Sola fa l’esempio dell’orrore di Auschwitz e dei totalitarismi del Novecento in generale, quale idea di formazione dell’uomo ne sia scaturita, e creare un meccanismo educativo che permetta di imparare dagli errori della storia per non ripeterli.

Secondo Gennari (2016, in Levrero, 2016) osservando la storia e le geografie dello spazio-tempo in Europa emergono due modelli politico-sociali opposti, il totalitarismo e la democrazia liberale.

L’Europa ha due anime opposte: quella totalitaria e quella liberaldemocratica. Una si esprime con “mezzi di comunicazione nella cui disponibilità sono poste la scienza, la tecnica e la tecnologia con un scopo essenzialmente propagandistico-mistificatorio (Gennari, 2016, in Levrero 2016) oltre che l’accentramento dei poteri nell’esecutivo e l’istituzione di una sorta di pensiero unico.

Essenza del totalitarismo è il controllo assoluto delle coscienze esercitato sia con la violenza fisica che con quella psichica (Gennari, 2016, in Levrero, 2016), con quella che oggi chiamiamo psicopolitica. L’altra si esprime con la cultura dei diritti individuali e del bilanciamento fra i diversi poteri dello stato.

Queste due opposte concezioni generano anche due diverse concezioni della pedagogia: la prima autoritaria e frontale, genera l’educazione come indottrinamento, addestramento, dressage.

La seconda, figlia di tutta la tradizione degli umanismi europei, da quello greco-romano a quello cristiano, da quello rinascimentale a quello tedesco di Herder e Goethe, genera l’educazione come Bildung, autoformazione, trasformazione continua. Un concetto affine a quello che Foucault definiva “estetica dell’esistenza”.

Nella prima concezione l’educatore è un addestratore che impartisce ordini e regole, nella seconda ha un ruolo direi maieutico, è colui o colei che facilita l’emersione dell’essenza umana delle persone.

Gennari critica Parsons e Luhmann che ritengono il sistema sociale governato innanzitutto dalla comunicazione da una prospettiva neomarxista (dal punto di vista filosofico, non politico, nel quale sono le strutture economiche a determinare i sistemi sociali. Su questo specifico  aspetto dissentiamo in parte dalle tesi di Gennari: oggi la comunicazione è talmente potente da influenzare forse gli stessi sistemi economici. Non è il denaro che controlla la comunicazione, come sostiene Gennari, ma la comunicazione che controlla il denaro, come forse aveva capito Luhmann (1984)

Oggi, inaspettatamente, grazie a un “virus che ci rende folli” (Henry Levy, 2020) e alla “deriva salvifico-moralista” della comunicazione legata ad esso (Manzotti, 2020) l’Europa che sembrava avviata definitivamente sul polo politico della democrazia e su quello pedagogico della Bildung neoumanistica è di nuovo di fronte a un bivio. Qual è il generatore culturale della società e dell’approccio pedagogico di oggi? La cultura della “massima precauzione” o del rischio zero (Manzotti, 2020).

Una cultura che anticipa il rischio non per governarlo, ma per espellerlo dal corpo sociale. Per non rischiare questa cultura politica è pronta ad azzerare ogni attività sociale. La cultura pedagogica legata a questo generatore è precisamente quella dell’addestramento e del dressage.

Una pedagogia sociale “militare” che è debordata dai contesti educativi scolastici per divenire pedagogia sociale. Ed ecco l’ossessiva ripetizione delle “tre semplici regolette” (mascherina, disinfenzione, distanziamento) la continua ripetizione in luoghi pubblici del “decalogo” (si pensi agli autobus o ai treni) per prevenire le infezioni, la produzione continua di code, file, percorsi obbligati persino nelle strade, avvenuta ad esempio in alcune città italiane come Roma, Torino e Lecce.

La stessa cosa in ambito scolastico. La didattica a distanza è stata anche una “didattica della distanza” nella quale l’addestramento a percepire l’altro come un potenziale pericolo è stato ed è parte integrante. Il metro di distanza, la distanza di sicurezza, il divieto di toccarsi, il divieto di scambiarsi materiali nella scuola in presenza. Le disuguaglianze fra le famiglie dotate di dispositivi digitali e strumenti culturali per reggere la rivoluzione della Dad e quelle no nell’insegnamento a distanza.

La pedagogia della storia, secondo Sola, Levrero e Gennari, dovrebbe essere la scienza che ci permette di imparare dagli errori precedenti e non ripeterli. Negli ultimi anni la letteratura pedagogica era genericamente orientata verso un concetto di didattica non frontale e partecipata oltre che verso l’idea della life long learning, la formazione umana che dura tutta la vita. Un orientamento, anche se declinato in una società diversissima da quella romantica del neoumanesimo di Herder e Goethe, affine a quello umanista della Bildung.

La filosofia della massima precauzione e del rischio zero rischia di travolgere l’idea pedagogica umanista di Bildung, inscindibile, come afferma anche Gennari, dalla polarità democratica e liberale della cultura europea.

Il virus, o meglio la sua rappresentazione politico-mediale, ha cancellato di fatto l’idea umanistica e democratico-liberale di educazione come autoformazione e come educazione alla cittadinanza critica, per lasciare il posto all’educazione al distanziamento sociale, alla paura, a una pedagogia parenetica ben rappresentata dall’ossessiva ripetizione di regolette e decaloghi. Una pedagogia sociale che evoca gli inquietanti fantasmi della polarità totalitaria della cultura europea, che si credeva di essersi lasciati alle spalle per sempre con la fine del Novecento. Una società che risponde all’incertezza con la cultura del lockdown e della paralisi preventiva.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Beck U. (1984 ) La società del rischio, ed.it. Carocci, Roma

Foucault M. (1994) Omnes et singulatim, trad.it 2001 in Biopolitica e liberalismo, raccolta di testi a cura di O. Marzocca, Milano, Medusa

Gennari M. (1995) Storia della BildunG. Formazione dell’uomo e storia della cultura in Germania e nella Mitteleuropa, La scuola, Brescia

Gennari M. (2007) Filosofia del Pensiero, Il Melangolo, Genova

Henry L. Bernard (2020) Il virus che ci rende folli, La Nave di Teseo, Milano

Levrero P. (a cura di, con saggi di Gennari, Sola e Tizzi, 2016) Pedagogia della storia, Il Melangolo, Genova

Luhmann N. (1984) Soziale system, Grundiss einer allgeimer theorie, Surkahamp. Frankfurt

Macciò A. (2020) L’odio dei giusti. Retorica vittimaria, hate speech e violenza linguistica nella società covid-centrica, testo autoprodotto

Manzotti R. (2020a) #Iostoacasa. Come la paura e la mancanza di ragione uccidono la democrazia, www.leoniblog.com 8 aprile 2020

Manzotti R. (2020c) Il nostro approccio al coronavirus figlio di una deriva salvifico/moralista, www.controradio.it, 15 maggio 2020,  anche su www.riccardomanzotti.com

Manzotti R. (2020d) La dittatura della monogamia, in www.doppiozero.com, novembre 2020

Sola G. (2016) La formazione originaria. Paideia, humanitas, perfectio, dignitas hominis, Il Melangolo, Genova

 

 

 

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