«Là dove avevano lasciato la scia, in lungo e in largo fino a scomparire vicino ai primi alberi del bosco, crescevano appetitose foglie di dente di leone. “Hai mantenuto la parola. Ci hai portato nel nuovo Paese del Dente di Leone” disse una lumacaentusiasta. “No” sussurrò Ribelle, “ti sbagli. In questo viaggio che è iniziato quando ho voluto avere un nome ho imparato tante cose. Ho imparato l’importanza della lentezza e, adesso, ho imparato che il Paese del Dente di Leone, a forza di desiderarlo, era dentro di noi”, concluse in un sussurro e lentamente, molto lentamente, se ne andò a mangiare insieme alle sue compagne.»
Così si conclude questa favola di Luis Sepùlveda, [GUARDA QUI] una favola per i bambini ma anche per gli adulti. Infatti molti sono gli spunti per le riflessioni sulla nostra vita quotidiana. La protagonista della favola era una lumaca sui generis rispetto alle altre lumache. Si faceva domande che tutte le altre lumache ritenevano superflue. Diciamo che tutte le lumache si lasciavano vivere, mentre la protagonista della favola voleva dare un senso alla propria vita. Proprio questa sua originalità la costrinse ad abbandonare le amiche lumache per andare a scoprire il mondo. Così si imbatté in un gufo.
«”Voglio sapere perché sono così lenta”sussurrò la lumaca. Allora il gufo aprì i suoi enormi occhi rotondi e la osservò attentamente. Poi li richiuse. “Sei lenta perché hai sulle spalle un gran peso” spiegò il gufo. […] “Tu sei una giovane lumaca e tutto ciò che hai visto, tutto ciò che hai provato, amaro e dolce, pioggia e sole, freddo e notte, è dentro di te, e pesa, ed essendo così piccola quel peso ti rende lenta.”
“E a che mi serve essere così lenta?” sussurrò la lumaca.
“A questo non ho una risposta. Dovrai trovarla da sola” disse il gufo. E con il suo silenzio indicò che non voleva altre domande.»
Nel suo vagabondare la lumaca incontrò un altro animale lento, una tartaruga di nome Memoria. «La lumaca le spiegò che voleva conoscere i motivi della propria lentezza e anche avere un nome, perché l’acqua che cade dal cielo si chiama pioggia, i frutti dei rovi si chiamano more e la delizia che cola dai favi si chiama miele. E poi le spiegò che la sua domanda e il suo desiderio irritavano le altre lumache…La tartaruga …le raccontò che durante la sua permanenza presso gli umani aveva imparato… che quando un umano faceva domande scomode… lo chiamavano Ribelle. “Ribelle, mi piace questo nome!”» Una individualista!
Aveva la consapevolezza che ognuno di noi, se vuole dare un senso alla propria vita, deve avere innanzi tutto il senso di sé. Ecco il senso del nome che abbiamo. Possiamo appartenere alla famiglia delle lumache, ma l’individualità te lo dà il nome di Ribelle! La tartaruga Memoria le propose di essere disponibile a trasportarla in questa sua ricerca, oltre il mondo fin lì conosciuto dalla lumaca. «Le spiegò che sarebbero tornate sui loro passi perché voleva mostrarle qualcosa di importante. Qualcosa che le avrebbe fatto capire che erano compagne di strada fin da prima di conoscersi.»
Nulla accade per caso. O meglio ogni evento che ci capita nella vita è una opportunità che colta o rifiutata incide comunque su quanto ci accadrà successivamente. «“La mia lentezza è servita a incontrarsi, a farmi dare un nome da te, a farmi mostrare il pericolo, e ora so che devo avvertire le mie compagne… Grazie, Memoria, ti porterò sempre con me” sussurrò.» Di questo bisogna avere sempre consapevolezza e conservare nel proprio cuore un piccolo spazio ove riporre il ricordo di quanti abbiamo incontrato nel nostro viaggio terreno. Così avremo sempre la loro compagnia.
Grazie all’aiuto della tartaruga, Ribelle scoperse che gli umani volevano asfaltare il prato dove vivevano le sue amiche lumache. Senza se e senza ma, la protagonista della favola decise di tornare sui suoi passi per avvertire le compagne e tentare di salvarle dalla sicura morte. Dopo averle convinte, nonostante i tentativi delle lumache più vecchie di far passare Ribelle per una visionaria, perché vedevano nella sua iniziativa una lesione alla loro autorità, le guidò in un viaggio verso l’ignoto ove vi era una possibile salvezza. «Le lumache avevano fiducia in lei e questo la spaventò molto, ma poi ricordò Memoria: un vero ribelle conosce la paura ma sa vincerla, e lentamente, molto lentamente, continuò ad avanzare nell’erba.»
Chiunque si assume delle responsabilità nutre dubbi sulla giustezza delle proprie posizioni ma, la convinzione che si debba pur fare qualcosa per cambiare ciò che sembra destinato ad accadere, riesce a far superare qualsiasi paura di fallire. Fa quel che devi, accada quello che può, oppure scommetti il possibile contro il probabile! Solo così potranno essere raggiunti gli obiettivi, i desideri che teniamo in cuore.
Noi non viviamo in un paese felice. Probabilmente non lo è mai stato. Pletorico ripercorrere qui le ragioni di tali affermazioni. I lettori di questo giornale ne sono pienamente consapevoli. Le oasi di pace sono altre. A stabilirlo è il Global Peace Index 2014 [LEGGI QUI] , un rapporto dettagliato che prende in esame 162 nazioni e il loro tasso di violenza e militarizzazione, compiuto dall’Institute for Economics and Peace. Mentre l’Italia si trova solo al 34esimo posto; il primo posto lo merita l’Islanda, seguita da Danimarca, Austria, Nuova Zelanda, Svizzera, Finlandia, Canada, Giappone, Belgio, Norvegia e a pari merito Repubblica Ceca e Svezia. Tutti paesi che a parte il Canada (circa 35 milioni di abitanti) e il Giappone (circa 128 milioni di abitanti), sono tutti paesi con una popolazione più o meno analoga a quella di un Veneto o di una Lombardia indipendenti.
Quasi sempre noi ci rendiamo conto dell’esistenza di una realtà oggettiva soltanto in certe circostanze: allorquando vi “sbattiamo contro”, ovvero possiamo commisurarne gli effetti; oppure quando “miracolosamente” perviene una rivelazione induttiva. Per esempio, in alcuni paesi, l’etica dei sentimenti ha perpetuato gli status di privilegio; è servita da strumento per impedire l’edificazione di istituzioni imparziali, efficienti, giuste (un vanto del mondo Protestante) derivate dall’etica impersonale, non caritatevole, bensì tesa a minimizzare gli effetti dell’entropia sociale tipica del nepotismo clientelare.
Come sosteneva Abraham Lincoln: la democrazia è una “convenzione” mediante la quale tutti accettano che la legge sia “governo del popolo, dal popolo, per il popolo”. In quanto tale le scelte della maggioranza di milioni di abitanti, gli aventi diritto al voto, avvengono su fatti limitati, definiti, certi, conosciuti, discussi e votati. Diventata legge ognuno è tenuto a rispettarla per convenzione condivisa. La “convenzione” è fonte del diritto quando assume la forma di “contratto” giuridico. Così configurato il “contratto” giuridico può essere: “Sociale” (si veda: Hobbes, Rousseau, etc.) oppure “Politico” (si veda: Proudhon).
Il primo tipo di “contratto” (sociale) è sempre “aleatorio” e pur consentendo il procedimento democratico di scelta dei rappresentanti sulla base dei programmi (che in quanto aleatori altro non sono che subdole finzioni volte a ottenere consenso politico), confina la sovranità (volontà) degli aventi diritto al voto nella scelta dei rappresentanti che legiferano in organi accentrati e autoritari. In questo modo il popolo viene escluso dalla partecipazione democratica al governo, permettendogli unicamente di esercitare la democrazia nel solo giorno delle cerimonia dell’elezione delle persone indicate dai partiti. Il secondo tipo di “contratto” è “politico” e si distingue dal “contratto sociale” perché e fondato sulla “certezza” che le scelte politiche degli aventi diritto al voto (i cittadini sovrani) sui fatti limitati e condivisi dalla maggioranza, vengano tradotte in leggi mediante il procedimento democratico.
È storicamente dimostrato che il primo tipo di contratto (sociale) produce la dittatura di uno o di pochi sui molti mediante l’accentramento del potere (l’Italia di oggi, ma anche il nazismo, il fascismo, il comunismo etc.); mentre il secondo tipo di contratto (politico) produce l’autogoverno dei cittadini e dei popoli liberi e sovrani delle loro scelte di interessi e di coscienza. Il primo produce la forma di Stato e di governo parlamentare, accentrato e unitario (l’Italia di oggi). Il secondo la forma di governo federale delle Comunità locali e nazionali (la Svizzera di oggi). A ognuno la sua scelta secondo i propri interessi, conoscenza e coscienza.
Un articolo stupendo, complimenti !!!!