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L’anarchismo cristiano e la convivenza umana in “La Croce contro il Leviatano”

Da leggere

di NOVELLO PAPAFAVA

Da quando ho due figli piccoli non ho tempo di far molto oltre allo stretto necessario e tra questo c’è stato leggere il nuovo libro di Guglielmo Piombini: La croce contro il Leviatano. La mia prima sensazione è che non si tratti di un libro di cui vantarsi di aver letto, piuttosto è un libro di cui sentirsi in imbarazzo a non conoscerne il contenuto prima ancora di farlo. Questo volume infatti non è una ricercatezza per librofili, ma espone la morale di base dell’uomo civilizzato che dovrebbe essere la premessa indispensabile senza cui non ha quasi senso discutere d’altro. Pur essendo un testo assai colto, infatti, si pone su un piano molto diverso, alle fondamenta, rispetto a quanto viene espresso dai cosiddetti uomini di cultura contemporanei che han perso di vista le questioni preminenti tutti intenti ad adulare l’autorità o se stessi.

Già il titolo ci istruisce su qualcosa che dovevamo sapere prima di leggere. E cioè che il simbolo del cristianesimo, il crocifisso, rappresenta la dimostrazione inconfutabile della colpevolezza del Leviatano. La crocifissione di un innocente che predica l’amore è il corpo del reato, l’accusa permanente al potere costituito. Per questo, come spiega René Girard, è anche un simbolo di vittoria, non di sconfitta, in quanto è la prova schiacciante che inchioda il nemico alle sue colpe davanti a una giuria.

Ma, andando oltre il titolo, il tema di fondo del libro è: dobbiamo parteggiare per le vittime o per i carnefici nella storia? Se la risposta sembra ancora ovvia; se preoccuparci per le vittime ci pare scontato, questo è merito della diffusione di due millenni di cristianesimo nella civiltà occidentale. Se, d’altro canto, tale norma elementare che condanna gli aggressori e difende le vittime non viene affatto applicata è perché il messaggio cristiano originario si è dissolto nella sua sostanza.

Molti concordano che prima dell’avvento del cristianesimo non era opinione comune che il debole non meritasse di essere sottomesso al più forte come corso naturale delle cose (si ricordano spesso le rupi per gli storpi, l’istituto della schiavitù, i sacrifici umani o gli spettacoli di crudeltà nei circhi del mondo antico); ma è anche vero che nei secoli successivi alla diffusione del messaggio cristiano l’umanità ha commesso crimini su scala ancora più ampia. Storicamente però le oscillazioni tra civiltà e barbarie sono andate di pari passo col rispetto o meno della sacralità del nostro prossimo che è l’essenza della morale cristiana. Tale messaggio di dignità assoluta dell’individuo davanti al potere però, per quanto semplice, non promette alcun progresso automatico, non redime affatto la società o l’umanità collettivamente, ma salva solo chi lo comprende e ha il coraggio di opporsi a scelte collettive criminali.

Uno degli scopi del libro è persuadere il lettore della comunanza di intenti tra la tradizione morale cristiana e quella liberale giusnaturalista, nella sua versione più radicale detta “anarco-capitalista”. Già con Locke la fusione tra cristianesimo e liberalismo era esplicita, ma James Redford, l’autore del primo saggio di questo libro, vuole dimostrare che, politicamente parlando, Gesù era addirittura un anarchico. Tra i suoi argomenti molto convincenti potrebbe anche bastare il fatto che appena nato, ancora in fasce, Gesù era già perseguitato da Erode il re di Giudea che lo considerava una pericolosa minaccia al proprio potere.

Ma nel testo si analizzano varie questioni come il tema della illegittimità della tassazione, il significato della famosa frase “date a Cesare quel che è di Cesare”, il rispetto dei contratti come espresso nella parabola vignaioli, il significato della cacciata dei mercanti dal tempio, cercando di sciogliere in tutti questi casi le apparenti contraddizioni tra certi passi delle sacre scritture e la libertà individuale. Anche la famosa Lettera di San Paolo ai romani in cui si dice che “ogni autorità viene da Dio” viene interpretata da Redford non come un invito alla sottomissione, come sembra, ma come un astuto espediente retorico di un apostolo che non era libero di scrivere ed era costretto ad esprimersi in “codice” perché perseguitato e violentato (e poi anche ucciso mediante decapitazione) dal governo del tempo. Non c’è alcun modo, conclude Redford, di conciliare la dottrina cristiana con l’uso della coercizione politica.

L’intento di far apprezzare il cristianesimo a taluni libertarian atei attraverso una corretta esegesi dei testi può essere difficile, ma non lo sarà mai quanto convincere i cristiani contemporanei che il principio di non aggressione su cui si fonda il libertarismo, di cui probabilmente non hanno mai sentito parlare, è l’unica teoria giuridica compatibile coi loro principi.

Chi conosce, ad esempio, il mondo cattolico italiano sa che è molto più interessato a radicarsi nelle istituzioni con cui è ben integrato che a combatterle. Il simbolo del cattolico italiano (dopo il patto Gentiloni e numerosi governi della D. C.) sembra ormai più la scrivania dell’ufficio pubblico a cui siede cinque giorni la settimana (ferie e malattie escluse) che la croce che rappresentava quel potente “vade retro satana” che dicevamo.

Tutto il bagaglio teorico di difesa del diritto naturale alla proprietà privata come argine al potere del Leviatano annoia fortemente i cattolici contemporanei. E sì che la proprietà è la traduzione concreta in termini giuridici dell’inviolabilità del prossimo (La proprietà è sacra spiega Guglielmo Piombini in un’altra sua splendida raccolta di saggi con questo titolo). Ma qui non si chiede di approfondire l’opera omnia di Murray Rothbard; basterebbe recuperare quattro o cinque dei comandamenti biblici in cui vi è tutto quanto serve sapere di diritto, economia e scienza politica.

“Non uccidere” e “non rubare”, ad esempio, che superficialmente sono precetti accolti da tutti, a livello politico vengono calpestati regolarmente come se la morale privata svanisse. Ma già Sant’Agostino esponeva con semplicità l’assurdità di tale doppio standard di giudizio chiedendosi: “Cosa sono i governi se non bande criminali su larga scala?”.  Disapproviamo i piccoli delinquenti, ma accettiamo che a generali che hanno mandato a morire migliaia di giovani innocenti siano dedicate piazze e monumenti. Anche la maggioranza dei cattolici non prova alcuno scandalo nella razzia fiscale di più del sessanta percento del reddito nazionale.

Come ogni socialista, anche il cattolico contemporaneo condanna l’idolatria del denaro (che invece è un grande strumento di cooperazione sociale) e mai riflette sul corso forzoso della moneta per decreto che è il vero “sterco del demonio” che ha reso possibili i più inutili e mostruosi bagni di sangue della storia umana. Per non dire di come si lascia ingannare dalla retorica dei diritti socialdemocratici: “diritto” alla salute, alla casa, allo studio che non sono altro che il “desiderare la roba d’altri” del decimo comandamento. Mai infatti il Messia ha auspicato forme di aiuto ai bisognosi fondate sull’uso della redistribuzione politica forzata.

Non appena avverte un vago sentore di “liberismo” il cattolico medio prende le distanze da discorsi economici perché “le questioni rilevanti sono altre”; ma se serve agli scopi dello Stato si fa esperto economista sostenitore dell’urgenza di politiche economiche ultra stataliste. In sostanza il cattolico odierno ha scelto di non difendere più le vittime, ma di mettersi al fianco dei detentori della forza.

Piombini ci ricorda che la collusione della Chiesa con lo Stato ha origini molto antiche che risalgono alla conversione di Costantino e a Teodosio che rese il cristianesimo religione di Stato nel quarto secolo d.C., ma si trattò di un palese tradimento del messaggio di Gesù che invece, nel deserto della Giudea, rifiutò le tentazioni del demonio che gli offriva tutti i regni del mondo. Ma è piuttosto con i primi tre secoli di persecuzioni e di martiri che i discepoli di Cristo davvero conquistarono il mondo.

Ad ogni modo sono gli intellettuali i veri colpevoli della costruzione di una vera e propria religione dello Stato. L’idea di una sovranità astratta che emana leggi senza alcun vincolo superiore e che sopravvive eternamente ai suoi rappresentanti è il più grande capolavoro di idolatria scaturito dal patto delinquenziale tra intellettuali e uomini di potere. Ma era questo il senso del primo comandamento “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Il potere impersonale dello Stato moderno è ancora più pericoloso di quello familiare e aristocratico tipico dell’epoca medievale che era invece sottoposto a diversi limiti giuridici ed economici (Piombini ha sviscerato questo tema nel suo splendido “Prima dello Stato” sull’epoca medievale). Non a caso è nel Novecento, il secolo in cui si è più creduto in questa entità mistica e demoniaca, che conflitti, genocidi e schiavitù di massa sono stati più disastrosi.

Ma quando si vogliono citare i più famosi “teologi” dello statalismo di solito si scelgono autori come Hobbes, Rousseau o Hegel. Per Rousseau: “aprendo gli occhi, un bambino deve vedere la patria e fino alla morte non deve vedere altro che lei”; per Hegel lo Stato è “volontà divina” e “sostanza etica consapevole di sé”. Ma qui Piombini va oltre prendendo in esame pensatori con un esplicito odio verso la morale giudaico-cristiana e per i quali lo Stato è più un mezzo per il vero fine ultimo che è lo sradicamento dalle coscienze della pietà e del senso di sacralità del prossimo.

Egli mette in luce l’anticristianesimo di Machiavelli, di Marx, di Lenin e di Bakunin. Per Bakunin, Satana è “il primo libero pensatore ed emancipatore dei mondi”; Nietzsche, che neppure si può facilmente definire uno statalista, dedica un libro intero in difesa dell’Anticristo: “cos’è più dannoso di qualsiasi vizio? La simpatia verso i deboli e i deformi: il cristianesimo”; in Volontà di potenza: “la grande maggioranza degli uomini non ha diritto all’esistenza perché sono una iattura per i superiori”. La filosofia mefistofelica del filosofo tedesco ebbe un successo travolgente tra gli intellettuali europei e contribuì a spingere l’Europa verso il baratro della prima guerra mondiale e del nazismo (dopo cui il vecchio continente ha ironicamente perso ogni potenza e primato).

Per concludere la rassegna dei nemici giurati del cristianesimo, Piombini affronta coraggiosamente l’Islam, la teocrazia della sottomissione, le cui conseguenze disastrose in larga parte del pianeta pochi storici hanno osato analizzare.

Ma a complicare il problema del potere, purtroppo, c’è che esso è una tentazione non solo per chi lo esercita e se ne avvantaggia (che nelle democrazie allargate è una moltitudine di persone), ma anche per chi vi si sottomette e ne riceve solo danni. Le vittime stesse collaborano perché obbedire solleva dal peso della propria mediocrità e dei propri fallimenti dando l’illusione di far parte di progetti di grande valore (ieri la grandezza nazionale, la costruzione del socialismo, oggi la lotta alla pandemia globale, al surriscaldamento ecc.). Si parte soldati, si trascorrono le giornate a compilare moduli, si porge il braccio alla “scienza” ecc. come bambini fiduciosi di essere guidati da esperti benevoli che danno uno scopo alla nostra vita. Ma questo servilismo è una debolezza e una perversione che mascheriamo giustificando ostinatamente le imposizioni e la propaganda dei governi.

Il “rispetto della legalità” dà solo una illusione di onestà perché questa sta invece nel rispetto del prossimo e degli accordi presi; anzi, è proprio l’onestà che il cittadino obbediente perde rendendosi complice anche di atrocità. Tale cieca obbedienza di massa, assai peggiorata con la secolarizzazione, può portare a conseguenze apocalittiche spazzando via quel po’ di civiltà che diamo per scontata.

Comunque il libro di Piombini ci ricorda che il cristianesimo è molto di più che una semplice teoria giuridica concentrata solo sui diritti. Non a caso conclude la sua antologia con un saggio sull’epopea dei Quaccheri americani, la comunità religiosa fondata da George Fox, fortemente perseguitata dagli inglesi e che ha dato vita al “sacro esperimento” di enorme successo della Pennsylvania che ha assai influenzato non solo la costituzione americana e l’antischiavismo, ma anche il carattere dei primi americani (anche questo si aggiunge alle cose che dovevamo sapere…).

In conclusione, si sente parlare fino alla noia della perdita delle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, ma purtroppo anche chi se ne lamenta sembra temere di dire che queste consistono in un antistatalismo radicale. Per dirla con le parole di Tolstoj: “Il cristianesimo distrugge lo Stato. Esso fu compreso fin dal principio ed è perciò che Gesù fu crocifisso”. Questo piccolo capolavoro di Piombini è ricchissimo di contenuti (solo la bibliografia può dar da leggere per una vita intera), ma soprattutto esso colma un vuoto enorme ricordandoci le basi elementari della convivenza tra uomini.

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