Potrebbe sembrare davvero irriguardoso recensire severamente e con asprezza l’ultimo libro di chi se n’è appena andato. Bisogna avere pietà per i defunti. Eppure l’idea di questa recensione nasce ben prima della recente scomparsa di Sebastiano Vassalli, avvenuta lo scorso 27 luglio. L’idea è maturata nella circostanza dell’uscita de Il confine – sottotitolo: I cento anni del Sudtirolo in Italia – che è approdato nelle librerie nel corso del mese di maggio.
Una breve digressione autobiografica è necessaria. Nel 1985, chi scrive non aveva ancora vent’anni. Frequentava assiduamente il vivace cenacolo che si generò attorno alla battagliera rivista Etnie, di cui ero in sostanza la “mascotte”, guidata da Miro Merelli. Ero radicale – come ora, per altro – nella mia vocazione autonomista e nella mia sensibilità verso il principio non negoziabile dell’autodeterminazione dei popoli. E simpatizzavo per la giusta lotta del popolo sudtirolese, di cui ho anche scritto molto. Lo consideravo un necessario impegno etico-civile, nel quadro di una vera e propria militanza intellettuale sotto le insegne di quella rivista.
Esattamente trent’anni fa, provai un forte disgusto, una profonda indignazione e un’acida ripugnanza intellettuale nella lettura di Sangue e suolo, il libro che – nel 1985, appunto – Sebastiano Vassalli dedicò alla questione sudtirolese, ricalcando nel titolo un celebre slogan nazista. Nella nota introduttiva, Vassalli annunciava una posizione di equidistanza nello svolgere l’inchiesta che allora gli era stata commissionata da “Panorama”. Era tuttavia già il sottotitolo del libercolo – Viaggio fra gli italiani trasparenti – a rivelare l’approccio tutto ideologico dello scrittore novarese. La quarta di copertina completava poi il quadro: “L’Alto Adige è il paese in cui tutto è separato, tutto è doppio, in cui è stato attuato – con la connivenza dei governi di Roma – un sistema sofisticato di sostanziale apartheid, che emargina una minoranza di 120mila italiani in uno Stato che dovrebbe essere il loro, rendendoli come invisibili”.
L’analisi era costruita – saccheggiando a piene mani nella bisaccia della retorica e del “sentito dire”, tra stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni – proprio sul concetto di discriminazione tra un “noi” (italiani) e un “loro” (sudtirolesi), con tutte le conseguenze che ne derivavano. Conseguenze sociali di alimentare risentimenti e tensioni e conseguenze politiche di alimentare i consensi ultranazionalisti e italianisti, nella consapevolezza che gli italiani non hanno mai capito, né capiranno mai i sudtirolesi, contro i quali hanno sempre invocato il potere coercitivo dello Stato. I sudtirolesi, poiché parlano un idioma germanico, sono – è nella natura delle cose – tutti dei nazisti; ma gli italiani, che si sono appellati alla romanità con il ponte Druso e hanno costruito il tronfio “Monumento alla Vittoria” e tutti i suoi fasci littori, sono “trasparenti”.
Adesso, dopo trent’anni esatti da quella fuorviante e disastrosa pubblicazione, severamente recensita anche da Alexander Langer su “Reporter”, alla vigilia della sua scomparsa, Vassalli è tornato ad affrontare il tema. Del quale dimostra di non aver capito molto di più rispetto al 1985. L’unica novità è che – evviva! – lo scrittore, nelle pagine del libro, usa assai meno il termine “Alto Adige” per un più appropriato “Sudtirolo”. Per il resto nulla di nuovo, generando lo stesso disgusto, la stessa indignazione e la stessa ripugnanza di trent’anni fa.
È paradossale che Vassalli riveli di aver scritto il libro con nobili intenti: “Per gli italiani che di quella grande vicenda, in fondo, hanno sempre saputo poco e, peggio, hanno sempre capito poco”. Senza essere consapevole che di quell’inaccettabile e ignobile disinformatia di matrice italianista è stato lui stesso uno dei principali protagonisti; per altro, nel corso degli anni Ottanta, ultima stagione delle bombe e degli attentati, per via del “Pacchetto” e della “Quietanza liberatoria” che non arrivava.
È indicativo che Vassalli già nel sottotitolo riveli di aver scritto il libro per celebrare nazionalisticamente il secolo della conquista, cioè i “cento anni del Sudtirolo in Italia”. Proprio per ciò fa sorridere che il suo annunciato intento sia quello di raccontare la storia di questi cento anni “partendo dai fatti e con spirito di verità”, senza aver letto una pagina – una sola pagina – del monumentale lavoro di Claus Gatterer che trasuda di autonomismo militante quale Im Kampf gegen Rom (“In guerra contro Roma”).
Del resto, la dominazione austriaca nel territorio padano, a partire dal Settecento, “non era poi stata così entusiasmante” e la prima Guerra mondiale “era stata voluta e poi era stata vissuta dalla maggior parte della popolazione come l’ultima delle guerre di indipendenza, quella che doveva portare al compimento dell’unità nazionale”. Così, l’idea di portare il confine al Brennero fu certamente “una scelta in qualche modo logica”. Da allora, la prova generale della “Marcia su Roma” in occasione della fiera di Bolzano dell’aprile 1921, con Achille Starace molto attivo nel “mulinare” il suo manganello, le stravaganti invenzioni di Ettore Tolomei, che italianizzò Innichen in San Candido e St. Ulrich in Ortisei, i processi di immigrazione e di italianizzazione forzata ricorrendo al fordismo industriale (Lancia, Falck, Montedison, Viberti ecc), le opzioni nell’immediata vigilia del secondo conflitto mondiale: tutto ciò non può spiegare – per Vassalli – la stagione delle bombe.
“I primi attentati, fino alla ‘notte dei fuochi’, certamente servirono a sbloccare una situazione che era tenuta ferma da resistenze ideologiche e da vischiosità burocratiche: ma una volta accettata e avviata (nel 1961) la vertenza internazionale, non mi sembra – osserva lo scrittore novarese – che si sia più perso tempo. […] Chi ha continuato a uccidere in quegli anni lo ha fatto senz’altra ragione che l’odio, e senza altro scopo che il piacere di uccidere. Era un assassino e basta”. Peccato che la chiusura del Pacchetto e la Quietanza liberatoria siano arrivati solo nel 1992.
Il problema dell’incomprensione al quale ricorre Vassalli, e con lui molti altri, però, è un falso problema perché la questione si colloca su un altro piano. L’autodeterminazione – riconosciuta con l’Atto finale di Helsinky nel 1975 – si configura come un aspetto particolare del diritto di resistenza all’oppressione ed è riconducibile all’alveo dei diritti naturali di una comunità volontaria territoriale. È quindi un diritto pre-politico, che viene prima e sta al di sopra dello Stato. È un diritto che riconosce a un popolo la prerogativa di scegliere liberamente di stare con chi vuole e come vuole, per essere totalmente padrone e determinare autonomamente il proprio destino. Una scelta che ai sudtirolesi è stata negata, lo dice la storia. E questo Vassalli non l’ha davvero mai capito.
Benchè il Sebastiano Vassilli saggista sia scivolato più volte sul tema Sud Tirolo direi di va comunque apprezzato il Vassalli romanziere, perchè nelle sue opere ci sono bellissime descrizioni della pianura padana, specialmente del novarese, dei veri e proprio “quadri d’autore”. Poi sul sudtirolo siamo d’accordo al 100%, con una postilla, oramai la maggior parte dei sudtirolesi non è più interessata all’indipendenza, hanno ottenuto da roma condizioni tanto vantaggiose che ormai preferiscono mantenere lo status quo non a caso la SVP è contraria all’indipendenza del Sudtirolo. A dire il vero non è un atteggiamento poi così recente il passaggio da Los von Rom a Los von Trient risale agli anni ’60 ed è opera di Silvius Magnago.
infine una nota su ortisei, viene dal ladino Urtijei, ciò non toglie che nella stragrande maggioranza dei casi i nomi di tolomei siano degli stravolgimenti assurdi, ma non dobbiamo mai dimenticare che quasi tutto quello che è stato fatto in sud tirolo ai sudtirolesi è stato fatto 50 anni prima anche in padania ai padani, ad esempio i nomi li hanno stravolti anche da noi.
La situazione è pienamente descrivibile con una logica elementare che gli italianisti (volutamente) ignorano.
1.-L’Italia ha DICHIARATO guerra all’ Austria a conclusione di uno dei suoi mille tradimenti.
2.-La motivazione relativa al cosiddetto “risorgimento” non sta in piedi in quanto , specie per un popolo così diverso “non c’era niente da risorgere”
3.- La storia di “portare il confine al Brennero ha la stessa consistenza di “portare il confine al Danubio”.
4.-I sud tirolesi, attaccati come erano e come sono alle loro tradizioni hanno eroicamente resistito ( e resistono ancora oggi) a ogni costrizione terronica.
Tutto questo alla faccia della democrazia, della libertà, dell’autodeterminazione dei popoli e di tante belle storielle di cui si fanno vanto i corifei del regime.