Commentando gli ultimi dati sugli indici dei direttori acquisti (PMI) del settore manifatturiero, che a dicembre hanno segnalato un ulteriore peggioramento a livello di eurozona (trainata in basso da Germania e Italia), Roberto Mania su Repubblica scrive, tra le altre cose:
- “La questione industriale è stata troppo a lungo sottovalutata dalla politica, per pigrizia e per adesione acritica alle regole del mercato con annessa la sua presunta capacità di selezionare soggetti e settori. Solo qualche balbettio dalla politica prima di “Industria 4.0” dell’ex ministro Calenda, che ha incentivato la riconversione tecnologica del gruppo di testa delle nostre aziende lasciando però le altre ancora più indietro, e ora solo un silenzio assordante interrotto da parole a vanvera, mentre perdiamo terreno sul fronte dell’innovazione e delle nuove frontiere produttive. Perché non è politica industriale il salvataggio pubblico di aziende decotte (l’Iri non servì a questo e il ministro dello Sviluppo Patuanelli dovrebbe saperlo) né l’intervento pubblico per mettere una toppa a gestioni infantili di dossier complessi come quello dell’ex Ilva. Questo è sperpero di denaro pubblico mentre l’industria va a rotoli”.
Credo non occorra essere antistatalisti per considerare quello di Mania, nella più benevola delle ipotesi, nulla più che wishful thinking. Se è vero, come è vero, che gli attuali governanti elargiscono “parole a vanvera” e il loro interventismo può essere ritenuto “di denaro pubblico mentre l’industria va a rotoli”, pensare che il problema si risolva cambiando i governanti è quanto meno illusorio.
Nessuno è onnisciente, e pare per di più che coloro che accedono alle posizioni ministeriali non abbiano capacità divinatorie superiori alla media. Semmai il contrario. Ne consegue che ogni pretesa di fare politica industriale è destinata ad avere conseguenze indesiderate anche quando animata dalle migliori intenzioni.
Resta poi del tutto lontano dal vero che la questione industriale sia stata “troppo a lungo sottovalutata dalla politica, per pigrizia e per adesione acritica alle regole del mercato con annessa la sua presunta capacità di selezionare soggetti e settori”.
Non è stata né pigrizia, men che meno una adesione acritica alle regole del mercato. Il quale seleziona indubbiamente soggetti e settori. Che poi non piaccia il risultato di tale selezione è un altro discorso. Ma un mercato realmente libero restituisce come esito quello derivante dall’interazione volontaria di una moltitudine di soggetti, mentre l’esito della politica industriale è sempre condizionato dalla mancanza di onniscienza di cui sopra, oltre che dalla inevitabile compressione della proprietà privata di alcuni (o molti) soggetti.
La politica industriale non può risolvere alcun problema, mentre può generarne o aggravarne. La storia non ha insegnato nulla?
“Politica industriale” è un ossimoro. Altri aggettivi sarebbero più corretti: politica utopistica, inutile, dannosa, irrazionale, autoreferenziale (se tutto va bene), altrimenti criminale (se va male, come spesso accade).