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La spending review è un flop colossale. il resto son chiacchiere

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di MATTEO CORSINI

A seguito di un’analisi sul flop della spending review pubblicata l’8 maggio sul Sole 24Ore, l’attuale commissario alla revisione della spesa (e renziano doc), Yoram Gutgeld, ha replicato al giornale. Peccato che i numeri non fossero inventati, ma provenissero da dati ufficiali. Gutgeld contesta il fatto che la spesa pubblica non sia stata ridotta, ma è un dato di fatto che in valore assoluto è aumentata e aumenterà anche negli anni a venire (lo scrive il governo nel DEF), mentre in rapporto al Pil il calo avverrà solo a condizione che il Pil nominale aumenti come da previsione (che eufemisticamente definirei ottimistica) governativa.

Per di più, la spesa al netto degli interessi (il cui calo di circa 20 miliardi annui non dipende dal governo, ma dal Qe della BCE) non cala affatto. Dato che Gutgeld non può del tutto negare l’evidenza, ricorre ai confronti con altri Paesi, sostenendo che hanno fatto peggio, in termini relativi, rispetto all’Italia: “I dati, disponibili a chiunque avesse la curiosità di consultarli, dicono che la spesa pubblica corrente di Londra in questi cinque anni è aumentata di 50 miliardi di sterline (corrispondente al +7,3%). Limitando la misurazione alla sola macchina dei servizi pubblici, cioè al netto degli interessi sul debito e dei trasferimenti sociali (pensioni ed altro), la spesa pubblica britannica è cresciuta in questo periodo di 17 miliardi di sterline (+4%). La poco concludente Italia, che «non riesce a frenare la spesa pubblica», ha aumentato la spesa corrente nello stesso periodo del 2,3% (considerando gli 80 euro come una riduzione delle tasse), ovvero meno di un terzo rispetto al Regno Unito. La spesa per la macchina dei servizi pubblici è addirittura scesa del 1,6 per cento. A questo punto il nostro lettore potrebbe concludere che anche i britannici sono “tutto fumo e niente arrosto”, oppure potrebbe sospettare che tagliare la spesa pubblica nominale non sia poi cosi semplice”.

Ci sono un paio di dettagli: secondo dati FMI, a fine 2016 nel Regno Unito la spesa pubblica era pari al 39.4% del Pil, mentre in Italia era pari al 49.6%, oltre 10 punti in più. In euro, fanno circa 170 miliardi. Non spiccioli. E si tenga presente che il Regno Unito ha 5 milioni di abitanti in più dell’Italia. Il debito pubblico britannico è pari all’89% del Pil. Se fosse così anche in Italia (dove siamo attorno al 133% del Pil), sarebbero oltre 735 miliardi di debito in meno. Neanche questi sono spiccioli. Credo, quindi, che certi paragoni siano un boomerang. Immaginate due persone di media statura, una sovrappeso (89 chili), l’altra decisamente obesa (133 chili). Che senso ha per quella obesa puntualizzare che negli ultimi 5 anni ha messo su qualche chilo in meno dell’altra?

Ma perché è cosi difficile ridurre l’entità nominale della spesa corrente? I motivi sono due. Il primo è che oltre il 70% della spesa corrente è composto da due voci difficili da comprimere nel breve termine: la spesa sociale, che cresce per l’effetto dell’invecchiamento della popolazione, e la spesa per gli stipendi dei dipendenti pubblici che nessun governo, tranne in situazioni di gravissime difficoltà finanziaria, è disposto a licenziare”. Sul fatto che i consumatori di tasse siano portatori di voti non c’è nulla da obiettare, ma questo significa che non è impossibile ridurre la spesa, semplicemente non lo si vuole fare.

La seconda difficoltà sta nel fatto che la stragrande maggioranza dei costi della pubblica amministrazione, per noi circa il 90%, è legato a servizi ritenuti essenziali e costitutivi del concetto dello stato moderno: pensioni, assistenza sociale, istruzione, sanità, difesa, sicurezza e servizi comunali. Mentre un’azienda può decidere di dismettere qualsiasi ramo di attività, uno Stato degno del nome moderno e sociale non può non garantire un’istruzione di qualità ai suoi cittadini”. Posto che si potrebbe discutere anche sull’ineluttabilità che le attività citate da Gutgeld debbano essere di competenza statale, è solo la mancanza di volontà politica, ancora una volta, a far calciare in avanti il barattolo di spese che non sono sostenibili pur di non perdere voti alle prossime elezioni (e di elezioni, tra politiche e amministrative, ce ne sono tutti gli anni).

Ma secondo Gutgeld i risultati del governo sono importanti. Tra di essi il “risanamento dei conti pubblici, con la riduzione del deficit passata dal 3% del Pil nel 2013 al 2,1% nel 2017”. Anche in questo caso, come già accennato, si tratta di chiacchiere. Senza la riduzione della spesa per interessi, il deficit sarebbe aumentato.

C’è ancora molto da fare, ma sulla revisione della spesa l’erba dei vicini, e anche quella dei meno vicini, non è più verde”. Ma di quale tipo di erba sta parlando?

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2 COMMENTS

  1. L’eccesso di spesa pubblica è costituito ANCHE dagli stipendi dei dipendenti pubblici, ma , in egual misura dai COSTI DI GESTIONE della struttura pubblica.
    Purtroppo questi ultimi sono irriducibili per l’incapacità insita nel DNA di chi scrive e gestisce le regole.
    Esempio recente e clamoroso è dato dal “sparate solo di notte ” scritta nella Legge, per fortuna ritirata, sulla Legittime Difesa.
    Solo un costituzionalmente incapace , dal punto di vista organizzativo, può concepire simili storture.

  2. Gutgeld intende lo stato in modo diverso da come lo intende un liberale.
    E va avanti per la sua strada, sapendo di addomesticare o mentire sui dati, interpretandoli sulla base di ideologie catto-socialiste demenziali.
    Nei documenti ufficiali ho letto il termine “razionalizzazione” al posto di “riduzione” della spesa pubblica.

    E’ tutto marcio dalle fondamenta.
    Le fondamenta sono socialiste.
    Questi non ci pensano neppure lontanamente ridurre l’ambito di pervasività pubblica.

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