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La speculazione dei fondi pensione

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di MATTEO CORSINI

PF-pensions-1_1449656cEnrico Morando, vice ministro dell’Economia, ha così espresso l’opinione del governo in merito al quasi raddoppio, nell’arco di sei mesi, della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione: “Il governo è disponibile ad affrontare il tema, ma la nostra posizione è che la tassazione del capital gain debba essere omogenea e unitaria. Poiché l’aliquota ordinaria è via via salita al 26%, mi sembra evidente che anche quella dell’11,5% che pesa sui fondi pensione debba crescere. Poi siamo ben consapevoli dell’importanza dello sviluppo delle pensioni integrative e quindi proveremo a costruire un equilibrio tra queste due esigenze, tenendo conto delle necessarie coperture”.

Qualche mese fa il presidente del Consiglio, che si suppone dovrebbe essere il depositario della linea ufficiale del governo, giustificò l’aumento della tassazione dei redditi di natura finanziaria (definirle “rendite” è tecnicamente scorretto, anche se fa molto effetto in un Paese in cui il marxismo non è mai stato sepolto, ma solo accantonato contro voglia, e neppure da tutti e sinistrorsi) dal 20 al 26 per cento con la volontà di colpire la “speculazione”.

All’epoca – parliamo di uno dei primi provvedimenti del governo Renzi – l’aliquota sui fondi pensione fu leggermente aumentata, dall’11 all’11,5 per cento, il tutto con la scusa di finanziare qualche altra limatura fiscale. Trattandosi di un aumento lieve, la cosa passò quasi inosservata.

Con la legge di stabilità, dal 2015 si passa dall’11,5 al 20 per cento, e il vice ministro Morando dice che “la nostra posizione è che la tassazione del capital gain debba essere omogenea e unitaria”. Come a dire: di grazia che non abbiamo portato l’aliquota al 26 per cento anche sui fondi pensione.

Se qualcuno nota incoerenza tra la posizione espressa da Morando e quella a suo tempo espressa da Renzi (corrucciando le sopracciglia, come quando vuol apparire serio agli interlocutori), credo sia comprensibile. Cosa ci sia di “speculativo” (nel senso attribuito alla parola dai tassatori) nell’investimento in fondi pensione, francamente mi sfugge. Si tratta, in realtà, di uno strumento indispensabile per consentire a chi oggi lavora e non è prossimo alla pensione di sperare di non fare la fame (o di farla un po’ meno) quando sarà anziano e pensionato.

Già la repressione finanziaria farà la sua parte schiacciando i rendimenti degli impieghi obbligazionari (che rappresentano buona parte di una allocazione non troppo propensa al rischio) e mantenendoli al di sotto della perdita di potere d’acquisto della moneta per diversi anni; se ci si mette anche la repressione fiscale un futuro da poveracci è la prospettiva pressoché certa per milioni di giovani.

Quelli che hanno l’età di Renzi o sono più giovani di lui, ai quali il presidente del Consiglio dice di fare del bene lasciando a una parte di essi 80 euro al mese in più in busta paga, togliendo però con una mano quello che ha lasciato con l’altra.

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