Appena un mese fa, il giornalista de L’Unione Sarda Paolo Figus, commentando il progetto dei sostenitori del Canton Marittimo (l’associazione che vorrebbe rendere l’isola un nuovo Cantone elvetico), ha espresso un’opinione del tutto comprensibile, chiedendosi per quali ragioni bisognerebbe guardare alla Svizzera piuttosto che occuparci di sviluppare la Sardegna sulla base delle nostre caratteristiche.
Ai lettori più esperti, in particolare di diritto ed economia, non sarà sfuggito che il quesito di Figus conteneva già la risposta: il modello istituzionale svizzero è proprio uno dei pochi al mondo, se non l’unico, che consente proprio alle diverse caratteristiche dei popoli e dei loro territori di valorizzare le proprie peculiarità.
Ciò premesso, osservare la Svizzera non significa annettersi alla sua confederazione ma sviluppare un processo riformistico che porti in loco i vantaggi di un’Autonomia che nei fatti la Sardegna non ha mai avuto.
Il regionalismo italiano appare infatti profondamente diverso dal cantonalismo elvetico. In quest’ultimo i Cantoni possiedono una sovranità fiscale dove una bassa tassazione priva di sussidi ed uno snello apparato pubblico consentono agevolmente a degli investitori di insediarsi senza speculazioni nel territorio. Al contrario, in Sardegna si sussidiano con soldi pubblici degli avventurismi aziendali che in ragione della nostra pressione fiscale e burocratica non produrranno mai utili ma saranno destinati al fallimento. E che dopo aver consumato i contributi andranno via, lasciando unicamente inquinamento e disoccupazione.
Inoltre, in Svizzera i cittadini non solo partecipano responsabilmente ad un’oculata gestione della bassa spesa pubblica – ad esempio tramite alcune materie referendarie – ma hanno creato un apparato pubblico non invadente, dove i privati hanno la possibilità di investire la propria creatività per creare ricchezza. Viceversa, la Sardegna risulta ancora inondata di scartoffie, controlli ed enti i cui conti pubblici, anche in perdita, rimangono saldamente nelle mani della partitocrazia che governa l’isola, creando addirittura degli oligopoli non concorrenziali nel settore dei trasporti.
Un’altra fondamentale differenza tra il sistema istituzionale svizzero e quello italiano affonda le sue radici nelle potenzialità culturali che fungono da volano di quelle economiche. Nel modello svizzero infatti ogni Cantone gode della sua legittima sovranità in ambito linguistico e culturale, una caratteristica pressoché ignota al costituzionalismo italiano (fatta eccezione per l’autonomismo sudtirolese). Il plurilinguismo ha la capacità di puntare sul valore aggiunto dei propri cittadini, rendendoli edotti della propria storia, in sintonia con le proiezioni di mercato che possono e potrebbero sviluppare con tali caratteristiche (ulteriori considerazioni su questi vantaggi sono state espresse nel testo “L’indipendentismo sardo”, edito da Condaghes nel 2014). Viceversa la Sardegna non possiede analogo interesse per la valorizzazione, anche turistica, delle proprie fattezze storico-archeologiche, spesso abbandonate all’incuria. Né si è potuta sviluppare alcuna managerialità “privatistica”, non assistenziale, in grado di portarle sul mercato, alimentando un circuito virtuoso.
Gli amici del Canton Marittimo sono stati in grado di portare vari imprenditori svizzeri in Sardegna, ma ora la grande sfida consisterà nel creare le condizioni affinché possano investire sul serio. E questa sarà l’unica vera battaglia che riguarderà il futuro della nostra politica.