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La soluzione non è il ritorno alla sovranità monetaria

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di MATTEO CORSINI

Marcello Minenna, già dirigente in Consob e, per poche settimane, assessore al Bilancio a Roma nella giunta Raggi, ora insegna alla Londo School of Economics. Minenna appartiene a quelli che definirei “eurocritici”, persone di cui per lo più non condivido i punti di vista, ma che preferisco di gran lunga agli europeisti “senza se e senza ma”.

In un articolo pubblicato sul Corriere Economia, Minenna fa alcune ipotesi circa un argomento tabù per i suddetti “europeisti senza se e senza ma”: l’uscita dell’Italia dall’eurozona. A parte non condividere l’idea di tornare alla sovranità monetaria revocando anche il cosiddetto “divorzio” in essere dal 1981 tra Banca d’Italia e Tesoro, alcuni passaggi di Minenna sono, a mio parere, contraddittori.

Per esempio, nel caso del “Securities Market Programme” (SMP) nell’ambito del quale la Bce acquistò titoli di Paesi in difficoltà nel periodo 2010-2012, Minenna afferma: “Mentre aiutava i Paesi periferici a risollevarsi, questo programma di acquisti ha trasferito 10 miliardi di euro alla Bce (di cui la quota maggiore alla Bundesbank) sotto forma di cedole pagate sui titoli coinvolti nel programma”. Successivamente, però, riferendosi al Quantitative Easing, pare avere un’opinione diversa: “I titoli di Stato comprati dalla Banca d’Italia nel Quantitative Easing dovrebbero essere consolidati in modo definitivo nell’attivo della Bce”.

In pratica, prima lamenta il fatto che gli utili derivanti da interessi sui titoli di Stato comprati nell’ambito del SMP beneficiano in primo luogo la Germania che, tramite la Bundesbank, detiene la maggior quota di partecipazione al capitale della Bce. Salvo poi lamentarsi che, nell’ambito del Qe, la maggior parte dei titoli di Stato italiani rimane sul bilancio della Banca d’Italia, perché i tedeschi non volevano una piena condivisione dei rischi. Nel caso del Qe, gli utili derivanti dai titoli di Stato italiani comprati dalla Banca d’Italia tornano in gran parte al Tesoro, il che equivale, di fatto, a una monetizzazione del debito: neppure questo accontenta Minenna?

Per finire, Minenna lamenta l’introduzione delle Clausole di azione collettiva (Cac) a partire dal 2013 sui titoli emessi con durata superiore a un anno. “Nell’autunno 2012, l’accordo sull’Esm ha imposto clausole di azione collettiva (Cac) sulle nuove emissioni di titoli di Stato; perciò, una minoranza degli obbligazionisti può bloccare la ridenominazione del debito in valuta nazionale”. Generalmente l’argomentazione usata contro le Cac è di segno opposto, ossia che una maggioranza (che, a seconda delle modifiche da apportare ai titoli, va dai due terzi al 75%) può imporre alla minoranza la ristrutturazione dei titoli.

In ogni caso, se davvero lo Stato arrivasse a utilizzare le Cac suppongo che i possessori dei titoli in questione sarebbero da tempo quasi esclusivamente intermediari finanziari italiani, che ben difficilmente si opporrebbero ai voleri del Tesoro. Per di più, quando uno Stato ristruttura il debito generalmente non va tanto per il sottile. Quindi dubito che le Cac sarebbero un problema per via di minoranze “riottose”. L’euro è indubbiamente una costruzione monetaria con diversi problemi, ma i rimedi proposti da chi vorrebbe riportare a Roma la sovranità monetaria sono a mio parere peggiori del male. Gli Stati dovrebbero uscire dalla produzione e gestione della moneta.

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