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La rivoluzione è nelle teste delle persone

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fornas6di ENZO TRENTIN

Giovanni Papini, nel 1913, argomentava così: «La necessità della rivoluzione» sulle pagine de “Lacerba”: «L’opera più rivoluzionaria è quella che consiste nel mutare i sentimenti, nello svecchiare e ripulire i cervelli, nel dare abitudini di temerità e follia. Cambiato lo spirito dell’uomo tutti gli altri cambiamenti esterni tanto desiderati ne derivano spontaneamente, facilmente e naturalmente. La vera rivoluzione è nelle teste e non già sulle barricate». 

Ai giorni nostri non è un conflitto ciò che c’interessa. La soluzione proposta in varie parti d’Europa da parte dei più diversi indipendentismi, visto il fallimento di mediazioni e appelli pacifici è una rivoluzione. È criminale chi promuove in un paese una guerra che si può evitare, ma anche chi non promuove una rivoluzione inevitabile. Ineluttabile, perché perdere tempo significa togliere il futuro alle giovani generazioni che non hanno alcuna colpa. Non a caso John Fitzgerald Kennedy ammoniva: «Quelli che rendono impossibili le rivoluzioni pacifiche rendono le rivoluzioni violente inevitabili

Jordi Fornas Prat è un politico indipendentista catalano. Attualmente fa parte del Consiglio Nazionale di Solidarietà Catalana per l’Indipendenza. È stato giornalista ed ex pilota di motociclismo. Nel corso della sua vita ha acquisito notorietà in due momenti specifici: in primo luogo, nel corso degli anni 1990, quando gareggiava per i primi posti nei concorsi internazionali di velocità su vecchie moto, e il secondo nel 2011, quando come Sindaco di Gallifa, Vallès Occidental, a capo di una coalizione catalana di solidarietà per l’Indipendenza (SI) inalberava sulla facciata di quel Comune la sola bandiera catalana. Pochi giorni prima del referendum 9-N, Jordi Fornas Prat ha dichiarato: «Rompiamo la legalità spagnola con la legittimità democratica. […] l’indipendenza non si chiede con referendum o sondaggi, la si dichiara! […] la libertà non si chiede la si prende! Democraticamente, ma la si prende!». Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) attraverso il suo leader Oriol Junqueras, è della stessa opinione anche se ha appoggiato il 9-N. Quest’ultimo, poi, non sembra molto d’accordo con la strategia di Artur Mas che vuole un rassemblament di partiti per le elezioni anticipate, tanto che in una recente assemblea pur salutando il Presidente della Generalitat, ha evitato di applaudirlo: [w.lavanguardia.com/politica/20141125/54420235743/junqueras-evita-aplaudir-conferencia-mas.html ] «Junqueras evita aplaudir a Mas en la conferencia».

Sembrano concetti moderni, ma hanno radici molto antiche. Nel XIII secolo, dall’Umanesimo nato nelle università dei liberi Comuni dell’Italia centro-settentrionale, fu enunciato il principio fondante di quell’Occidente che oggi conosciamo: il potere non appartiene per diritto divino all’imperatore o ai principi, ma al popolo (allora furono coniati i termini “populus sibi princeps”, il popolo principe di se stesso, e “sovranità popolare”, un provocatorio ossimoro: la sovranità attiene infatti al sovrano). Per cui fu addirittura teorizzata anche l’elezione popolare del Papa (con conseguenti persecuzioni a quegli incauti teorici, vedasi Marsilio da Padova). Da allora la politica e le sue istituzioni non furono più libere ma dipesero, almeno sul piano dottrinario, dal popolo.

Preso atto di ciò, è necessario interiorizzare che da quello che facciamo oggi dipende il mondo del 2050. Da come oggi ci comportiamo politicamente dipenderà il fatto che i nostri figli e i nostri nipoti possano vivere in un mondo migliore o che ci odieranno a causa dei nostri errori, del nostro egoismo o della nostra indifferenza.

miglioPremesso che fin da giovanissimi ognuno di noi, grazie alla scuola e ai sistemi di informazione, ha impresso nella mente l’idea assurda che l’attuale Stato sovrano e centralista con le relative istituzioni di governo sia l’unica forma di governo possibile della comunità locale e nazionale, siamo costretti a prendere atto che i “rappresentanti” del popolo fatti eleggere dai partiti, hanno fedelmente aderito a questa idea che prima o poi dovrà essere eliminata dalla storia del genere umano.

Infatti il concetto giuridico che le preferenze dei governati debbano sempre manifestarsi soltanto attraverso i rappresentanti, e che la volontà dei primi debba prendere necessariamente la forma di un’adesione (consenso) incondizionata alle “verità” proposte dai candidati assisi al potere, come diceva il Prof. G.F. Miglio, sta per uscire dalla storia perché si spezza il legame fra legittimazione del governante e la volontà dei governati.

L’Italia di oggi è il prodotto dell’“imprinting” mentale dello Stato centralista fin dall’infanzia e non è facile da smontare. Sebbene il cambiamento sia auspicato da ogni parte politica, l’attuale sistema di potere politico incancrenito e incrementato in istituzioni illegittime costituite sulla base della rappresentanza e senza legittimazione popolare (oramai vota un cittadino su tre. Che rappresentanza “democratica” è mai questa?), infatti, non indica alternative efficaci o risolutive dei problemi che le stesse hanno creato.

L’11 Aprile 2012, sul quotidiano on line l’«Indipendenza», il direttore Gianluca Marchi scriveva: «Nell’articolo pubblicato oggi nella rubrica “Gli Indipendenti”, […] compare un’affermazione dell’autore che merita una giusta riflessione […]: “Tutti si scapicollano a dettagliare questo o quel percorso atto ad ottenere l’indipendenza; quasi nessuno indica per filo e per segno quale sarà l’organizzazione del nuovo Stato che si venisse a creare”. Un’osservazione che non deve passare come una semplice critica, ma come un’occasione per discutere, effettivamente, di come vorremmo fosse il paese in cui vivere un domani, una volta liberati dal fardello centralista e statalista italiano…» L’osservazione ebbe una ventina di commenti. Non si è mai andati più in la’!

Sono passati circa due anni e mezzo. Varie forze politiche hanno provato a balbettare di “Libri bianchi e/o gialli”, di bozze più o meno incomplete di Statuti o abbozzi di progetti costituzionali; ma nulla di concreto ed effettivamente “spendibile” è stato creato. Al contrario, ci sono pseudo indipendentisti pronti a spendersi per essere eletti nei Consigli regionali di quello Stato dal quale vorrebbero staccarsi per autodeterminarsi. L’effetto che si ottiene con tale azione è quello di un paradosso apparente. Ovvero: una lucida follia; un tacito tumulto; le convergenze parallele; un insensato senso. Questo, beninteso, visto dalla parte dell’interesse della cosiddetta opinione pubblica, perché l’interesse palese dei candidati è quello di avvantaggiarsi dei privilegi e delle prebende che lo Stato italiano elargisce. Non si sa ancora per quanto.

Sperare nel cambiamento senza aver ben chiaro che “Non si possono risolvere i problemi creati dalla politica (ma anche da qualsiasi altro “sistema”), usando lo stesso modo di ragionare che li ha creati”, a nostro parere non porta ad alcuna possibilità di cambiamento effettivo, duraturo e vantaggioso del sistema di governo, che dovrebbe essere costituito per il bene del vivere in comune e non per i vantaggi che pochi possono ottenere a spese di tutti.

Conviene quindi chiedersi qual èil modo di ragionare” che ha creato gli attuali gravissimi problemi che ogni giorno appaiono sempre più irrisolvibili, anche a causa della crescente complessità del sistema dell’ordine sociale.

A nostro avviso il problema centrale è costituito dall’impossibilità, per i cittadini, di controllare permanentemente il potere che discende dalla politica, in modo che siano sempre rispettati gli interessi e le aspettative di vita della maggioranza degli aventi diritto al voto sui fatti concreti e limitati che riguardano tutti. Osservato in questa ottica, il primo problema che si pone è – dunque – aver ben chiaro attraverso quali strumenti giuridici operativi il popolo – ovvero tutti i Cittadini aventi diritto al voto – può esercitare un “controllo diretto ed efficace” su ciò che deliberano i rappresentanti eletti al governo. Noi riteniamo che senza questo chiarimento la politica continuerà ad essere quella che è sempre stata: una appropriazione indebita da parte di uno o di pochi rappresentanti di tutto il potere legislativo-decisionale che riguarda la vita dei cittadini e quella delle future generazioni.

Auspichiamo, dunque, che non appena smaltita la “sbornia elettorale” della primavera 2015, si avvii un Programma per il cambiamento. La costituzione di una riunione di soggetti e gruppi che riferiscono la loro azione politica alla necessità di riprendersi la sovranità popolare quale strumento indispensabile per l’autogoverno, la democrazia diretta, il federalismo e l’autodeterminazione dei popoli. Con una sola idea per cambiare stabilmente tutto ciò che non è conforme alla coscienza, agli interessi e alle aspettative di vita della maggioranza dei Cittadini. Ovvero la progettazione di una «Charta» o un «foedus» che sia un contenimento, non qualcosa con la quale scatenare il governo, e che definisca puntualmente l’esercizio della sovranità popolare, riservando a se stesso le libertà non delegate e definendo puntualmente i limiti della rappresentanza.

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1 COMMENT

  1. ben scritto.
    Ma , come si sa, val più la pratica che la grammatica.

    E vale a dire che servirà di più un bel default che non tutti i programmi e tutte le intenzioni del mondo.
    Lo stesso vale per una eventuale protesta fiscale.
    Essa potrà valere più di qualsiasi voto o referendum.

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