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La trascrizione del discorso integrale di Javier Milei a Davos

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di JAVIER MILEI

Oggi sono qui per dirvi che l’Occidente è in pericolo. È in pericolo perché coloro che dovrebbero difendere i valori occidentali si ritrovano cooptati da una visione del mondo che porta inesorabilmente al socialismo e, di conseguenza, alla povertà.Purtroppo, negli ultimi decenni, alcuni motivati dal desiderio benpensanti di voler aiutare gli altri e altri dal desiderio di appartenere a una casta privilegiata, i principali leader del mondo occidentale hanno abbandonato il modello della libertà per diverse versioni di ciò che chiamiamo collettivismo. Noi siamo qui per dirvi che gli esperimenti collettivisti non sono mai la soluzione ai problemi che affliggono i cittadini del mondo, ma, al contrario, ne sono la causa. Credetemi, nessuno meglio di noi argentini può testimoniare queste due questioni. Quando abbiamo adottato il modello della libertà, nel lontano 1860, in 35 anni siamo diventati la prima potenza mondiale. Mentre quando abbiamo abbracciato il collettivismo, negli ultimi 100 anni, abbiamo visto come hanno cominciato a diventare sistematicamente più poveri fino a scendere al posto numero 140 nel mondo.

Ma prima di poter affrontare questa discussione, sarebbe importante esaminare i dati che supportano perché il capitalismo di libera impresa non è solo l’unico sistema possibile per porre fine alla povertà nel mondo, ma è anche l’unico sistema moralmente desiderabile per farlo. Se consideriamo la storia del progresso economico, possiamo vedere come dall’anno zero fino all’anno 1800 circa, il pil pro capite nel mondo è rimasto praticamente costante durante tutto il periodo di riferimento. Se si guarda un grafico dell’evoluzione della crescita economica nel corso della storia umana, si vede un grafico a forma di mazza da hockey: una funzione esponenziale che è rimasta costante per il 90 per cento del tempo e scatta esponenzialmente verso l’alto a partire dal XIX secolo. L’unica eccezione a questa storia di stagnazione si ebbe alla fine del XV secolo con la scoperta dell’America. Ma a parte questa eccezione, durante tutto il periodo compreso tra l’anno zero e l’anno 1800, il pil pro capite a livello globale è rimasto stagnante. Ora, non solo il capitalismo ha generato un’esplosione di ricchezza dal momento in cui è stato adottato come sistema economico, ma se si analizzano i dati, ciò che si osserva è che la crescita ha accelerato durante tutto il periodo.

Durante tutto il periodo compreso tra l’anno zero e il 1800, il tasso di crescita del pil pro capite è rimasto stabile intorno allo 0,02 per cento annuo, ovvero una crescita praticamente nulla. A partire dal XIX secolo, con la rivoluzione industriale, il tasso di crescita salì allo 0,66 per cento. A questo ritmo, per raddoppiare il pil pro capite, ci vogliono circa 107 anni. Ora, se guardiamo al periodo tra il 1900 e il 1950, il tasso di crescita accelera all’1,66 per cento annuo. Per raddoppiare il pil pro capite non servono più 107 anni, ma 66. E se prendiamo il periodo tra il 1950 e il 2000, vediamo che il tasso di crescita è stato del 2,1 per cento annuo, da che deriverebbe che in soli 33 anni potremmo raddoppiare il pil mondiale pro capite. Questa tendenza, lungi dal fermarsi, rimane viva anche oggi. Se prendiamo il periodo tra il 2000 e il 2023, il tasso di crescita è nuovamente accelerato al 3 per cento annuo, il che implica che potremmo raddoppiare il nostro pil pro capite nel mondo in soli 23 anni. Ora, quando si studia il pil pro capite dal 1800 a oggi, ciò che si osserva è che dopo la Rivoluzione industriale il pil pro capite mondiale si è moltiplicato di oltre 15 volte, generando un’esplosione di ricchezza che ha fatto uscire dalla povertà il 90 per cento della popolazione mondiale. Non dobbiamo mai dimenticare che nel 1800 circa il 95 per cento della popolazione mondiale viveva nella povertà più estrema, mentre quel numero è sceso al 5 per centro nel 2020, prima della pandemia.

La conclusione è ovvia. Lungi dall’essere la causa dei nostri problemi, il capitalismo di libera impresa come sistema economico è l’unico strumento che abbiamo per porre fine alla fame, alla povertà e alla miseria in tutto il pianeta. L’evidenza empirica è indiscutibile. Pertanto, poiché non vi è dubbio che il capitalismo di libero mercato sia superiore in termini produttivi, la doxa di sinistra ha attaccato il capitalismo per le sue questioni di moralità, perché, secondo loro, secondo i suoi detrattori, è ingiusto. Dicono che il capitalismo è cattivo perché è individualista e che il collettivismo è buono perché è altruista. E, di conseguenza, lottano per la “giustizia sociale”. Ma questo concetto, che nel primo mondo è diventato di moda nell’ultima decada, nel mio paese è una costante del discorso politico da più di 80 anni. Il problema è che la “giustizia sociale” non solo non è giusta, ma non contribuisce nemmeno al benessere generale. Al contrario, è un’idea intrinsecamente ingiusta, perché violenta. È ingiusta perché lo stato si finanzia attraverso le tasse e le tasse vengono riscosse in modo coercitivo. Oppure qualcuno di noi può dire che paghiamo le tasse volontariamente? Ciò significa che lo stato si finanzia attraverso la coercizione, e che maggiore è la pressione fiscale maggiore è la coercizione e minore è la libertà.

Chi promuove la giustizia sociale parte dall’idea che l’intera economia è una torta che può essere distribuita in modo diverso. Ma quella torta non è data, è ricchezza che viene generata in quello che, ad esempio, Israel Kirzner chiama un “processo di scoperta”. Se il bene o il servizio offerto da un’impresa non è desiderato, l’azienda fallisce a meno che non si adegui a quello che il mercato sta domandando. Se produce un prodotto di buona qualità a un prezzo buono o interessante, farà bene e produrrà di più. In questo modo il mercato è un processo di scoperta in cui il capitalista trova al volo la strada giusta. Ma se lo stato punisce il capitalista per aver avuto successo e lo blocca in questo processo di scoperta, distrugge i suoi incentivi. E la conseguenza è che si produrrà di meno e la torta sarà più piccola, generando danni alla società nel suo insieme. Il collettivismo, inibendo questi processi di scoperta e rendendo difficile l’appropriazione di ciò che viene scoperto, lega le mani dell’imprenditore e gli rende impossibile produrre beni migliori e offrire servizi migliori a un prezzo migliore. Com’è possibile allora che il mondo accademico, le organizzazioni internazionali, la politica e la teoria economica demonizzino un sistema economico che non solo ha fatto uscire il 90 per cento della popolazione mondiale dalla povertà più estrema, e lo sta facendo sempre più rapidamente, ma è anche giusto e moralmente superiore?

Grazie al capitalismo di libera impresa oggi il mondo è nel suo momento meglio. Non c’è mai stato, in tutta la storia dell’umanità, un periodo di maggiore prosperità di quello in cui viviamo oggi. Il mondo oggi è più libero, più ricco, più pacifico e più prospero che in qualsiasi altro momento della nostra storia. Questo vale per tutti, ma soprattutto per quei paesi che sono liberi e rispettano la libertà economica e i diritti di proprietà degli individui. Perché i paesi più liberi sono 12 volte più ricchi di quelli repressi. Il decile più basso della distribuzione dei paesi liberi vive meglio del 90 per cento della popolazione dei paesi repressi, ha 25 volte meno poveri nel formato standard e 50 volte meno nel formato estremo. E se ciò non bastasse, i cittadini dei paesi liberi vivono il 25 per cento in più rispetto ai cittadini dei paesi repressi. Ora, per capire cosa siamo qui a difendere, è importante definire di cosa parliamo quando parliamo di libertarismo. Per definirlo ritorno alle parole del più grande eroe delle idee di libertà in Argentina, il professor Alberto Benegas Lynch ha affermato che: “Il libertarismo è il rispetto illimitato del progetto di vita degli altri, basato sul principio di non aggressione, sulla difesa del diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà degli individui, le cui istituzioni fondamentali sono la proprietà privata, i mercati liberi dall’intervento statale, la libera concorrenza, la divisione del lavoro e la cooperazione sociale. Dove si può avere successo solo servendo il prossimo con beni di migliore qualità a un prezzo migliore”. In altre parole, l’imprenditore è un benefattore sociale che, lungi dall’appropriarsi della ricchezza altrui, contribuisce al benessere generale. In definitiva, un uomo d’affari di successo è un eroe. Questo è il modello che stiamo proponendo per l’Argentina del futuro. Un modello basato sui principi fondamentali del libertarismo: la difesa della vita, della libertà e della proprietà. 

Ora, se il capitalismo della libera impresa e la libertà economica sono stati strumenti straordinari per porre fine alla crisi povertà nel mondo e ci troviamo oggi nel momento più bello della storia dell’umanità, perché allora dico che l’Occidente è in pericolo? Perché in quei paesi che dovrebbero difendere i valori del libero mercato, settori dell’establishment politico ed economico, alcuni per errori teorici e altri per ambizione di potere, stanno minando le basi del libertarismo aprendo le porte al socialismo e condannandoci potenzialmente alla povertà, alla miseria e alla stagnazione. Perché non si dovrebbe mai dimenticare che il socialismo è sempre e dovunque un fenomeno di impoverimento, che è fallito in tutti i paesi in cui è stato tentato. È stato un fallimento sociale, è stato un fallimento culturale e ha anche ucciso di più di 100 milioni di esseri umani. Il problema essenziale dell’Occidente oggi è che non dobbiamo solo confrontarci con coloro che, anche dopo della caduta del Muro e la schiacciante evidenza empirica continuano a sostenere il socialismo impoverente, ma anche i nostri leader, pensatori e accademici che si sono fermati a un quadro teorico sbagliato, minano  le basi del sistema che ci ha dato la più grande espansione di ricchezza e prosperità della nostra storia.

Il quadro teorico a cui mi riferisco è quello della teoria economica neoclassica, che progetta uno strumento che, involontariamente, finisce per essere funzionale all’intromissione dello stato, del socialismo e del degrado della società. Il problema dei neoclassici è che poiché il modello di cui si sono innamorati non corrisponde alla realtà, attribuiscono l’errore a presunti fallimenti del mercato invece di rivedere le premesse del loro modello. Con il pretesto di un presunto fallimento del mercato si introducono regolamentazioni che generano solo distorsioni al sistema dei prezzi, che impediscono il calcolo economico e, di conseguenza, il risparmio, gli investimenti e la crescita.  Questo problema risiede essenzialmente nel fatto che nemmeno gli economisti apparentemente liberali capiscono cosa sia il mercato, giacché se lo si capisse si vedrebbe subito che è impossibile che esista qualcosa come un fallimento di mercato.  Il mercato non è una mera descrizione di una curva di offerta e di una curva di domanda su un grafico. Il mercato è un meccanismo di cooperazione sociale in cui si scambiano volontariamente i  diritti di proprietà. Se le transazioni sono volontarie, l’unico contesto in cui può verificarsi un fallimento di mercato è se vi è coercizione, e l’unico con capacità di coercizione in modo generalizzato è lo stato che ha il monopolio della violenza.  Di conseguenza, se qualcuno ritiene che esista un fallimento di mercato, consiglierei di verificare se c’è in mezzo un intervento statale. E se si riscontra che non c’è, suggerirei di controllare di nuovo perché evidentemente si si sbaglia. Il dilemma che il modello neoclassico si trova ad affrontare è che afferma di voler perfezionare il funzionamento del mercato attaccando quelli che considera fallimenti, ma così facendo non solo apre le porte del socialismo e minaccia la crescita economica. In altre parole, ogni volta che si vuole correggere un presunto fallimento del mercato, inesorabilmente, non sapendo cosa sia il mercato o innamorandosi di un modello fallito, si aprono le porte al socialismo e si condannano le persone alla povertà.

Tuttavia, a fronte della dimostrazione teorica che l’intervento statale è dannoso, e l’evidenza empirica che è un fallimento, la soluzione che propongono i collettivisti non è una maggiore libertà ma una maggiore regolamentazione, che genera una spirale discendente di regolamentazione finché non saremo tutti più poveri, e la vita di tutti noi dipenderà da un burocrate seduto in un ufficio lussuoso. Visto il clamoroso fallimento dei modelli collettivisti e gli innegabili progressi del mondo libero, i socialisti sono stati costretti a cambiare la loro agenda. Si sono lasciati alle spalle la lotta di classe basata sul sistema economico per rimpiazzarla con altri presunti conflitti sociali che sono ugualmente dannosi per la vita della comunità e la crescita economica. La prima di queste nuove battaglie è la ridicola e innaturale lotta tra uomo e donna. Il libertarismo stabilisce già l’uguaglianza tra i sessi. La pietra fondante del nostro credo dice che tutti gli uomini sono creati uguali, abbiamo tutti gli stessi diritti inalienabili concessi dal Creatore, tra cui la vita, la libertà e la proprietà. L’unica cosa che ha portato questa agenda del femminismo radicale è un maggiore intervento dello stato per ostacolare il processo economico. dare lavoro a burocrati che non contribuiscono in alcun modo alla società, sia sotto forma di ministeri per le donne che di organizzazioni internazionali dedicate a promuovere questa agenda.

Un altro dei conflitti che i socialisti sollevano è quello dell’uomo contro la natura. Sostengono che gli esseri umani nuocciono il pianeta, che deve essere protetto a tutti i costi, addirittura sostenendo un meccanismo di controllo della popolazione o la tragedia dell’aborto. Purtroppo, queste idee dannose hanno permeato fortemente la nostra società e i neomarxisti hanno saputo cooptare il senso comune dell’Occidente. Hanno raggiunto questo risultato grazie all’appropriazione dei media, della cultura, delle università e anche delle organizzazioni internazionali. Quest’ultimo caso è forse il più grave, perché si tratta di istituzioni che hanno un’enorme influenza nelle decisioni politiche ed economiche dei paesi che compongono queste organizzazioni multilaterali. Fortunatamente, siamo sempre più numerosi a osare alzare la voce perché vediamo che se non combattiamo queste idee a testa alta l’unico destino possibile è che avremo sempre più stato, più regolamentazione, più socialismo, più povertà, meno libertà e di conseguenza un tenore di vita peggiore. Purtroppo l’Occidente ha già cominciato a imboccare questa strada. So che a molti potrà sembrare ridicolo dire che l’Occidente si è convertito al socialismo. Ma è ridicolo solo nella misura in cui ci si limita alla tradizionale definizione economica di socialismo che stabilisce che si tratta di un sistema economico in cui lo stato è proprietario dei mezzi di produzione.  Questa definizione dovrebbe essere aggiornata alle circostanze attuali. Oggi gli stati non hanno bisogno di controllare direttamente i mezzi di produzione per controllare ogni aspetto della vita degli individui. Con strumenti come l’emissione monetaria, l’indebitamento, i sussidi, il controllo del tasso di interesse, il controllo dei prezzi possono controllare i destini di milioni di esseri umani. Ecco come arriviamo al punto in cui con nomi o forme diverse, buona parte delle offerte politiche generalmente accettate nella maggior parte dei paesi occidentali sono varianti collettiviste. Siano essi apertamente declamati comunisti, fascisti, nazisti, socialisti, socialdemocratici, democristiani, neokeynesiani, populisti, progressisti, nazionalisti o globalisti. Fondamentalmente non ci sono differenze sostanziali: tutti sostengono che lo stato deve indirizzare tutti gli aspetti della vita degli individui. Tutti definiscono un modello contrario a quello che ha portato l’umanità al progresso più spettacolare della sua storia.

Siamo qui per invitare i paesi dell’Occidente a riprendere la strada della prosperità. Un governo limitato e il rispetto illimitato della proprietà privata sono elementi essenziali per la crescita economica. Questo fenomeno di impoverimento che produce il collettivismo non è una fantasia né fatalismo. E’ una realtà che noi argentini conosciamo benissimo, da almeno 100 anni, perché l’abbiamo vissuta. L’abbiamo attraversata. Perché, come dicevo prima, siamo intrappolati in una spirale discendente in cui siamo ogni giorno più poveri. Questo è ciò che abbiamo già sperimentato e siamo qui per mettervi in guardia su cosa potrebbe accadere se i paesi occidentali che sono diventati ricchi con il modello della libertà continuano su questa via della schiavitù. Il caso argentino è la dimostrazione empirica che non importa quanto sei ricco, quante risorse naturali hai, né quanti lingotti d’oro ci sono nella cassa della banca centrale. Se si adottano misure che ostacolano il libero funzionamento dei mercati, la libera concorrenza, i sistemi dei prezzi liberi, se si ostacola il commercio, se si attacca la proprietà privata, l’unico destino possibile è la povertà.

Per concludere, voglio lanciare un messaggio a tutti gli imprenditori qui presenti e a quelli che ci seguono da ogni parte del pianeta: non lasciatevi intimidire. Non arrendetevi a una casta politica o ai parassiti che vivono delle spese dello stato, che vuole solo restare al potere e mantenere i propri privilegi. Siete benefattori sociali, siete eroi, siete gli artefici del più straordinario periodo di prosperità che abbiamo mai vissuto. Non lasciare che vi dicano che la vostra ambizione è immorale. Se guadagnate è perché offrite un prodotto migliore a un prezzo migliore, contribuendo così al benessere generale. Non arrendetevi all’avanzata dello stato. Lo stato non è la soluzione. Lo stato è il problema. Siete voi i veri protagonisti di questa storia, e sappiate che da oggi avete l’Argentina come alleato incrollabile.

*17 gennaio 2024

QUI IL DISCORSO IN ITALIANO FATTO DA LUI, REALIZZATO GRAZIE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

https://twitter.com/HodlBits/status/1748741204437549124

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11 COMMENTS

  1. Leggere che solo lo stato possa agire da arbitro porta la mente a immaginare che i keynesiani non conoscano neanche Keynes. In realtà lo stato è l’unica entità che per sua natura non può essere imparziale. Scrivere che per la crescita sia necessaria la collaborazione tra privato e pubblico significa pensare che nel tentativo di conseguire il miglioramento delle condizioni di vita occorra la collaborazione tra vittime ed estorsori, tra malavita organizzata e produttori ricattati. Se si ritiene che tali collaborazioni possano portare alla crescita degli stati si è involontariamente e parzialmente nel “giusto” ma solo per una questione paradossale: in realtà la crescita non è del benessere ma del potere invasivo degli stati stessi. L’Italia era una pseudopotenza mondiale (la quinta, comunque, non la quarta) perché nel primo dopoguerra le fu concesso un tasso fiscale non altissimo e una maggiore libertà economica. C’era già troppo stato ma molto meno di ora e poi avevamo aiuti da oltreoceano in cambio dell’affitto di territorio per le basi NATO; una situazione appena decente, di certo non grazie al controllo e all’auspicata collaborazione tra burocrati e tartassati. Chiamare liberalismo le politiche di Romano Prodi e Mario Draghi significa definire monarchico Giuseppe Mazzini e repubblicano Vittorio Emanuele III di Savoia. Forse non “anche” gli ebeti ma “solo” gli ebeti possono definire Milei un falso.

  2. Non ha studiato Keynes. Solo lo stato può fare da arbitro solo la collaborazione tra privato e pubblico fa crescere gli stati. Io dico che se l’Italia era la 4° potenza mondiale n
    è stato per il controllo e la collaborazione sopra citati. Se siamo caduti così in basso é per colpa del liberalismo……dal britannica Prodi e Draghi e via di seguito. Caro Mieli anche gli ebeti capiscono che sei un falso.

    • Milei è forse l’unico economista al mondo ad aver letto per ben 5 volte LA TEORIA GENERALE di quel pedofilo di Keynes. Ha scritto un libro intitolato DESENMASCARANDO LA MENTIRA KEYNESIANA, che è il miglior lavoro mai fatto per demolire le teorie del lord inglese. Quindi, taci, ignorante!

  3. Quanto si sente che ha studiato in modo profondo il libertarismo e la sua evoluzione. In più la misura con la quale ha spiegato le diverse forme di collettività raffinato messe in campo dagli stati è frutto di riflessione e capacità non comuni. Noi libertari dovremmo imparare da lui.
    Ps: quando si è fatto largo la misura delle parole non era affatto il suo forte…

  4. Milei ha appena tirato fuori dalla pentola e messa su di un piatto una grossa patata bollente. Un discorso un po’ lungo per esprimere che il Mondo sta a guardare per vedere chi aprirà il coperchio del vaso di Pandora. Tutti sanno o credono di sapere cosa ci sia dentro e per questo che tentennano e aspettano che un’altro lo apra. Ormai siamo in un era dove le basi per i nuovi giochi di potere sono fatti. Quelli che io chiamo i grossi burattinai, i volponi, hanno già in mano i fili collegati ai fantomatici burattini dalle teste di legno e sono ben nascosti dietro le tende del teatro mondiale. Milei lo ha appenna accennato dicendo inoltre di stare in campana in un ben studiato giro di parole, concludendo, che lui e’ votato a salvare il suo Paese prima che questo finisca nelle voraci mandibole dei predatori. Fa anche capire che chi mi crede , mi segua. Dopo tutto sta offrendo un nuovo piatto su di un comune menu di in noto ristorante.

  5. Ha detto tutto quello che un ancap voleva sentire, a un’assemblea composta da socialisti, capitalisti di relazione e parassiti. Il messaggio è passato, le buone idee si stanno diffondendo anche nel mainstream. Il cambiamento potrà avvenire solo dal basso, quando le singole persone acquisiranno consapevolezza e rigetteranno per sempre la superstizione statale.

  6. La ovviamente condivisibile intemerata di Milei contro il socialismo, a mio avviso ha perso un bel po’ di efficacia sul grande pubblico, perchè ha mancato di precisare che la dottrina del WEF, il green e tutto il ciarpame dell'”Agenda 2030″ non è altro che il virus mutato del socialismo per sopravvivere ai disastri menzionati nel discorso.
    Come anche Facco ricorda nel suo libro, i calcinacci del Muro di berlino sono caduti addosso ai suoi avversari anche grazie al fatto che molti, anche tra i nemici del WEF, chiamano quelle politiche socialiste “neoliberismo”.

    • E’ vero. Dovremmo imparare a chiamare le cose con il loro nome autentico. Non liberismo l’interventismo e non progressismo il luddismo passato così come l’interventismo legislativo attuale.

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