di MARCO BASSANI
Genti, uomini e donne amanti della libertà vorrebbero, anche quando non lo sanno esporre con chiarezza, scambi globali e gestione delle convivenze per mezzo di piccole comunità. Vale a dire, scambiare beni e servizi con tutti e votare sui soldi degli altri fra “simili” o comunque fra persone che vivono gli stessi problemi giacché radicati sul medesimo territorio.
I governi sanno bene che ciò significherebbe la fine di quel semaforo verde per disporre di vite e risorse dei cittadini che si sono faticosamente fabbricati in cinque secoli. E quindi premono per una diversa formula: istituzioni globali e scambi locali. La comunità giuridica mondiale, se nel 1795 poteva apparire solo il sogno utopico di Kant, è oggi l’unico modo per rendere effettivo il controllo di confini, frontiere, capitali, individui.
Un po’ come la parabola del comunismo: da sogno a utopia a incubo. Parimenti, lo statalismo selvaggio che oggi viviamo in questa folle area del mondo lotta con tutte le sue forze per sopravvivere, giacché o sarà planetario o non sarà. Gocce di saggezza nella città degli spettri.