Da diverso tempo a livello di Unione europea è in corso una progressiva armonizzazione socialisteggiante di ogni aspetto dello scibile umano. Ovviamente il fisco non fa eccezione. Periodicamente, quindi, sono messi sotto accusa quegli Stati che strozzano meno degli altri i pagatori di tasse.
Per esempio Belgio, Cipro, Malta, l’Ungheria, l’Olanda, il Lussemburgo e l’Irlanda, accusate di condurre “politiche fiscali aggressive”. Secondo il commissario agli affari economici e monetari, Pierre Moscovici, “queste pratiche mettono in pericolo l’equità, l’omogeneità del mercato unico, tra le altre cose aumentando il carico fiscale per alcuni cittadini. Dopo una precisa analisi delle regole fiscali abbiamo notato gli sforzi compiuti da alcuni paesi membri. Ma sottolineando la questione vogliamo rimarcare come sia necessario fare ulteriori sforzi”.
Parlare di “equità” con riferimento al fisco è assolutamente fuori luogo, in qualsiasi caso. Ogni pretesa fiscale è intrinsecamente iniqua, essendo basata su uno scambio non volontario, nel quale una parte minaccia l’uso della violenza per imporre all’altra di pagare, spesso a fronte di nulla, o, nella migliore delle ipotesi, di un servizio non richiesto.
Anche di omogeneità non è opportuno parlare se si pensa all’interventismo, ancorché a livello comunitario. Ogni intervento volto a “livellare il campo da gioco” in realtà crea ulteriori dislivelli. Nel mercato devono essere rimossi solo i dislivelli dovuti all’intervento statale (in senso lato), e l’unico modo per farlo è rimuovere gli interventi, non procedere per correzioni successive.
Sempre restando in campo fiscale, eliminare con mezzi politici la concorrenza sarebbe deleterio, come in ogni altro settore. E ogni intervento fiscale comporta una redistribuzione per la quale qualcuno paga più di altri. Ma ogni costruzione socialista non può far altro che procedere progressivamente fino all’implosione. Purtroppo quando questa arriva è disastrosa, ed è sempre tardi.